Ad could not be loaded.

Marco Sannino

Al Pigneto da poco più di dieci anni e con un 'fratello minore' aperto a Monti lo scorso dicembre, Radiation Records è uno dei migliori negozi di dischi indipendenti in Italia. Merito dell'attitudine e di una serie di scelte che lo hanno reso un luogo accogliente ma pure molto aderente alla contemporaneità: in occasione del Record Store Day ne parliamo (lungamente) con l'uomo a capo del dream team che gestiste i due negozi, Marco Sannino.

Scritto da Chiara Colli il 20 aprile 2018
Aggiornato il 9 luglio 2018

Luogo di nascita

Palermo

Luogo di residenza

Roma

La prima volta che misi piede da Radiation aveva aperto da poco e ricordo che raggiungere il Pigneto da Garbatella, affrontando l’esperienza del 105 (l’autobus) in un tardo sabato pomeriggio, mi sembrò proprio come prepararmi all’ingresso in un altro mondo. A portarmici fu una persona che conosceva bene sia i negozi di dischi sia quella zona (per anni era stato dietro il bancone di un posto dall’aura mitologica di nome Just Like Heaven) e quando entrai fu subito chiaro che si trattava di una dimensione un po’ diversa da altri negozi della città, almeno di alcuni di quelli in cui ero stata. Più caldo e accogliente, forse anche un filo più caotico (scusa Marco), ma semplicemente per una certa suggestione, invero molto rock’n’roll, di trovarmi in un posto davvero pieno di roba. Probabilmente presi qualche CD post punk e per qualche ragione Radiation mi fece pensare ai negozi di dischi a Londra in Inverness Street. Per chi ha passato una fase della propria vita andando all’estero a spendere soldi in musica (gran “stereotipo” di cui troverete allusione nelle prossime righe), evitare un’introduzione vagamente nostalgica sulla materia è quasi impossibile. Per fortuna, a riequilibrare questo effetto nostalgia ci pensa, da un po’ più di dieci anni, Marco Sannino: Radiation non solo è uno dei baluardi di un certo tipo di “resistenza” e un vanto nell’ambito della musica indipendente che abbiamo a Roma. Radiation è un luogo che è riuscito a contrastare l’alone anacronistico che troppo spesso ha avvolto (e portato alla chiusura) molti negozi dischi – in Italia e all’estero – mantenendo sia un’atmosfera familiare sia una grande aderenza alla contemporaneità. Nelle scelte musicali (sempre trasversali e attente), nel rapporto coi “clienti”, nell’affiatamento del team, nell’apertura (in primo luogo mentale) anche a declinare il negozio, col tempo, in un’attività online e di autoproduzioni. Parente stretto di Goodfellas, oggi Radiation Records non ha davvero nulla da invidiare ai tanto mitizzati “record shop” di Londra, Berlino e Parigi. A dicembre ha aperto un secondo punto vendita nel Rione Monti e il 22 aprile si appresta a festeggiare, come da tradizione e a modo proprio, il Record Store Day. Abbiamo colto l’occasione per farci raccontare da Marco il percorso e le scelte che dalla sua Palermo, passando per il lavoro per Goodfellas, i viaggi, la passione per il punk e gli Anti You, hanno portato Radiation a essere (con tutta probabilità) il miglior negozio di dischi in Italia.

ZERO: Ciao Marco, come da copione cominciamo con le presentazioni: quando e dove sei nato?
MARCO SANNINO: Sono nato a Palermo, l’1 ottobre del 1975.

