Per prima cosa ci si allaccia le scarpe, poi si può affrontare la città. Si può camminare per le sue strade con la musica nelle cuffie, si può attraversala in skate, prendersi una pausa giocando a basket o a calcio, saltare durante un concerto o consumare le suole ballando in 4/4 in qualche club. Poi, ancora, si possono vedere mostre in musei e gallerie, mangiare qualcosa al volo, bere un drink in piedi, parlare. Ecco, condensate tutte queste in due giorni e immaginate l’Ex Dogana come cornice. Il risultato sarà Ginnika, una due giorni (10 e 11 giugno) dedicata alla cultura urban e con i piedi ben saldi all’interno di un paio di sneaker. Ne abbiamo parlato con il suo ideatore in questa intervista: Andrea Sibaldi.
ZERO: Iniziamo questa chiacchierata dai fondamenti, perché il concetto di sneaker in pochi ce l’hanno chiaro. Cos’è una sneaker? O meglio, cosa è per te una sneaker?
Andrea Sibaldi: Direi una scarpa che non si prende e non va presa troppo sul serio. Qualcosa di comodo e con un’attitudine verso lo sportivo. Poi scegli colori, materiali, collaborazioni e tutto il resto, ma la sneaker nasce per il tempo libero e diventa indispensabile per ogni giorno, quindi qualcosa che ha guadagnato “potere” strada facendo, andando dritta per la sua strada. Per me è una delle massime espressioni di scalata verso il successo e per questo andrebbe studiata più approfonditamente come storia, sopratutto da chi oggi compra per “hype” – una delle parole più fastidiose insieme a “sneaker games” partorite intorno a questa cultura!
Ti ricordi qual è stato il tuo primo paio? Io ho dovuto fare un pianto greco immane prima di avere la mia prima Nike, intorno ai 10 anni.
No, non lo ricordo veramente. Posso dire che negli anni 80 di sicuro ho avuto Superga, Adidas e Spalding; nei 90 ancora Adidas, poi Nike e New Balance, a cui sono particolarmente affezionato.
L’ultimo che hai comprato invece?
Sono riuscito a prendere la Nike Dunkle fatta in collaborazione con James Lavelle e Futura, giusto in tempo per farmela autografare durante Ginnika, con James che sarà uno degli ospiti. L’ho sempre voluta e mai trovata a un prezzo decente, poi è capitata l’occasione e mi è sembrata quella giusta per prenderla.
C’è stato un qualcosa che ti ha fatto scattare questa passione?
Su questo un giorno mi piacerebbe scrivere qualcosa di più lungo, non proprio un libro, ma qualcosa che racconti meglio questo percorso. Posso dirti con certezza che devo molto all’idea di “collezionabile” che mi ha trasmesso mio padre attraverso la sua passione per fumetti e riviste. Ho anche delle icone anni 80/90 in sneaker, ma non te le racconto qui… Lascio la colpa principale di tutto a lui!
Per te chi sono state le figure fondamentali per la diffusione della cultura sneaker? Diciamo da Michael Jordan in giù.
Confesso che Jordan non è uno dei miti al quale ho prestato un’attenzione particolare, anche se, in quanto giocatore di basket, lo ritengo il più grande di sempre. Amo le “sue” scarpe, sopratutto fino alla VIII, ma se vuoi sapere la mi lista è questa: Kareem Abdul-Jabbar, Run DMC, Stan Smith, Agassi, Tinker Hatfield, Mark Parker, Hiroshi Fujiwara. Un misto tra sportivi, artisti, disegnatori e “guru” che per me hanno elevato la scarpa da ginnastica a quello che vediamo oggi. Ce ne sono almeno un’altra dozzina, ma questi sono i primi che mi vengono in mente rispondendo a bruciapelo.
Quali sono stati i tuoi negozi di riferimento agli inizi?
