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Men With Secrets

Donato Dozzy e i Retina.it insieme per un tuffo nella wave mid-80s di sorprendente bellezza e contemporaneità.

Scritto da Nicola Gerundino il 11 marzo 2020

Luogo di residenza

Roma, Napoli

Attività

Musicista

Sorprendente, ma neanche troppo. Il flusso sonoro che traghettò gli anni 80 nei 90 trasportò molti contenuti delle scene wave, goth, industrial e synth nel calderone techno e rave, che poi, a sua volta, avrebbe generato nuove scene e filoni. E come si risale un albero genealogico per scoprire i propri avi, così due fari della scena elettronica italiana contemporanea, Donato Dozzy e i Retina.it (Lino Monaco e Nicola Buono), dopo una prima collaborazione con il progetto Le Officine di Efesto, si sono ritrovati assieme per lavorare a un album che scava nei loro ascolti d’antan, rivelandone tutta la loro attualità e inesauribilità. “Psycho Romance and Other Spooky Ballads” è uscito lo scorso gennaio per l’etichetta newyorkese The Bunker – label di culto per l’elettronica dall’animo clubbing – e ce lo siamo fatto raccontare direttamente dai tre Men With Secrets.

 

Prima di parlare del progetto Men With Secrets, mi piacerebbe fare qualche passo indietro e tornare alla vostra prima collaborazione, Le Officine di Efesto. Come è nata?

Lino Monaco: Il “colpevole” di tutto è stato Antonio Giova (natural/electronic.system), un nostro caro amico. Un giorno passò da noi per prendere dei vinili e, parlando del più e del meno, ci disse che avremmo dovuto contattare Donato, essendo a conoscenza della sua stima nei nostri confronti. Visti i nostri tempi, non lo facemmo subito, ma diversi mesi dopo. Da lì in poi le cose sono andate così come si conoscono.

Che tipo di esperienza è stata, soprattutto dal punto di vista musicale?

L.M.: Diciamo che è stata un’esperienza molto positiva, visto che appena finalizzate “Automa Talos” e “Automa Pandora”, le prime due tracce a nome Le Officine di Efesto, la Semantica Records, con la quale sia noi che Donato eravamo già in contatto, si dimostrò subito interessata a pubblicare su vinile i due brani che avrebbero poi composto il nostro primo 12″. All’EP lavorammo a distanza, senza incontraci di persona, cosa che poi abbiamo fatto nello stesso anno della release (il 2015) invitando Donato a suonare al nostro festival, Sonic Subsidence, a Pompei. Il secondo disco, “The Elements”, ha avuto invece un percorso diverso: nel 2017 Donato venne da noi in studio per registrare delle sessioni di improvvisazione da cui abbiamo ricavato i cinque brani che andarono a comporre l’EP. Ovviamente per gli arrangiamenti, l’editing e il missaggio ci siamo presi più tempo e abbiamo completato il tutto in un secondo step.

 

Immagino che nelle ore passate assieme in studio abbiate reciprocamente scoperto un background comune di passioni e suoni, molti dei quali radicati nella wave degli anni 80.

L.M.: Più che lo studio, sono state fondamentali le ore ai fornelli! Soprattutto quando Donato spadroneggiava con il suo: «Guagliu’! Stavolta ve faccio la carbonara mia, quella vera!». Succede che da lì inizi a parlare di tante cose, vai a fondo e sì, abbiamo scoperto che poi non eravamo tanto dissimili, anzi.

Quali sono stati gli artisti wave che più avete ascoltato? Quelli che vi hanno rapito il cuore e l'orecchio al primo ascolto.

L.M.: John Foxx.
Nicola Buono: Clock DVA.
Donato Dozzy: Visage e Richard Bone.

 

Come era la scena wave nelle vostre città?

L.M.: A Napoli uno dei punti focali è stato il Diamond Dogs. Un bel posto ricavato nel sottosuolo (Napoli Sotterranea), costituito da caverne e corridoi scavati nel tufo. Da li è passato di tutto: dalle prime avanguardie della scena industriale al goth americano dei Christian Death. Culturalmente per la città erano anni di fermento e novità, anche se, paradossalmente, nel complesso si è trattato di un periodo molto duro a causa di tantissimi episodi di malavita, che in quegli anni erano praticamente all’ordine del giorno. Un gran bel negozio di dischi era Tattoo, in pieno centro, a cui, dopo alcuni anni, si affiancò Demos, che divenne il primo distributore italiano di “musiche altre”.