Come hai iniziato ad appassionarti di musica e quali sono stati i tuoi primi ascolti? Ti ricordi il primo disco che hai comprato?
heavy-metal
Ho ereditato da mio padre un po’ di bei dischi e una timida passione per Elvis e i Beatles, ma un momento topico della mia infanzia fu Sanremo ’82, quando rimasi folgorato dai Kiss che apparvero dal nulla in collegamento satellitare dallo Studio54 suonando I. Comprai il disco per riascoltarlo pomeriggi interi in loop, ma poi non riuscivo a trovare molto altro in quegli anni a Palermo. Mi feci distrarre per qualche anno dalla mia altra grande passione infantile, il calcio, sia giocato che “tifato”, fin quando qualche anno dopo, a casa di un compagnetto di scuola della prima media, vidi un poster dei Kiss nella cameretta del fratello sedicenne. Entrai per chiedergli dove lo avesse trovato, stava ascoltando Ozzy Osbourne. Mi parlò degli AC/DC, dei Mötley Crüe, e dei Black Sabbath. Mi fece vedere Ciao 2001 e HM, e mi indicò un negozio di dischi dove si trovava un po’ di roba che faceva per me. Il giorno dopo comprai Made in Japan dei Deep Purple, tecnicamente il primo disco che comprai con coscienza, poi Powerslave degli Iron Maiden e Theather Of Pain dei Mötley Crüe. Avrò avuto 8 anni. Un bel giorno, poi, trovai in offerta un doppio LP al negozio di dischi sotto casa. Lo comprai perché costava 3000 lire e in copertina c’erano dei capelloni. Era It’s Alive dei Ramones. Ricordo ancora la sensazione che provai quando misi giù la puntina una volta a casa. Joey introdusse Rockaway Beach, Dee Dee contò fino a quattro e la mia vita non fu più la stessa.

Prima di aprire Radiation lavoravi per Goodfellas – e tra poco ci arriveremo – ma ci racconti cosa facevi ancora in precedenza? Le band in cui hai suonato, se già lavoravi in ambito musicale pubblicando dischi… Insomma, l’esperienza che ha preceduto Goodfellas e gettato le basi per il “progetto” Radiation.
Vivo a Roma da dodici anni. Radiation ha aperto nel 2006, e ho lavorato da Goodfellas nei due anni precedenti. È stata un’esperienza fondamentale per me, e le due ditte vivono in forte sintonia ancora adesso. Il nostro rapporto è antico: quando vivevo a Palermo avevo una piccola etichetta punk rock, che si chiamava Gonna Puke, con cui pubblicavo buona parte della musica del mio gruppo di allora, i Semprefreski, e 45 giri di gruppi di ogni dove, dal Brasile, al Canada, agli USA. Loro ne erano i distributori. Diventammo amici e anni dopo, quando mi trasferii a Roma, mi offrirono un lavoro. A Palermo suonavo con un gruppo piuttosto attivo e spesso in tour, facevo il dj, organizzavo concerti, distribuivo dischi, facevo qualsiasi cosa potessi per creare un circuito legato alla musica che amavo. Era una passione e nulla più, e non contemplavo per nulla l’ipotesi che un giorno potesse diventare altro: studiavo biologia all’università e, pur vivendo queste mie passioni con un certo ardore e senza risparmiarmi per nulla, per me restava un gioco. E poi il contesto non si prestava di certo. Mi laureai subito prima di spostarmi a Roma definitivamente, quando già era chiaro che avrei intrapreso tutt’altra carriera. O che almeno non avrei fatto lo scienziato a lungo.

Come mai ti sei trasferito a Roma? E quando sei arrivato qui, che impressione ti ha fatto la città? Se non sbaglio organizzavi anche concerti agli Ex Magazzini, portavi avanti tutte le attività insieme?
Nonostante tutto ciò, a Roma mi son spostato per ragioni puramente sentimentali. La mia attuale compagna di vita – che aveva vissuto negli Stati Uniti tre anni e con la quale vivevo un lancinante rapporto a distanza da quasi un decennio – sarebbe rientrata a vivere nella sua città natale, ed è questo il motivo per cui son finito qua. Avevo un’amorevole fidanzata, degli ottimi amici e un lavoro: il mio atterraggio è stato molto “soft”. Per me Roma, rispetto al contesto da cui provenivo, era il paese dei balocchi. Tutto ciò che volevo fare mi veniva dieci volte più semplice. Cominciai a lavorare da Goodfellas ma al contempo organizzavo concerti. Facevo questa serata che si chiama Painkiller in cui organizzavo dei live e dei dj set a tema punk/garage, e mi inventai un vero e proprio secondo lavoro come promoter locale. La cosa è durata qualche anno, fino a che Radiation non ha richiesto troppo impegno e ho pian piano mollato la presa. Nel frattempo anche gli Anti You e gli altri gruppi che avevo messo su qui a Roma mi richiedevano tempo, e la cosa non era più fattibile. Mi capita ancora adesso di organizzare degli eventi, è un vizio che non ti togli facilmente, ma nei miei primi anni romani quell’attività è stata davvero spasmodica. Mi son divertito tantissimo, ho conosciuto un sacco di gruppi e messo in piedi tanti rapporti che mi son tornati utili negli anni a venire, ma è stato anche molto stancante per altri versi. Nessun rimpianto, ma non mi manca per nulla quella fase della mia vita.


