Via Padova state of mind, inciso su un muretto del quartiere, è diventato un ricamo sul nuovo abito tradizionale meticcio per la comunità. Perché Via Padova è un confine, e come tutti i confini è uno stato della mente. Uno spazio in cui tutto si mescola: le relazioni, le esperienze, le identità. Via Padova inizia in Loreto e finisce su una montagna (Pizzo Arera). e nel mezzo c’è il mondo. Qui NoLo si affaccia, un po’ la abita e un po’ la colonizza.
Via Padova e NoLo sono lontane, non solo come realtà ma come esperienze. E chi è in fissa con le grandezze misurabili, sappia che sono molto più distanti dei metri che le separano. Si potrebbe dire che la loro differenza si può stimare tra l’1 e il 56.
Il tram numero 1 parte da Piazza Morbegno e attraversa tutto il centro arrivando fino a Villa Pizzone. A detta di molti è il più bello di Milano. Un tram di quelli antichi, con gli interni tutti in radica, in cui puoi sederti e veder sfilare dai finestrini l’Arco della Pace, il Castello Sforzesco, la Scala, il Palazzo Montecatini di Via Turati, e da lì Caiazzo, via Venini e in fondo fino a Piazza Morbegno. Dal pieno centro di Milano al cuore di NoLo senza muovere un muscolo: penso sia uno dei modi più belli per arrivare lì e incontrare in pochi metri il ciclista che vende fiori magnifici, il cinema d’oratorio con una delle migliori programmazioni di Milano, e poi baretti, le librerie spazi culturali di vicinato, coworking.
La parabola di NoLo è un po’ come l’1: si sa dove portano i suoi binari. Sappiamo che è un fenomeno già consolidato nelle città di mezzo mondo. E Via Padova è come la sua 56: un contenitore di storie diversissime, che possono stare vicine fino a sfiorarsi per un po’ per poi inseguire altre traiettorie.
Potresti trovare delle finestre spazio-temporali, come quando varchi la soglia dell’ex cinema porno Zodiaco, con l’eventualità di essere catapultato in Sudamerica, tra centinaia di ragazzi di seconda generazione che danzano all’unisono in meravigliosi abiti tradizionali
Percorrerla è un viaggio. Viverla, è ascoltare centinaia di lingue, compreso il mongolo antico. Ma ancora non è tutto. Potresti trovare delle finestre spazio-temporali, come quando varchi la soglia dell’ex cinema porno Zodiaco, con l’eventualità di essere catapultato in Sudamerica, tra centinaia di ragazzi di seconda generazione che danzano all’unisono in meravigliosi abiti tradizionali. Oppure potresti capitare alla bocciofila, insieme ad arzilli vecchietti ribelli del secolo scorso a festeggiare la coppa dei campioni delle bocce. Insomma, puoi assaggiare cibi da ogni dove, ballare la danza del ventre, imparare l’urdu e fare amicizia con i vicini cinesi che ti portano medusa e becco d’anatra, specialità da provare; pregare Allah, Budda, Santa Sarita e la Virgen de Guadalupe, Satana e Stalin, fare un sacrificio a un orisha, incontrare al mattino il tuo vicino settantenne in tuta di latex che torna da una notte brava dal locale di fronte casa.
Infiniti squarci di vite e visioni oltre ogni immaginazione. Una varietà di corpi, sensi, desideri, identità, conflitti, impossibili da immaginare sullo stesso metro di marciapiede. Forse un po’ per questo il conflitto è sempre presente. Via Padova ha una temperatura specifica, ma funziona perlopiù come spazio costruttivo e di senso, dove tutto si mescola ridefinendo le identità umane e geografiche. Il paesaggio è come il corpo, contaminato dalla molteplicità di culture, segni e simboli che lo attraversano. Noi l’abbiamo percorsa, risalendola e ridiscendendola in parte o interamente, con ogni mezzo di trasporto possibile. A piedi, in bicicletta, in autobus, in furgone, in auto, da Piazzale Loreto fino a Piazza Costantino, e da lì verso La Gobba o Quartiere Adriano a seconda dei casi.
Tante volte, pedalando i suoi quattro chilometri e sorprendendoci per la sua varietà, abbiamo pensato di fare il gioco dei numeri per cercare di esaurire, di ridurre, di rendere Via Padova descrivibile attraverso grandezze misurabili, condivise. Quanti semafori ha Via Padova? (facile) Quanti incroci? (già meno) Quanti mezzi di trasporto pubblico la attraversano? (mmmhhh…) Quante scuole? (una, due, cinque?) Quante moschee? (Eh…) Quanti kebab? (…) Molto presto il gioco si interrompe: questa parte della città, forse ancora più del resto, cambia a una velocità che non ti aspetti, tale per cui non può nemmeno apparire invisibile all’abitudine.
Via Padova ha una temperatura specifica, ma funziona perlopiù come spazio costruttivo e di senso, dove tutto si mescola ridefinendo le identità umane e geografiche.
Il fatto è che quando pensi a Milano pensi alle grandi trasformazioni, quelle che variano il profilo della città con nuovi edifici e nuovi quartieri. Ma niente di tutto questo accade in Via Padova, se non marginalmente: qui il cambiamento è più un brulicare di piccole alterazioni, di cui non è possibile rintracciare un motivo conduttore. Perché, semplicemente, non c’è: segue i (bi)sogni delle innumerevoli persone che la abitano, con tutte le loro differenze.
Ricordiamo le bellissime feste, via Padova è il meglio di Milano, tante associazioni, gruppi formali e non, cittadini orgogliosamente vicini che insieme svelavano il tessuto, le maglie, le connessioni di questa via da sempre solidale, colma di progetti artistici e ricerche realizzate negli anni da soggetti diversi con le comunità di quartiere. Li abbiamo anche raccolti, nella nostra fanzine meticcia Avanti l’aurora. Desideri sempre vivi che attivano nuove iniziative e che restituiscono spazi inattesi e immaginari condivisi.
Percorrerla è un viaggio. Viverla, è ascoltare centinaia di lingue, compreso il mongolo antico
E anche se i tempi della pandemia sono difficili, nei cortili delle case popolari arrivano le Brigate Volontarie per l’emergenza, insieme ad associazioni e singoli cittadini che si sono attivati per creare una rete solidale. Per portare il pane, ma anche le rose. S., che vive in via Padova e ci lavora sulla strada, ci ha detto che quello che le piace è dire «Ciao», che tutti si aiutano e che c’è posto per tutti, anche per lei.
Ecco: via Padova è un teatro di comunità che sa riconoscersi nell’unione trasversale dei corpi e delle esperienze condivise che si sono impresse questa singola strada. Una strada che se vista da NoLo, in avanti, verso le montagne, puoi vedere l’orizzonte.