Grazie per la domanda perché, nella mia ottica, il punto di partenza di ogni appassionato dovrebbe essere il negozio di quartiere e non la sedia di casa su cui poggiare il culo davanti uno schermo. Devo molto ad H-Street e Be Cool a Roma, che erano negozi davvero all’avanguardia per la fine dei 90. Lì trovavi sempre una storia dietro una scarpa e, più in generale, dietro a ognuno di quei brand che oggi vanno sold out nel giro di una messa nel carrello della spesa virtuale, quello che solitamente trovi in alto a destra nelle schermate dei siti internet. La magia la facevano i racconti e le persone che li narravano, concetto talmente superato che ho quasi timore a parlarne… Oltre a loro, Luca Benini, con il suo Slam Jam, è stato senza dubbio il pioniere italiano per quanto riguarda lo street wear, mentre Giancarlo Sisti credo vada riconosciuto come il padre di tutti i negozi sportivi della Penisola e quindi custode di un patrimonio culturale indiscutibile. Fossi in te farei una chiacchierata con lui durante Ginnika: io non vedo l’ora! Fuori dall’Italia, il primo in cui ho messo piede credo sia stato Crooked Tongues.
I negozi che attualmente consiglieresti per fare spese a Roma?
A prescindere dalla collaborazione di turno, che si può trovare in un negozio piuttosto che nell’altro e menate varie, credo sia sempre valido il concetto “support your local store”. Che poi stiamo parlando di scarpe da ginnastica, quindi è valido anche Foot Locker se ha una colorazione o un modello che ti fa sudare freddo quando lo vedi sullo scaffale.
Come e perché le sneaker sono diventate il tuo un lavoro?
Applicare una passione non solo al tempo libero, ma 7 giorni su 7, capita più spesso di quanto si possa immaginare e se non ci si concede a questo vuol dire che si sta rinunciando a qualcosa di cui ci si può pentire più avanti nel tempo. Ho seguito un percorso, grazie anche ai miei soci e ai miei colleghi, in cui ho avuto possibilità di sviluppare idee e progetti nuovi ogni giorno e che hanno ruotato tutti intorno a qualcosa a cui tengo veramente. È diventato lavoro quello a cui ho dato possibilità di esserlo, tradotto: amo la cultura urban, mi ci butto a pesce, magari guadagno zero, ma sono felice.
In che negozi hai lavorato in questi anni?
La Santeria, nel 2006, è stato il primo progetto nel quale ho applicato il concetto di passione tramutato in lavoro. Poi Beaverton, nel 2009, che è stato concepito come un vero e proprio sneaker store: un negozio dove parlare con altri maniaci e trovare i modelli piè esclusivi e limitati, cosa che prima era riuscita, in parte, solo ad I Love Tokyo, ed è quello di cui forse sono più orgoglioso. Poi c’è stato il Carhartt WIP Square, che ho gestito negli ultimi tre anni: sono molto affezionato a questo posto che mi ha fatto crescere professionalmente e mi ha aperto a una dimensione lavorativa differente.
I tuoi clienti migliori chi sono stati? Ragazzi o adulti insospettabili?
Gli insospettabili sono quelli che, a distanza di giorni, ti fanno porre le domande filosofiche più disparate. Quelli che hanno possibilità di spendere tanto sono quelli che ti fanno campare fino a fine mese. I curiosi, giovani o adulti che siano, sono invece la parte migliore di questo lavoro. Quando vendi proprio quella scarpa che era inchiodata lì, sullo scaffale, da settimane, perché a nessuno frega niente di sentire una storia “buffa” su di una scarpa o perché banalmente si preferisce una base tutta bianca a un mix di colori improbabili; quando qualcuno compra dopo aver domandato perché quel laccio blu è su una tomaia verde o perché una tecnologia ultra moderna della suola sia stata applicata su un modello degli anni 70, be’, lo trovo super. La curiosità mi ha portato qui, oggi, e la curiosità è quello che proviamo a stimolare con Ginnika.
