Sara (aka Samez, con la quale abbiamo realizzato questa intervista) e Daniel (Sedan) decidono di aprire il loro primo studio a Monterotondo circa 20 anni fa. All’inizio del 2012 è arrivata anche la sede in via Cagliari, nel Quartiere MACRO. Con un team affiatato, composto dai due fondatori, Andrea Oneto, Stefano Giorgi, Tommaso Moretti, Michela Destroy e Tephillah, sono diventati in breve tempo uno degli studi più quotati, capace di accontentare anche le richieste più pazze. Magari fondendole con il loro gusto, a suon di musica alternativa.
Per me il tatuaggio è qualcosa che ti deve accompagnare per sempre, mentre oggi si pensa più all’effetto momentaneo
Quando hai iniziato a tatuare?
Avevo circa vent’anni. Io e il mio attuale socio siamo stati legati sentimentalmente per più di undici anni e quando lo conobbi lui era già piercer in uno studio di Viterbo, nei momenti in cui non lavorava in fabbrica. Spesso mi confidava il sogno di voler aprire un proprio studio e il primo input è stato proprio questo. Ovviamente il mondo della body art mi aveva sempre affascinato, ma mai avrei pensato di farne parte e diventare una tatuatrice. Praticamente ho fatto l’apprendistato nel mio stesso studio! Chiamammo un amico di Daniel dal Venezuela: gli chiedemmo di lavorare per noi e, nel frattempo, di insegnarmi quanto più possibile. Purtroppo il rapporto con lui è stato molto difficile sin dall’inizio e il mio apprendimento è stato molto approssimativo. Quello che sarebbe dovuto essere il mio mentore mi diceva spesso che non sarei mai diventata una tatuatrice. Oggi lo ringrazio, perché quelle parole mi hanno dato la carica e la forza di dimostrare che si sbagliava. Sono sempre stata una persona molto testarda e determinata.
Hai tatuato soltanto in Italia?
No, anzi, sono riuscita ad affinare la tecnica solamente dopo diversi viaggi in California, che all’epoca era la culla del tatuaggio tradizionale. Lavorando a stretto contatto con artisti incredibili e facendomi tatuare da loro sono riuscita a capire alcuni segreti che in Italia nessuno ancora conosceva. Ma la vera svolta l’ho avuta incontrando Sid Stankovitz, tatuatore storico di Orange County, che per anni mi ha dato la possibilità di lavorare con le sue macchinette artigianali. Ho tatuato in America in tantissime convention e in diversi studi famosi, come il Forever Tattoo di Sacramento, Samuel O’Reilly’s di Santa Cruz o L’Outer Limits di Long Beach (ex Bert Grimm). Questo ha aiutato moltissimo la mia crescita e anche quella dello studio, che in breve è diventato uno dei più quotati, anche se al tempo avevamo solamente la sede di Monterotondo.
Che rapporto hai con l’arte in generale?
Un rapporto sostanzialmente didattico. Come nel tatuaggio, prediligo l’arte antica a quella moderna. Potrei risultare misoneista, ma in realtà è semplicemente una forma di amore e attaccamento alle tradizioni più profonde della nostra cultura. Tra i miei pittori preferiti ci sono sicuramente Caravaggio, Raffaello e Tiziano. Le mostre che ho visitato sono prevalentemente quelle di artisti rinascimentali. Il mio rapporto con l’arte però, più che al tatuaggio è legato alla mia profonda fede cristiana. Infatti, più che visitare mostre e musei, nel mio tempo libero mi piace esplorare chiese e luoghi di culto, dove avviene la fusione tra arte e religione. In particolare mi incuriosiscono molto le icone bizantine, tanto che ho comprato un kit per cercare di capirne tecnica e realizzazione. Ho anche avuto la possibilità di mettere tutto in pratica realizzando un quadro per una mostra, “Sante peccatrici”.
Il tatuaggio è un qualcosa che ha molte affinità con il mondo delle sottoculture. Posso chiederti quali sono i tuoi gusti musicali.
Nel periodo in cui ho iniziato a tatuare professionalmente, a Roma c’era una scena punk e hardcore molto vivace. Erano gli anni dei concerti al Traffic, sulla Tiburtina, con gruppi come To Kill, The Difference, Face The Fact e tanti altri legati anche al movimento straight edge, del quale Daniel era ed è un grande fanatico! Ho frequentato quella scena per molti anni, creando una rete di conoscenze tra possibili nuovi clienti e colleghi che hanno stimolato moltissimo la mia formazione e creatività. I miei gusti musicali però abbracciano tantissimi generi diversi, passando dal brit pop con l’amore ancora sfrenato per band come Oasis, dei quali sono una fan sfegatata, Stone Roses, Blur e Ash, all’hip hop, per poi arrivare all’alternative metal dei Korn, Deftones (che sono uno dei miei gruppi preferiti in assoluto), Limp Bizkit e Incubus. È stato un periodo legato anche a un altro locale storico della Capitale, il Blackout, per il quale ho lavorato come organizzatrice di concerti per un po’ di tempo nel 2001. È stato il mio primo lavoro in assoluto. L’unico gruppo che ho tatuato addosso sono gli Alkaline Trio, per i quali ho avuto una vera e propria ossessione all’epoca dei viaggi in California. Negli ultimi anni ho iniziato ad apprezzare tutta la scena post-punk, mentre tatuo però preferisco sonorità più new wave, synth o elettroniche.
Parlami del tuo stile.
Quello che prediligo è il tradizionale, americano e giapponese. Entrambi sono caratterizzati da linee spesse e solide, con colori intensi e brillanti. I tatuaggi realizzati in questo modo li puoi vedere dopo 10/15 anni e sembrano appena fatti, anche se la persona tatuata non ne ha avuto una cura estrema. Per me il tatuaggio è qualcosa che ti deve accompagnare per sempre, mentre oggi si pensa più all’effetto momentaneo.
Che rapporto hai con il quartiere?
Sinceramente non vivo moltissimo il nostro quartiere. I clienti che vengono in studio ci conoscono per lo più attraverso i social o ci raggiungono tramite Google. Ci sono persone di passaggio: quelle che lavorano negli uffici o nei negozi di zona. Il tessuto sociale del nostro quartiere è rappresentato per lo più da una borghesia medio-alta. Una tipologia di persone che solitamente non sposa la cultura del tatuaggio, che invece, per retaggio culturale, appartiene a un contesto proletariato – ovviamente si parla di cliché che stanno cambiando velocemente. Tuttavia, penso che negli ultimi anni ci sia stato un bel ricambio generazionale.