La scena a cui ti senti più legato è sempre e comunque quella punk? Ci sono delle persone, dei luoghi o delle realtà che sono state particolarmente importanti per la tua formazione e il tuo legame con Roma?

Sì, sono legato alla scena punk e hardcore, in tutte le sue forme e manifestazioni. Ho ascoltato di tutto in vita mia e ho visto tonnellate di concerti di ogni tipo, tra i miei preferiti annovererei anche gruppi hip hop, shoegaze e industrial e nei miei dieci dischi da isola deserta ci starebbe anche del reggae e del jazz, ma il mio legame più forte è senza ombra di dubbio con quel tipo di scena. Ci sono delle persone a cui devo tantissimo qui a Roma: Valentina, che è la mamma di mia figlia e che mi sopporta da quasi venticinque anni, i miei “colleghi” di Goodfellas, cui devo tantissimo in termini umani e professionali, e i ragazzi degli Anti You, che sono stati come dei fratelli per me in questi anni.

Come hai iniziato a lavorare per Goodfellas e di cosa ti occupavi? Che tipo di atmosfera, di approccio c’era, anche in relazione/opposizione alla situazione di iniziale fase di crisi dei negozi di dischi che stava prendendo piede in Italia…
Quando ho iniziato da Goodfellas lavoravo alla distribuzione, cioè alla vendita ai negozi di dischi Italiani dei prodotti distribuiti in esclusiva. Era un periodo davvero complicato per il settore, quello immediatamente successivo a Napster e Kazaa, per intenderci. I negozi di dischi chiudevano, e il concetto stesso di “acquistare musica” era messo in seria discussione. Oggi sembra assurdo parlarne, con tutto questo ritorno del vinile e con il recente “riassestamento” del mercato, ma in quegli anni vendere dischi era visto come una follia. Restammo a galla egregiamente, ma il mercato era in continuo cambiamento. Goodfellas, che aveva aperto intorno al 2000 un piccolo punto vendita al piano di sotto dell’ufficio di via Fortebraccio, puntò sulla vendita diretta spostando il negozio in un locale quattro volte più grande, su Circonvallazione Casilina 44. Le cose non andarono male, ma la vera anima di Goodfellas era la distribuzione, non la vendita al dettaglio. Decisero di mollare e io mi candidai per ereditare la baracca e mettermi in proprio.

radiation-records

 

Prima di aprire Radiation quali erano i negozi di dischi che frequentavi a Roma e in Italia in generale?
I Palermitani della mia generazione compravano i dischi nell’unico negozio decente della città: la Boutique della musica, che ha chiuso giusto 4/5 anni fa. Lo gestiva Paolo Taormina, un signore bizzarro un po’ burbero che scrisse anche dei libri di poesia e, per quel che ne so, si fece un discreto nome in quel mondo. Lì ho comprato tanti dei miei dischi “fondamentali”. Non arrivava tutto, purtroppo. Erano anni difficili! Compravo tantissimo per posta da New Zabriskie Point a Milano, che allora era la mecca del punk in Italia, da Contempo a Firenze e ovviamente da Disfunzioni Musicali qui a Roma. Parliamo dei primi anni ’90. Ordinavo i dischi quasi completamente alla cieca sulla base di un annuncio su Rockerilla con una mini-lista di venti o trenta titoli, che poi puntualmente mancavano e finiva che prendevo tutt’altro, sulla base magari dei consigli di chi mi rispondeva al telefono. Erano altri tempi. Qui a Roma sono molto affezionato a Hellnation, il cui proprietario, Roberto Gagliardi, merita anche lui un posto d’eccezione tra le persone che al mio arrivo mi hanno “accolto” fraternamente. Inoltre compravo tantissimo da Pink Moon e Transmission, oltre che al piccolo negozio di Goodfellas a via Fortebraccio, al piano di sopra del quale poi finii a lavorare di lì a poco.