In che quartieri hai lavorato qui a Roma?
Testaccio, Monti, Trastevere in ordine cronologico. Trastevere, Monti, Testaccio l’ordine dei quartieri in cui mi sono trovato meglio.
A proposito di quartieri, secondo te a Roma ci sono sneaker di quartiere? Che si vendono e si trovano in determinati quartieri piuttosto che in altri? Se sì, quali?
Ormai non più, ma fino a fine 90 assolutamente sì. Più che singoli quartieri, direi che l’eterno conflitto tra Roma Sud e Nord è passato spesso per capi d’abbigliamento. Di getto mi verrebbe da dire che a Nord vedevi frequentemente: Adidas Tobacco, Adidas Gazelle, Adidas Stan Smith, Adidas Galaxy, New Balance 574. A Sud della Capitale pressoché monotematici sulle Air: Nike Air Max 90, Nike Air Max 1, Nike BW, Nike Air Max Plus, Nike Air Shox, Air Max 97 Silver. Con il fatturato di queste ultimi due modelli La Nike avrebbe potuto finanziare tranquillamente la metro C, D, E. Il quartiere e il tessuto sociale di Roma, per sfortuna o per fortuna, fanno ancora molto.
Facciamo una sorta di gioco. Riesci a scattare una fotografia di Roma dal punto di vista delle sneaker, indicando i modelli di questi anni: 1995-2000 / 2001-2005/ 2006-2010 / 2010-2017.
Davvero vuoi sapere come siamo messi male sulla cultura media delle sneaker nella Capitale? Scherzo, credo però sia più corretto dire i modelli che in questi anni si sono visti massivamente e nelle più disparate colorazioni ai piedi dei romani, sopratutto giovani, il che non vuol dire che siano modelli necessariamente prodotti in quegli anni o che non ce ne fossero tante altre che vedevi comunque in giro: Nike 97 Silver, Nike Shox Nz, Adidas L.A. Trainer, Nike Huarache.
Arriviamo a Ginnika, ci puoi raccontare questo progetto?
Nel 2013 ho pensato che fosse giunto il momento di realizzare qualcosa che varcasse i confini di un negozio e
ho sviluppato l’idea di creare un contenitore dedicato al panorama urban partendo, appunto, dalle sneaker. La cosa mi è sembrata buona da subito, essendo un terreno molto vasto e quasi per niente battuto, che permetteva di non restare confinato solo in una mostra di scarpe, ma di aprirsi alle più disparate aree che la parola urban abbraccia: arte, musica, sport, food, brand emergenti, attività interattive. Ad oggi, dopo aver trovato anche dei soci e collaboratori fantastici su cui Ginnika ormai si sostiene e che ringrazio, ancora non si vedono limiti né punti di arrivo, solo tappe che di volta in volta cerchiamo di aggiungere.
Come è evoluta la manifestazione dalla sua prima edizione a oggi?
Le prime due edizioni sono state improntate solo sulla mostra e con un piccola parte di market. L’idea di base era la coesione tra location vicine e quindi la mobilità del pubblico nel dover raggiungere gli spazi espositivi a piedi, grazie all’uso di una mappa, per scoprire di tappa in tappa cosa li aspettasse. Poi si è passati a una location unica dove c’è stato il primo grande cambiamento: si sono aggiunti i tornei di basket e lo skate. L’arte è diventata un cardine dell’evento e il market è cresciuto notevolmente. Con il passaggio al Guido Reni District lo scorso anno, abbiamo deciso che era anche il momento giusto per portare anche guest internazionali, così è nato il progetto con Sbtg e Diadora e sono arrivati i dj set. Quest’anno ci sarà anche il calcio e con le guest scelte possiamo dire che ci avviciniamo a un palinsesto di interesse internazionale.
Regalaci qualche highlight.
