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Fabio Roncato

Gli artisti e i luoghi di sospensione

quartiere Bovisa

Scritto da Annika Pettini il 6 aprile 2022
Aggiornato il 7 aprile 2022

Fabio Roncato. Ph. Glauco Canalis

Le città sono attraversate internamente da “moti migratori” che raccontano molto dei cambiamenti delle diverse zone. Come Bovisa, che per anni ha cercato la sua identità attraversando grandi periodi di “sospensione” in cui “non era più” ma “non era ancora”. Lì, in quel vuoto che spaventa, arrivano gli artisti. Flotte di giovani scapigliati che plasmano lo spazio di nessuno e lo fanno loro. Questa è la storia che ci racconta Fabio Roncato, artista che ha trasformato Bovisa da luogo di lavoro a luogo di casa.

Noi artisti, in questa fase di passaggio, approfittavamo del processo di trasformazione passando da luogo a luogo, di occasione in occasione. Ogni volta che c’erano delle attese burocratiche, noi arrivavamo, quando c’era un momento in sospeso tra il prima e il dopo, ci infilavamo.

Come e quando sei arrivato a Milano?

Sono arrivato a Milano verso il 2003 per fare l’accademia di Brera. La mia prima casa era in via Venosa, una piccola strada vicino a piazzale Lodi, ma non era una casa in realtà, era un garage. In quegli anni c’era una specie di boom immobiliare e qualunque cosa andava bene per metterci uno studente. E noi eravamo un gruppo di padovani che condividevamo un garage con scarafaggi grossi come cagnolini, e pensa che quando siamo andati a vederlo ci sembrava anche di aver trovato un’occasione. Ma d’altronde eravamo anche di quelli che andavano anche a fare la spesa da blockbuster, perché guardavamo una caterva di film e facevamo letteralmente la spesa lì e quella era la nostra alimentazione (con pop-corn al caramello e tutto il resto).

 

Questa cosa del garage non è durata tantissimo (come potrai immaginare) e mi sono spostato un paio di volte, poi ho incontrato questi ragazzi a Brera tra cui Andrea Mattoni (conosciuto oggi come Ravo) e poi Filippo Salerno; eravamo un gruppetto di studenti/artisti e avevamo preso di mira Milano nord. Ci sembrava il posto più adatto per avere uno studio. E lo volevamo figo e grande, un po’ industriale come “gli artisti veri” ma non potevamo permettercelo. Si diceva che a nord ci fossero questi posti abbandonati, così siamo andati a farci dei giri e ne abbiamo trovato uno in via Guicciardi numero 10, che non abbiamo occupato perché non ne eravamo assolutamente in grado. Perciò abbiamo sentito il proprietario di questo posto che, per qualche motivo, ci ha lasciato lì per ben 4 anni. Era gigante. Era un carico e scarico merci, lo avevamo chiamato THE BAG – Bovisa Art Gang e c’era uno scarafaggio ciccione rosa fucsia come logo. Terrificante e impresentabile sotto ogni punto di vista. Però non così male per il 2004.

 

Facevamo qualche mostra – roba con anche 50 artisti – non era un centro sociale ma quasi. Abbracciavamo chiunque arrivasse con idee strane. Da artisti buoni a delinquenti. Scultori, writer, pittori, artisti argentini (ne avevamo un sacco), e degli scenografi che spesso lavoravano per shooting di moda e noi davamo una mano. Essendo tanti dovevamo impegnarci tantissimo anche sul piano della convivenza e sul trovare soluzioni sociali per far sì che il progetto andasse avanti e mediare rispetto ai problemi. Eravamo una comunità.

Succedevano anche cose strane tipo che ad un certo punto siamo passati dal non avere finestre, ad avere queste finestre incredibili, con vetri belli e grate nuove, che davano a tutto il posto un aspetto bello e sicuro. Va detto che a Milano c’erano più soldi e per qualunque lavoretto venivi pagato (o ti cambiavano le finestre a gratis!). In qualche modo comunque verso la fine della nostra esperienza di THE BAG eravamo riusciti a rimettere in sesto quello spazio gigante, anche a livello di immagine.

E poi ci hanno sbattuto fuori. Era il 2007. Tra lacrime e disperazione.

Però ci siamo spostati di poco, in via Cevedale, dove c’era il Trinity Park e dove adesso c’è la Birreria la Ribalta. Il Trinity Park era il più grande parco di skater coperto d’Europa, gestito da questo ragazzo molto eccentrico (Angelo Magni) con un grande progetto ambizioso. Anche qui, il tutto è durato fino a che non ci hanno costruito sopra qualcosa. Ma fino ad allora, in mezzo a tutti sti ragazzi che si lanciavano dalle rampe, abbiamo trovato il nostro spazio.

Secondo te da cosa era dettata la nascita di queste situazioni?

Il fatto è che il quartiere era in una fase di transizione, tutta la sua identità industriale stava per essere trasformata a favore di un’altra visione, dedicata al polo universitario e quindi a un altro tipo di vita. Tutto questo in realtà si traduce in processi immobiliari: capannoni che vanno distrutti, terreni che devono essere bonificati, i ritrovi dei lavoratori da convertire in locali molto berlinesi.