E all’estero?
Mi considero un appassionato di negozi di dischi. Nel senso che oltre alla musica, mi piacciono proprio i negozi di dischi. È una passione “parallela”. Non ho un disco di musica classica, non ne capisco nulla, ma potrei stare un’ora in un negozio di musica classica. Guardo come dividono i dischi, come sistemano le novità, come li classificano. Alle volte riconosco dove è stato comprato un disco dal prezzo che ci sta sopra. Mi piace Generation Records e Acedemy a New York, mi piacciono gli Amoeba in California, e in tour con gli Anti You abbiamo girato negozi di dischi in tutta l’America. Molti sono bellissimi e fornitissimi, ma se posso scegliere preferisco il modello europeo, più a misura d’uomo. In America lo spazio non è mai un problema, e i negozi sono grandi come palestre. A me, che oltre allo stock ne valuto l’organizzazione interna, mi appassiona di più un negozio come Acetato a Valencia, o il vecchio Rough Trade a Londra. Tanti miei amici e collaboratori gestiscono o lavorano in bellissimi negozi dischi in cui vi consiglierei di andare: Out On The Floor a Londra, La Face Cachée a Metz, Born Bad a Parigi, Mickes Vinyl, Trash Palace e Record Runner a Stoccolma, Distortion ad Amsterdam, Mississippi Records a Portland e mille altri che probabilmente dimentico adesso.

(ovviamente) Amoeba Records a Los Angeles
(ovviamente) Amoeba Records a Los Angeles

 

Come inizia il “progetto” con Radiation? Quali sono state le linee guide che ti sei dato fin dall’inizio e come ti sei adoperato affinché l’idea di partenza prendesse forma?
Radiation è nato come negozio puro, di dischi e CD nuovi e usati. Tutte le attività correlate e connesse alle nostre produzioni sono successive di qualche anno. All’inizio un’idea l’avevo chiara: volevo un negozio che fosse più simile possibile ai negozi di dischi all’estero che mi piacevano. Ora si suole dirlo di meno nell’ambiente, ma ai tempi era come se all’estero i negozi di dischi fossero invidiabili per definizione. Si andava a Londra o a Berlino a comprare dischi, come se in Italia non ne avessimo e, quando ne avevamo, erano costosissimi. Come per tutti i luoghi comuni ciò era vero solo in parte, nel senso che la nostra innata esterofilia ci rendeva spesso ciechi di fronte all’evidenza. Ma, se devo pensare a una linea guida che ho avuto sin dall’inizio, è quella: per quanto era in mio potere, volevo sfatare questo mito. Volevo che i miei clienti tornassero da Berlino e da Parigi e mi dicessero che i dischi d’ora in poi li avrebbero comprati al Pigneto, perché la nostra selezione era altrettanto intrigante e i prezzi erano del tutto paragonabili. Ho lavorato su due parametri base: l’offerta e i prezzi dell’usato. Non ho mai aspettato che mi telefonassero e mi vendessero la collezione di dischi del secolo per due spicci, ma sono andato in giro in mezzo mondo cercando dischi ovunque e comunque, approfittando dei tour del mio gruppo, delle fiere all’estero e intrattenendo rapporti con colleghi stranieri da cui acquistare in grosse quantità. E poi ho provato a mantenere una politica di prezzi più onesta possibile, competitiva col mercato online allora in vertiginosa ascesa, e che mi premiasse sui lunghi tempi. E ricordo con estrema soddisfazione il giorno in cui un mio carissimo amico, arcinoto Dj romano e collezionista di dischi, mi disse esattamente quello che avevo desiderato per anni: «Marco, sono stato a Londra di recente e… Sai una cosa? Il tuo negozio è più bello di tutti quelli che ho visto». Non pensavo che sarebbe mai successo esattamente come lo immaginavo, fu una soddisfazione enorme!