N.B.: Data la mia età più giovane, non ho vissuto direttamente gli 80 sotto l’aspetto musicale più “underground”. Ho scoperto la new wave, come altri generi affini, nel decennio successivo, grazie a Lino che mi passava dischi e informazioni. Ho vissuto invece il periodo del suo tramonto e della nascita di altri movimenti: l’esordio della techno, della trance e anche di una certa elettronica meno dance. Ricordo bene che nei club arrivava il pubblico che usciva da quegli anni e vedeva di buon grado il cambiamento.

D.D.: Nel mio caso la wave fu toccata nel suo versante più disco, attraverso i mixati del dj che mi ispirò quando ero quattordicenne: il barese Maurizio Laurentaci. Imparai dei Simple Minds, di Richard Bone, dei Gaznevada e di molti, molti altri, ricavandone un imprint che mi è rimasto tutta la vita. I negozi di dischi a Roma dove attingere a questi generi erano davvero tanti, ma su tutti c’era Goody Music. Poi, in età più avanzata, ritornai a cercare alcune di quelle gemme nel negozio che segnò il mio periodo universitario: Disfunzioni Musicali.

Sono state scene che poi hanno avuto un percorso simile al vostro e sono confluite nell'elettronica/techno dei 90?

L.M.: Sì, il passaggio ai 90 è stato naturale: chi aveva avuto orecchie per ascoltare i flussi musicali del decennio precedente riconobbe il cambio come un’evoluzione. perché i punti di connessione con il passato erano molteplici. Ad esempio, i Coil, che fino ad allora erano stati tra i portavoce della scena industrial britannica, gettarono molti ponti verso la scena rave. Gli stessi Cabaret Voltaire ebbero una svolta più dancefloor in quel periodo, cosi come la KK Records, con la sua schiera di artisti in bilico tra il mondo industrial esoterico e la scena techno. Quindi, chi aveva già masticato suoni mid-80s molto vicini alla techno, come quelli dei DAF o Nitzer Ebb, si è ritrovato a frequentare serate di questo genere. Pensa che uno dei primi organizzatori di rave in Campania è un nostro carissimo amico con il quale si andava in trasferta per assistere a concerti di gente come Einstürzende Neubauten, Clock Dva, Pankow…

 

Torniamo al disco uscito in questi giorni, "Psycho Romance & Other Spooky Ballads". Quando e come avete deciso di lavorarci su? È un disco nato per gioco o invece è stato un progetto nel quale avete creduto e che avete preso sul serio da subito?

L.M.: In effetti un po’ è nato per gioco. Ma giocare è forse la cosa più seria che possiamo fare. Donato continuava a dirci: «Dovremmo fare un album che suoni new wave, new romantic, synth pop, electro!». Abbiamo iniziato a lavoraci nel gennaio di due anni fa e in due mesi abbiamo lo abbiamo registrato per intero. All’inizio abbiamo usato la voce solo in un brano, forse quello più psycho dell’intero disco: “Secrets of the Crowd”. Le tracce hanno fatto avanti e indietro in rete tra il nostro studio e quello di Donato. Siamo partiti di volta in volta da un suo spunto o da un nostro, non ci siamo mai posti alcuna limitazione di sorta.

Avevate in mente un disco o un artista in particolare come riferimento?

L.M.: La cosa bella è che il disco si è “palesato” con tutti i riferimenti ai quali avevamo pensato, cosa ci rende ancora più soddisfatti perché è esattamente ciò che volevamo: rendere omaggio a un periodo musicale che ci ha forgiati, senza mai scadere nell’ovvietà. È stata una sfida davvero impegnativa.

Che macchine avete utilizzato? Siete andati a ripescare qualche synth d'annata?

L.M.: Siamo amanti dei suoni analogici e abbiamo scelto macchine che solitamente utilizziamo per altri tipi di composizioni. Abbiamo impiegato drum machine d’annata – CR-78, CR-1000, TR808 della Roland, DrumTraks della Sequential Circuits – synth come il Roland Juno-60, Korg MS-10, Doepfer MS-404 e un sistema modulare composto da vari brand, pilotato da un sequencer analogico Doepfer MAQ 16/3. Oltre ai synth, abbiamo usato anche un vecchio organo della GEM, il Rodeo 61. Inoltre ci siamo divertiti anche su outboard vintage come un vocoder della Korg, il VC-10, che, oltre che su qualche voce, è stato utilizzato anche per processare drum machine e altri suoni. La ciliegina sulla torta è stata l’idea di Donato di passare l’audio su nastro per i missaggi finali, usando un tape recorder Marantz 5000.

