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Cecilia Alemani

Ha curato il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2017, con tre artisti: Cuoghi, Andreotta Calò e Husni-Bey

Scritto da Valentina Rossi il 18 maggio 2017
Aggiornato il 22 maggio 2017

Foto di Marco De Scalzi

Luogo di nascita

Milano

Luogo di residenza

New York

Attività

Curatore

A giudicare dal tam tam mediatico durante i giorni inaugurali della Biennale di Venezia non possiamo certo dire che il Padiglione Italia quest’anno non abbia ricevuto dei consensi, il lato magico dell’arte e la presentazione sintetica – ma monumentale – di solo tre artisti ha restituito uno spaccato dell’arte italiana che si discosta dai progetti curatoriali dell’ultimo decennio. L’esposizione ruota intorno al libro pubblicato nell’immediato dopoguerra, Il Mondo magico, dell’antropologo ed etnologo napoletano Ernesto de Martino di cui Alemani estrae semplicemente un’atmosfera totalmente immaginaria e favolistica che si evince dai maestosi progetti artistici di Roberto Cuoghi e di Giorgio Andreotta Calò, così come dagli elementi che tracciano la narrativa nel video di Adelita Husni-Bey.
Nessun tentativo forzato di volere leggere le linee dell’arte italiana, ma un progetto strettamente connesso al concetto di magia utilizzato come un mezzo cognitivo di lettura del reale e, in questo modo, l’artista diventa una guida (se vogliamo uno sciamano), non solo un semplice produttore di manufatti ed immagini.

Adelita Husni-Bey, Padiglione Italiano Biennale di Venezia 2017, PH. Marco De Scalzi
Adelita Husni-Bey, Padiglione Italia Biennale di Venezia 2017, PH. Marco De Scalzi

Negli ultimi dieci anni il Padiglione Italia è passato dal progetto minimale di Ida Giannelli a esposizioni che restituivano una collettiva ragionata sul dualismo come quella di Pietromarchi oppure opere alla ricerca del codice Italia come quelle proposte di Trione. Come mai hai scelto il numero tre? è un numero magico?
Ho scelto tre artisti perché mi sembrava un bel numero, per non farne solo due o quattro. Mi piacciono i numeri dispari. Immaginavo di suddividere il padiglione in questo modo, attraverso una strategia allestita e architettonica.
Inoltre il Ministero – nella richiesta – è stato molto chiaro nel sottolineare che il progetto doveva esporre un numero limitato di artisti, quindi un ringraziamento va al Ministero e alla loro direttiva.

Quindi una delle tue prime riflessioni è stata in relazione allo spazio dell’arsenale?
Si, l’idea era quella di rispettare questo spazio bellissimo delle Tese delle Vergini che in passato è sempre stato nascosto da cellette e muraglioni creati. A mio avviso è uno spazio con splendidi dettagli architettonici, come i vecchi binari nel pavimento e le capriate, e inoltre è un ambiente enorme e senza colonne, come le corderie, quindi difficile da dividere.
Ho pensato pertanto al padiglione non come uno spazio museale ma ho lasciato gli artisti liberi di instaurare un dialogo con l’arsenale.

Giorgio Andreotta Calò - Padiglione Italia, Biennale  di Venezia 2017, ph. Nuvola Ravera
Giorgio Andreotta Calò – Padiglione Italia, Biennale di Venezia 2017, ph. Nuvola Ravera

Anche il tuo progetto curatoriale parte dalle pagine di un libro – come nella costruzione della Biennale di Gioni con Jung e di Enwezor con Marx, tenendo in considerazione gli opportuni indici di differenziazione tra i tre progetti espositivi, cosa cambia nel tuo approccio?
Un’atmosfera evocata e una visione del mondo.

Ho visto che hai parlato di Magiciens de la Terre, ma non credi che il mito dell’artista come sciamano sia molto differente dall’operazione curatoriale di cui stava trattando Jean-Hubert Martin?
Quella di Martin è una mostra importantissima che ha portato alla globalizzazione. Nel catalogo ovviamente parlo della storia della linea magica nell’arte italiana e della figura della sciamano in un artista come Boetti, piuttosto che Carol Rama, che con la sua arte va oltre all’oggetto prodotto per includere anche la persona.
Se vogliamo ricercarlo in questo Padiglione l’artista che si avvicina di più a questa idea è Roberto Cuoghi.

Hai qualche modello espositivo a cui ti ispiri?
Non per modestia, ma ho dovuto farlo talmente tanto velocemente che non ho preso nessun modello.

Roberto Cuoghi, Padiglione Italia Biennale di Venezia 2017 ph. Roberto Marossi
Roberto Cuoghi, Padiglione Italia Biennale di Venezia 2017 ph. Roberto Marossi

Quando è che effettivamente sei stata nominata?
Sono stata nominata un anno fa e ho avuto circa venticinque giorni per fare il progetto. Avevo pertanto in mente un’atmosfera e sapevo cosa non volevo fare. La difficolta è stata dettata dalla grandezza dello spazio ma è comunque nato un percorso sensato.