Radiation: vinili
Radiation: vinili

 

A Roma, ma pure in tutta Italia, Radiation è un po’ un esempio virtuoso: c’è un’ampiezza di vedute che credo riesca a mettere insieme l’atmosfera anche old school del “record shop”, ma pure una dinamicità per via della quali ti occupi anche di pubblicare dischi come etichetta e lavori come mail order parecchio online; c’è poi una varietà relativa alla tipologia di supporti, alla scelta dei dischi… Cos’è oggi Radiation e quali sono state le scelte che vi hanno permesso di resistere in un periodo difficile, e diventare anche un modello o comunque un ingranaggio piuttosto funzionante in questi anni?
Noi stiamo in piedi perché abbiamo costruito una clientela che ci stima. Quello che desidero è che il cliente torni, che esca contento perché ha fatto un buon affare, e che sia trattato amichevolmente. Chi lavora con me sa che ho una vera e propria fissazione per le buone maniere. Lo stereotipo del negoziante anni ’80 – col broncio e che ti tratta come se ti stesse facendo un favore nel venderti qualcosa – non mi è mai piaciuto, forse perché sono stato tante volte nella parte del cliente. Un minimo di cordialità e un sorriso non fanno mai male. E poi lavoriamo tanto. Raramente da Radiation qualcuno è con le mani in mano. Lavoriamo a un ritmo molto sostenuto. La vendita on line è circa un terzo del nostro fatturato al dettaglio, è cresciuta tantissimo negli ultimi cinque anni, e continua a farlo. Ma è il negozio, i nostri clienti, che costituiscono la nostra forma di “income” più importante. Oltre ovviamente alle label e alle produzioni, ma quella è tutt’altra storia.

Dacci la tua versione dei fatti: perché a tuo avviso molti negozi, a Roma, in Italia e all’estero, hanno chiuso? Quali sono stati i fattori inevitabili e quali invece gli errori gestionali appannaggio tanto di etichette quando di chi aveva i negozi di dischi?
Il mercato della musica tradizionale, intorno ai primi Duemila, ha subito un terremoto senza eguali con la diffusione dell’mp3, che è stato scelleratamente presentato come alternativa valida all’acquisto dei supporti fonografici classici. Da un lato si è promosso a gran voce il downloading a pagamento come la nuova frontiera del mercato discografico, allontanando la gente dai negozi e dall’acquisto della musica “fisica”; dall’altro non si è regolamentato minimamente il downloading gratuito e illegale, che di fatto è stato l’unico fruitore di quell’impianto promozionale abnorme. Il risultato è stato paradossale, e la situazione non si è più ripresa almeno fino a quando, in tempi recentissimi, il target di riferimento, ormai satollo da questa folle scorpacciata, non ha accennato alla necessità di un ritorno al “fisico” che ha trovato nel vinile il suo nuovo ambasciatore. Questo terremoto ha lasciato tante vittime, molte delle quali illustri. La chiusura di Disfunzioni a Roma è stata un po’ l’evento simbolo di questa rivoluzione, uno spartiacque che ha creato un “prima” e un “dopo” nella storia dei negozi di dischi in Italia. Non credo che si possano dare delle colpe a qualcuno. La rivoluzione delle comunicazioni cui abbiamo assistito nell’ultimo ventennio ha investito tantissime categorie merceologiche in maniera analoga. Il dato di fatto è che nell’era pre-Internet se non compravi i dischi non potevi ascoltare la musica che c’era registrata dentro, adesso invece hai mille modi per farlo. Comprare un disco o un CD ti rende di default un collezionista, perché quel che vuoi oggi è l’oggetto che cammina con quella musica. Lo vuoi conservare, lo vuoi mettere nello scaffale accanto ad altri oggetti analoghi, lo preferisci se è in tiratura limitata, ti ci vuoi fare una foto da mettere su Instagram. Qualunque utilizzo tu ne voglia fare, il punto è che il cliente pre-Internet aveva bisogno di un mezzo, quello di oggi ha voglia di un fine, che è l’oggetto stesso dell’acquisto. Praticamente è un altro articolo. Chi è riuscito a individuare questa differenza ha annaspato fino alla riva. Molti, ahimè, non ce l’hanno fatta.