E noi artisti, in questa fase di passaggio, approfittavamo del processo di trasformazione passando da luogo a luogo, di occasione in occasione. Ogni volta che c’erano delle attese burocratiche, noi arrivavamo, quando c’era un momento in sospeso tra il prima e il dopo, ci infilavamo.

E in più avevamo la simpatia di tutti i proprietari di questi immobili per il nostro essere squattrinati e scappati di casa.

E poi?

Io ho fatto un paio di anni al Trinity Park, tra il 2007 e il 2009, poi mi sono diplomato e sono partito. Prima Berlino, poi Venezia, Bologna, Maastricht, sono addirittura finito in Cina e infine sono tornato qui, dopo una decina di anni di vagabondaggio.

Sono tornato nel 2018-2019, esattamente dove c’era The BAG. E tornando in Bovisa l’ho trovata assolutamente diversa, e posso dire in meglio. Il luogo in cui siamo ora (Mamusca ndr) non c’era, ora è tutto più accogliente e con una maggiore identità. Quando eravamo qui non ne aveva una, si diceva che sarebbe stato un buon investimento da ogni punto di vista – come quando hanno spostato per un po’ la Triennale – e poi invece l’ha trovata da sola, senza bisogno di grandi manovre dall’alto che non hanno mai attecchito del tutto. Era un quartiere in attesa, mentre dieci anni dopo la situazione è cambiata e si sta auto-costruendo e auto-determinando.

Quindi hai sempre vissuto qui?

In realtà no, mi sono trasferito a vivere qui dal 2010. Prima ci lavoravo solo e viaggiavo tantissimo con i mezzi di superficie di Milano e posso affermare che sono gli unici posti in cui si legge decentemente. Ho letto il mondo lì sopra. Comunque, prima ci lavoravo ma non ci vivevo, adesso è il contrario. Vivo qui ma ho lo studio altrove e sinceramente preferisco viverci che lavorarci: si è invertita la situazione. Se prima costava poco, era piena di opportunità lavorative, immobili sfitti e situazioni precarie, stimolanti e sperimentali, ora chiama un altro tipo di desiderio, con i suoi piccoli angoli curati, vien voglia di vivere la zona quotidianamente come abitante e meno come lavoratore.

Cosa è successo secondo te negli anni?

Diciamo che questo quartiere ha avuto due false partenze, e questa sembra quella buona. C’è molta più attenzione nel fare le cose, anziché avere ansia di forzare una comunità adesso si capisce come crescono e si coltivano. Attenzione alla scelta delle costruzioni da fare, il verde non incute timore e ne mettono un po’ di più. In termini generali c’è più attività e vita. Tra tutte le partenze che ho visto questa è la più promettente.

Ti faccio un esempio: se vai in bovisasca c’è questo vecchio complesso di case milanesi con la corte dentro, molto “vecchia Bovisa”. Erano case di lavoratori e oggi è completamente circondata dai primi grattacieli costruiti per il politecnico. Super colorati, spaziali, e credo sia indicativo della velocità con cui sono state fatte certe cose e il loro contrasto racconta un processo. Non in modo negativo ma in modo palese.

Allora a questo punto vogliamo sapere da te tutto il meglio e il peggio che Bovisa ha da offrire oggi.

Mamusca per leggere e se hai un figlio puoi abbandonarlo e fare cose normali, tipo prenderti un caffè e rilassarti. E poi c’è uno scambio di libri seri, non riciclaggio carta ma belle selezioni.

META loro sono pazzesche. Hanno una selezione di materiali incredibile e sono molto utili per portare avanti i lavori (ma non ditelo troppo che se no mi rubano tutti i pezzi migliori!).

Circolo Bovisa che una volta era un posto per lavoratori, era il circolino, me lo ricordo perché ci arrivavo dal passante e c’era sempre l’ultimo numero de L’Unità appeso. Biretta, L’Unità attaccata e sciuro con Amaro del Capo.

Trattoria Speranza e il Mi Sciolgo, una gelateria pazzesca dove fanno il Bazooka di Cioccolata, incredibile. Potresti usarlo come ariete per sfondare le porte e poi La Ribalta.

C’è una biblioteca stupenda in via Baldinucci, davvero bellissima.

Devo però ammettere che Bovisa è stranamente collegata male. È circondata da fermate ma in centro non c’è niente ed è difficile pensare che questa cosa cambierà perché comporterebbe un ingorgo ingestibile, ma diciamo che manca un accesso semplice al quartiere.

E manca un parco decente con alberi e tutte quelle cose tipiche di un grande parco. Ce ne sono alcuni ma sono un po’ una via di mezzo, senza un perché. 

E poi due petizioni importanti: non c’è una pizzeria buona! Se avete notizie e ne trovate una vicina fatemi sapere, se no mi tocca andare da Domino. E vi prego, chiedete alle creperie di restare aperte anche a cena oltre che al pranzo per gli studenti.