Il nome Men With Secrets da dove arriva?

D.D.: Il nome della “band” è liberamente ispirato al brano “Men With Secrets” di Richard Bone: un piccolo capolavoro di minimalismo.

 

Stessa domanda, ma per il nome dell'album.

Volevamo costruire un concept prendendo spunto dalla letteratura, dal cinema e dall’arte in generale. Anche perché, con il cantato e il contenuto dei testi, i brani stavano prendendo una piega epico-romantica. Ad esempio, “Elle Est Nihiliste” è un titolo preso in prestito da una delle espressioni che usava spesso Elizavèta Prokòf’evna ne “L’idiota” di Dostoevskij per definire il carattere ribelle di sua figlia, Aglaja Ivanova. Così come il testo di “Angelus Novus” mutua le sue parole dalla critica benjaminiana sul quadro di Paul Klee dal titolo omonimo. Insomma, la strada che la stesura del disco stava prendendo era quella di un affresco romantico-decadente.

Interessante anche l'estetica della copertina, ha un approccio molto contemporaneo, mentre ci si poteva aspettare anche qualcosa di più rétro, magari in bianco e nero.

L.M.: Effettivamente ci è stata proposta una prima bozza di copertina in bianco e nero, ma l’abbiamo scartata subito, chiedendo al grafico di entrare più nel profondo della musica e dei vari indizi che poteva trarre dai titoli dei brani, fino alle note di copertina. Siamo rimasti folgorati quando ci ha inviato questa grafica che rappresenta un vero costume veneziano del XVIII secolo, periodo in cui l’Illuminismo gettava le basi per la modernità a venire. Nella prima wave, ma anche nel goth, le estetiche si muovevano proprio su coordinate classiche, citando le correnti culturali dell’Illuminismo e dello Sturm und Drang. Basta pensare al romanticismo di Vienna degli Ultravox o al grottesco barocchismo decadente dei Virgin Prunes.

Una cosa che mi ha incuriosito parecchio sono le voci: tutti i vostri altri progetti le prevedono molto raramente, in questo album invece il cantato c'è e si fa sentire.

L.M.: Donato, conoscendo il mio passato, sin dall’inizio mi ha chiesto di prestare la mia voce a qualche brano. Nell’86 ero il cantante di una band new wave, i Voxzema, di cui qualche anno fa l’etichetta spagnola Domestica ha scovato un vecchio demo, pubblicato poi su vinile. Come dicevo prima, all’inizio sono riuscito a mettere la voce solo su un brano e abbiamo chiuso il disco così. Un anno dopo Donato ha pensato di sottoporre i brani alla Bunker, unica label a cui abbiamo inviato i demo, che ci ha risposto subito, proponendoci di pubblicare l’intero disco. Certo di questa uscita, mi sono convito e ho registrato anche il resto delle voci. Tra le altre cose, io e Nicola portiamo avanti The-Ne21: un progetto parallelo a Retina.it, con all’attivo due release su She Lost Kontrol e Domestica, nel quale solitamente canto, anche durante le nostre performance dal vivo.

 

Avete citato l'etichetta per la quale "Psycho Romance and Other Spooky Ballads" è uscito, la newoyrkese The Bunker. Come sono andate le cose tra di voi?

L.M.: Bryan Kasenic, il fondatore dell’etichetta, è un caro amico di Donato e ha ricevuto la nostra demo quasi per gioco, essendo la sua un’etichetta per lo più rivolta alla techno. È stato sorprendente il feedback che abbiamo ricevuto da lui: ha creduto da subito in questa operazione e si è deciso immediatamente a pubblicarla. Sicuramente ci sono etichette riconosciute e con un marchio più incisivo per questo tipo di sonorità, ma la sfida per tutti noi è stata quella di far uscire un prodotto che suonasse diverso dalle solite uscite targate The Bunker. E il risultato è stato entusiasmante per entrambe le parti.

State pensando a un live per portare in giro il disco?

Sì, ci stiamo ragionando su…