Per quanto riguarda il dibattito attuale sulla Biennale di Venezia, e sulle manifestazioni artistiche di questo genere come Manifesta e Documenta, pensi che l’evento veneziano debba rinnovarsi o mantenersi sempre con le suddivisioni nazionali?
La Biennale di Venezia è una delle situazioni più importanti al mondo e non deve abbandonare l’idea dei Padiglioni Nazionali perché è l’unica al mondo che li ha, non dobbiamo diventare come gli altri. La cosa bella che succede a Venezia, nonostante ci siano tantissime piccole mostre – fatte da diversi curatori – intorno alla grande esposizioni, si crea una rete di riferimenti e rimandi tra la mostra principale e i vari padiglioni e gli eventi collaterali. Questo è ciò che rende la Biennale di Venezia così unica perché sta allo spettatore attivare una serie di rimandi e connessioni che a volte non sono voluti. In questi giorni inaugurali molte persone collegano il Padiglione Italiano con Viva Arte Viva, ma questa relazione è successa per caso perché la curatrice ha annunciato il tema a novembre e noi avevamo già progettato il Padiglione.

C’è stato un luogo dibattito sul concetto di “identità italiana” se aveva senso o meno cercare di definire una tendenza generale dell’arte italiana. Qual è secondo te il ruolo della Biennale e del Padiglione Italia?
Per me il Paglione deve offrire ad un numero ridotto di artisti una possibilità unica, un trampolino di lancio. Una piattaforma in cui possano fare il lavoro più bello della loro vita. Non penso che una istituzione come la Biennale di Venezia debba fare delle panoramiche o delle retrospettive di arte, queste operazioni le possiamo lasciare ai mille musei che ci sono nel mondo, ma questo è lo spazio di sperimentazione e ricerca.

– Infatti è ogni due anni ……
Non si può quindi fare una retrospettiva di arte italiana ogni due anni. Questa prassi non è adottata da nessun Padiglione, quindi impariamo con umiltà dagli altri

Roberto Cuoghi, Padiglione Italia, Biennale di Venezia 2017, ph Roberto Marossi
Roberto Cuoghi, Padiglione Italia, Biennale di Venezia 2017, ph Roberto Marossi

Come ti sei trovata da americana adottata a lavorare in Italia, quindi con la macchinosità della burocrazia italiana?
In realtà mi sono trovata molto bene perché non c’è stata tanta burocrazia. Ho avuto a che fare con il Ministero che è l’organo che commissiona il Padiglione e con la Biennale che è l’istituzione che la produce, quindi sono due mastodontici che ti danno l’impressione di essere piccina. Ma in realtà è andato tutto molto bene e non è stato per niente burocratico ma è stato molto “up to you”, quindi te la devi cavare da sola, ma non perché non ti aiutano ma ti danno libertà di crearti il tuo team. Sono stata molto supportata dalla direzione generale del Ministero perchè c’era una grande voglia di mandare un messaggio di rinnovamento e la volontà che questo padiglione Potesse entrare nella massa di tutti gli altri padiglioni e che non venisse visto con imbarazzo.

Invece per quanto riguarda la tua ex città Milano, ogni quanto ci torni? Come mai te ne sei andata? Cosa fai quando torni?
Sono andata via nel 2003 per fare un master a New York e non sono mai più tornata. Comunque torno spesso perché ho ancora la mia famiglia e un appartamento li, torno tre o quattro volte all’anno così come a Natale e qualche toccata e fuga. Mi piace molto tornare perché a New York vivo sempre questo stato di sentirmi come uno studente con i mobili dell’Ikea, le pareti di cartongesso e magari anche al quarto piano senza ascensore. Non si mettono radici.

Secondo te a Milano c’è una realtà che a tuo parere può essere assolutamente considerata “internazionale”? A livello culturale cosa funziona ora nel capoluogo lombardo?
Anche se non sono riuscita a venire all’ultima fiera mi sembra che Miart abbia, grazie al lavoro di Vincezo e Alessandro, un pò svoltato. Nel 2007- 2008 mi trovavo a Torino a lavorare con Bellini ad Artissima e in quel momento era Torino che pesava più sulla bilancia, mentre adesso mi sembra che negli ultimi due o tre anni tra miart e il salone ho visto una Milano centrale.

Nel caso dovessi tornare qui in Italia, con chi vorreste collaborare. C’è qualche istituzione o museo a cui sei interessata per collezione o pratiche curatoriali?
Difficile da dire. Non ti darò mai un nome. Vorrei comunque collaborare con un museo che mette in primo piano gli artisti. Vorrei vedere in Italia la voglia di supportare gli artisti e non la burocrazia che c’è dietro.