Radiation: interno (le buone maniere prima di tutto)
Radiation: interno (le buone maniere prima di tutto)

 

Ci sono state delle etichette o dei negozi stranieri a cui ti sei ispirato?
Ci sono eccome, ma sono italianissimi. Uno dei negozi più longevi che conosco è a Bologna e si chiama Disco D’Oro, e quest’anno compie 40 anni. Abraxas è una società che si occupa di ristampe in vinile, è tra le più attive al mondo. E fa base a Firenze. Goodfellas è probabilmente uno dei distributori discografici indipendenti più stabili e professionali del globo. Ho avuto la fortuna di crescere alla corte di alcuni tra i più grandi del settore, quindi non ho dovuto guardare troppo lontano per cercare dei modelli.

Chi fa parte del team di Radiation e come vi dividete i ruoli?
Io mi occupo delle produzioni e dei rapporti con i distributori, ma continuo ancora a seguire tanti aspetti relativi ai negozi. Faccio buona parte degli ordini, tutti i pagamenti e l’amministrazione, e supervisiono il lavoro degli altri, che si occupano dei negozi e del magazzino. Il mio braccio destro storico in tutto è il prode Stefanone. I negozi sono in mano a Emanuele, Andrea e Luca. Un gran caos organizzato.

Com’è la tua giornata tipo?
Vado a letto tardi e mi alzo presto, faccio il caffè a Valentina, accompagno Irma a scuola e mi metto al computer, per staccare dopo dodici o quattordici ore. La sera vado ai concerti, o suono, o sto a casa a leggere la favole fino a tardi. Anche mia figlia non dorme granché.

Con Irma da Radiation
Con Irma da Radiation

 

A dicembre avete aperto un secondo negozio a Monti: da dove arriva questa esigenza e come avete ponderato questa scelta? Voglio dire, quali i pro e i contro che avete valutato, penso che ai meno ottimisti sia sembrata una mossa folle…
È una mossa folle, ma si sono presentate delle condizioni favorevoli. Volevo soltanto creare uno o due posti di lavoro in più per degli amici, e avere un ufficio dove poter lavorare comodamente, e in quel posto si potevano fare entrambe le cose. Il momento è propizio e noi siamo fiduciosi. Il quartiere ci ha accolto benissimo, noi veniamo dal Pigneto e quello è un altro pianeta per certi versi.

Ci sono delle differenze di “impostazione” immagino tra i due negozi, penso anche solo per la posizione diversa e a suo modo strategica di ognuno dei due…
La mia idea iniziale era partire con una “fotocopia” del Radiation storico, per poi raccogliere informazioni e decidere che taglio dare al nuovo negozio. Lì è tutto molto diverso, la clientela è per buona parte occasionale e talvolta si parla inglese per tutta la giornata. Ovviamente ci tengo che il carattere originario venga mantenuto, che l’approccio alla materia rimanga quello e che il nuovo arrivato non risulti troppo diverso dal suo omologo più anziano, ma al contempo mi affascina l’idea di poter comunicare anche con una fascia di clientela non specializzata, o almeno non tanto quanto quella che abbiamo coltivato in questi anni.

Radiation  @ Monti
Radiation @ Monti

 

Com’è la clientela di Radiation? Facci ridere e descrivici dei clienti “tipo”, nelle loro fissazioni o nella loro genericità…
Ognuno è un “tipo”. Ognuno ha delle fissazioni e ognuno ha un suo specifico rapporto con noi, con il negozio, con la sua collezione di dischi. È un mondo parallelo, per certi versi completamente folle. Al contempo, è il mio mondo e sono loro che mi permettono di tenerlo in piedi, quindi gli voglio bene e non voglio che nessuno ne rida.