La mostra sarà sicuramente uno dei punti forti. Non posso anticipare molto ma farà parte di un percorso che durerà altri due anni. Poi abbiamo Stash e James Lavelle come super guest, che faranno performance live sia musicali che artistiche; infine, i live della domenica, con due talenti che stanno spopolando: Sferaebbasta e Tedua.
La locandina chi l’ha realizzata?
Grazie per avermelo chiesto, perché, con orgoglio, abbiamo aggiunto un altro pezzo da 90 nella posse di Ginnika: Scarful. Dopo Michela Picchi, Paola Pompili e Fu Room Studio, che hanno fatto un lavoro magnifico nelle precedenti edizioni, Scarful era l’artista giusto al momento giusto e siamo contenti della scelta presa, oltre che dell’entusiasmo che ha subito dimostrato nei confronti del progetto.
Hai già pensato a che sneaker metterai quest’anno durante Ginnika?
Alla fine, nello stress generale, non metto mai nulla di così eclatante. Preferisco vedere il pubblico cosa indossa.
Hai una collezione vasta di sneaker?
Per amici, collaboratori, compagna e sopratutto madre, da cui sono simpaticamente parcheggiate, ne ho troppe.
Rispetto i miei colleghi italiani ed europei forse di più, forse di meno, ma non conta molto: fa la collezione quello che ti dà emozione, non quello che fa la notizia del momento, né tanto meno la quantità.
Ce n’è un paio cui sei particolarmente legato?
Alla fine do sempre la stessa risposta quando mi fanno questa domanda: Nike Vortex Vintage, una scarpa del 2004 senza infamia e senza lode, ma rappresenta il momento in cui ho deciso che avrei iniziato a non buttarle più. Prima Ne ho avute tantissime, altre molto più belle e che oggi mi piacerebbe avere, ma sono state gettate o distrutte. Posso però dire che al feticcio su citato si sono aggiunte le SBTG x Ginnika x Diadora B.Elite, create appositamente la scorsa edizione in 12 pezzi numerati e – visti gli ospiti di Ginnika 2017, Stash e Lavelle – le due scarpe appena regalatemi e loro famose collaborazioni, che volevo davvero da tanto tempo e che farò autografare.
Quelle più belle?
New Balance 997.5 x United Arrows.
Quelle di cui ti sei pentito per averci speso soldi?
Ne ho fatte di cazzate, però non sono uno che ha speso cifre assurde per una scarpa.
Tra i collezionisti che cifre si arrivano a spendere?
Scegli tu la risposta migliore: vergognose, imbarazzanti, esagerate, idiote.
Qualche collezionista di Roma che conosci e di cui puoi rivelarci l’identità?
Be’, posso riconfermarti che se io ho questa passione la devo sopratutto a Simone Ballante di Be Cool e Renato De Luca di H-Street, di cui ero cliente e di cui oggi, in primis, sono amico. Se l’expo di Ginnika esiste è grazie anche alle loro scarpe prestate per la manifestazione e a molte che ho comprato nei loro negozi. Poi c’è Fabrizio di I Love Tokyo, che credo sia il più grande collezionista Asics in Italia; Attilio Fuocolento, romano ma ferrarese di adozione, che resta uno dei più grandi nel nostro Paese, come collezionista e, soprattutto, come persona.
Le sneaker che indosserai fino a quando rimarrà anche un solo un ultimo brandello di suola?
New Balance 1500 colorazione OG, forse le uniche di cui ho tre paia uguali.
ce ne sono alcune che hai comprato e non hai mai indossato?
La maggior parte sono state tenute solo in mano o hanno visto la luce grazie a Ginnika.
Peggio venire derubato di un paio di sneaker o del motorino?
Vuoi sapere davvero la cosa peggiore qual é? Che ti rubano un solo piede sinistro durante Ginnika… E ti assicuro che tra le 3.000 persone di pubblico della scorsa edizione non c’erano mutilati!