Il vinile era dato per spacciato ed è tornato, credi che possa succedere la stessa cosa col CD? Quali sono a tuo avviso i pro e i contro dei due supporti?
Non credo che possa succedere al CD proprio la stessa cosa che è successa al vinile, ma sono certo che qualcosa succederà. È una legge che regola il mercato del superfluo: quando qualcosa cessa di essere prodotto su larga scala, e di esser disponibile facilmente, automaticamente diventa “collezionabile”. Proprio come è successo al vinile. È bene fare attenzione, però: per quanto il “revival” del vinile sia sulla bocca di tutti, è sempre il CD a farla da padrone nelle vendite ufficiali. Soprattutto in Italia. Le differenze tra i due formati sono quelle evidenti: il CD è più comodo e pratico, costa meno a prodursi, è meno fedele ma contiene più dati. Il vinile è bellissimo, è affascinante, ma pesa una cifra e richiede tanto spazio pur contenendo poche informazioni. Quando il CD è stato immesso sul mercato, ci è stato presentato come alternativa super deluxe al vinile: una costosissima alternativa in grado di soddisfare gli audiofili più esigenti e di sopravvivere alle intemperie nei secoli dei secoli. Ci abbiamo messo vent’anni a capire che era tutta una bufala, ed è questo il motivo per cui il CD non gode per adesso di grande popolarità. Povero CD, non meritava tanto odio.

CD amorevolmente preservati da Radiation
CD amorevolmente preservati da Radiation

 

Ti chiedo una riflessione su Roma, diciamo da insider: per quanto riguarda i negozi di dischi qualcuno resiste (ma forse è una città dove ce ne sono sempre stati più della media italiana) e anche grazie al lavoro di Radiation non siamo messi malissimo – ma sicuramente potrebbe andare meglio; però, sai bene che per la musica dal vivo invece la situazione è molto poco dinamica, in una fase di stallo nonostante ci siano delle realtà che resistono, penso al Fanfulla, al 30 Formiche, ai ragazzi di Unplugged In Monti o al Monk. Se dovessi descrivere il rapporto di Roma con la musica come lo faresti?
Sono ondate che fanno parte di queste cose. Solo pochi anni fa, all’indomani del terremoto sul mercato discografico di cui ti parlavo, tutti sono diventati promoter dall’oggi al domani. Del resto, gli artisti, che non guadagnavano più dai dischi, hanno cominciato ad andare in tour il triplo di prima perché era diventato il loro “income” primario, e in qualche modo c’è stata una rinascita di interesse sul live, che ora, naturalmente, è in fase di riassestamento – mentre, guarda caso, si è riacceso l’interesse verso il vinile, i negozi di dischi e le forme più “intime” e meno sociali di fruizione della musica. Riguardo a Roma, io non dispererei. La proposta live di qualità c’è sempre stata. Non è Milano o Berlino, non è al centro dell’Europa, e quindi non è proprio una tappa obbligata del “routing” classico, ma insomma, di roba ce n’è eccome. Il Fanfulla, il Traffic, il 30 Formiche, sono tutti locali molto attivi e con una programmazione di tutto rispetto. Fino a solo pochi mesi fa te ne avrei nominati altri di locali romani, alcuni dei quali ci sono stati invidiati per anni dal resto d’Italia, ma l’attuale amministrazione comunale sembra non avere molto a cuore il tema dell’entertainment di qualità.

Support your local scene
Support your local scene

 

Tu suoni anche negli Anti You: a Roma c’è ancora una scena hardcore, c’è stato un ricambio generazionale? Per certi versi anche suonare in una band punk/hc fa parte di un discorso unico rispetto al lavoro con Radiation, vedi delle connessioni?
La scena punk e hardcore muore e risorge dalle proprie ceneri, in cicli inevitabili. No, in questo momento a Roma non mi pare che in quegli ambienti si respiri un’aria di rinnovamento, anzi. Ma vedrai che prima o poi salterà fuori qualcosa, anche perché è sempre stata una scena parecchio vitale e con una forte tradizione. Purtroppo come spesso succede nelle grandi città, è molto autoreferenziale. Con gli Anti You, in dieci anni, abbiamo fatto tre LP e parecchi singoli, tre tour americani, abbiamo pubblicato quasi solo su label straniere… Abbiamo addirittura fatto una trasmissione radio in diretta per Maximum Rock And Roll. Per noi è naturale e necessario confrontarci con altre realtà, mentre a Roma spesso noto che i gruppi, anche di livello medio/alto, fanno fatica a lanciare lo sguardo al di là del raccordo. Le connessioni con Radiation ci sono ma a livello personale, nel senso che a me il punk rock mi ha insegnato che desiderare una vita più degna di esser vissuta è giusto e sacrosanto, e infatti la vita che sto facendo adesso mi piace un sacco. Per il resto, invece, direi di no: non ho mai voluto un negozio che si rivolgesse ai miei amici o alla “scena” a cui faccio riferimento. Voglio che Radiation accolga clienti che vengono trattati come amici, non viceversa. Inoltre, non ho mai voluto che fosse un negozio di dischi “punk” o “alternative”: a me piace un sacco di roba diversa.

Un RSD di qualche anno fa da Radiation
Un RSD di qualche anno fa da Radiation

 

Record Store Day: da quando ne parla anche Mollica su Rai 1 e le edizioni limitate finiscono su eBay ovviamente è diventato un appuntamento che non convince e unisce tutti. Personalmente credo che come al solito tutto sta nell’attitudine e quello che conta è supportare le realtà sul territorio. In che misura rappresenta una nuova ricorrenza importante per voi e per le realtà come Radiation e credi che possa avere ancora un senso, nonostante tutto il contorno e le cattive abitudini che tendono a svuotare questa festa?
Il Record Store Day è una ricorrenza che si proponeva originariamente di porre l’attenzione sui negozi di dischi quando questi erano una specie in estinzione, ed è nata con dei propositi inattaccabili. Come spesso succede in queste cose, cresciuti i numeri e raggiunto il mainstream, si perde un po’ dello spirito iniziale. Le uscite esclusive sono diventate troppe e spesso un po’ forzate, il “buzz” mediatico che lo accompagna è noioso e intriso di retorica, e più che l’originaria festa dei negozi indie sembra oggi una celebrazione dello strapotere delle major. Detto questo, noi lo festeggiamo in maniera personalissima e del tutto indipendente da queste logiche da tanti anni. Abbiamo sempre invitato appositamente ospiti a suonare in negozio, facciamo una serie di picture 7” in esclusiva per la nostra festa – che negli anni ha incluso release di Joy Division, Germs, Adicts, MC5 e Circle Jerks – proponiamo degli sconti ai limiti della follia per fidelizzare nuovi adepti. Non iscrivo neanche più la mia iniziativa sul sito ufficiale del Record Store Day, non me ne frega nulla. C’ero prima di loro e il RSD di Radiation cammina da solo perfettamente. Non mi toglieranno il piacere di celebrarlo, anche perché ne abbiamo costruito una tradizione che è più legata a Radiation che alla ricorrenza in sé, o almeno così la vivono i nostri clienti. È vero: il RSD, come dici tu, non convince tutti i miei colleghi, ma è anche vero che siamo l’unica e sola categoria di commercianti che gode di una ricorrenza mondiale che ne celebra l’esistenza. Lamentiamoci di qualcos’altro, se proprio dobbiamo.

RECORD-STORE-DAY-RADIATION

Cosa farà Radiation quest’anno per il RSD, ci saranno differenze tra i due negozi e quali sono le uscite ad hoc che avete scelto?
Dalle 10:00 alle 21:00 ci sarà il party ormai leggendario di Radiation, per la prima volta in due punti vendita in contemporanea. Abbiamo deciso dopo attenta riflessione e con un po’ di dispiacere di evitare il live in-store (negli anni scorsi abbiamo organizzato dei mini-concerti di Reverend Beat Man, Miss Chain, Elli De Mon, Martin Savage, Menic e Juanito Wau) perché la frequentazione è altissima e negli ultimi anni era diventato impossibile contenere tutti. Come ogni anno presentiamo un disco esclusivo per la nostra festa distribuito quasi solo nei due negozi: stavolta sarà la ristampa del primo singolo degli MC5, datata 1967, in picture disc 7”. La nostra etichetta, inoltre, distribuirà release esclusive in vinile LP per Gun Club, Superheroines, Nico, Chameleons e Crushed Butler. In negozio, per tutta la giornata ci sarà lo sconto del 10% su tutti i dischi nuovi, del 20% su tutti gli usati e dell 50% su una selezione di oltre mille CD usati. Vi aspettiamo con ansia!