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Phra Crookers

I Hope This EP Finds You Well è il disco che determina il ritorno al clubbing di uno dei dj più worldwide del made in Italy, e che l'amore è tale solo se ritorna

quartiere Navigli

Scritto da Tommaso Monteanni il 14 aprile 2023
Aggiornato il 5 dicembre 2023

In Italia non esistono tanti dj e producer che sono stati capaci di sfondare la barriera del mainstream mondiale da raggiungere gli speaker più distanti del globo, e se si cita il remix club di Day’N’Nite è difficile non sapere chi ci sia dietro, ed è praticamente impossibile non averla ascoltata almeno una volta facendo compere in un centro commerciale, in una discoteca o tornando a casa in macchina dal lavoro. Ma se quel remix è ciò che in parte ha fatto la fortuna di Phra e dei Crookers, è anche solo la punta innevata ben visibile di una montagna che potrebbe trovarsi in Val Corcera, Piemonte, dove si trova Omegna, comune di provenienza di Phra aka Francesco Barbaglia.

Dal rap all’house, dai dj set alla produzione e dall’Italia al resto del mondo, Phra ha vissuto tanti cicli e tante fasi, ed è la dimostrazione vivente che “certi amori fanno giri immensi e poi ritornano“. Se sono tali.
In occasione del suo EP “I Hope This EP Finds You Well“, in uscita il 18 aprile per la label “Pretty Weird” e che determina il suo ritorno ufficiale alla produzione club, e del suo set di cinque ore al Circolo Magnolia, sono passato dal suo studio per fare due chiacchiere e farmi raccontare passato e presente della sua storia musicale, scoprendo la sua stima per la dubstep inglese e la possibilità di avere un’overdose di ciauscolo, noto salume marchigiano.

Tommaso Monteanni: recap della tua storia musicale divisa in fasi.

Phra Crookers: Nasco a Omegna che è un piccolo paesello sul lago d’Orta, provincia di Verbania adesso, Novara quando sono nato – figurati quanti anni fa se è cambiata la provincia. Mi piglio bene con la musica, inizio a fare il dj e a scratchare, e inizio a fare del rap, rappavo e facevo le prime basi, tra i quindici e i diciassette anni. Poi conosco una persona che ha una discoteca house e che mi dice di andare a fare un salto, e di base dico “ah ma è pieno di tabbozzi in discoteca!”. Al tempo tra l’altro nelle discoteche se andavi vestito “streetwear” non ti facevano entrare, in questa discoteca quando andavo coi pantaloni larghi mi facevano entrare e mi dicevano pure “che stile”. Frequentando la discoteca mi prendo bene con la house e inizio a farci l’amore fino a che non inizio a suonare per loro, portando avanti entrambe le cose e facendo un miscuglio tra house e rap. Nel frattempo scendevo una volta a settimana a Milano per comprare i dischi – suonavo in vinile –  e durante queste trasferte conosco Bot, a venti anni circa. Questa è la prima fase.
Con Bot iniziamo la faccenda di
Crookers e dopo il primo Mixtape, con quel sound “strano” per il momento che però prende piede, iniziamo a fare un po’ di date in Inghilterra, alcune a New York, fino a che non esplode il remix di Day’n’Nite. Da lì mille date in giro per il mondo, produzioni varie, fino a che nel 2012 circa ci dividiamo io e Bot e io proseguo in solitaria fino a che non mi rompo i coglioni e dico “non voglio più fare i dj set”, e ovviamente da la i manager e agenti mi mollano perché quella è la loro maggiore fonte di introito. Siamo nel 2016 circa, questa è la fine della fase due.
Dopo dodici anni di tour, mi fermo per la prima volta, compro casa e mi metto a fare musica e basta. Da lì viene fuori il secondo crookers mixtape, quello tutto strano. Continuo a fare produzioni strane a destra e sinistra, alcune vanno bene alcune meno, poi mi ritrovo Massimo Pericolo qua in studio, poi Madame, ancora un po’ di produzioni, e adesso sto tornando di nuovo all’house.

TM: Possiamo dire che è l’inizio di una quarta fase.

PC: Si può dire che sono tornato al mondo del clubbing. Ho fatto un po’ di dj set post covid e mi sono divertito, ho capito che mi mancava. Mi sono rimesso anche a produrre roba club, e in maniera molto naturale mi stavo sentendo con DJ ADHD e Chloé Robinson dell’etichetta Pretty Weird. Abbiamo iniziato a scambiarci un po’ di file e alla fine mi hanno chiesto di fare uscire delle tracce che avevo condiviso con loro sulla loro etichetta.

 

Cover ufficiale di “I Hope This EP Finds You Well” di Steve

TM: E sì perché martedì esce il tuo primo EP house da un bel po’ di tempo.

PC: Esattamente, il 18 aprile esce un EP proprio per Pretty Weird, che appunto ho chiamato “I Hope This EP Finds You Well”, sia per il meme, la frase di apertura in inglese nelle mail che mi ha sempre fatto molto ridere, sia perché è esattamente così, non ci sentiamo da una vita con la musica da club e questa uscita verrà fuori così all’improvviso. La copertina l’ha fatta il mio amico Steve, è un 3D della mia faccia tutta matta, fatta talmente bene che sembro veramente io. C’è un pezzo con Mr. Oizo in cui lui mette la voce; l’idea nasce dalla nostra ultima collaborazione, l’album che abbiamo fatto assieme dove io metto la mia voce rappando – VOILÀ, NdR –; gli ho chiesto il favore indietro e ho letteralmente utilizzato gli audio che mi ha mandato in risposta alla proposta per fare il pezzo. L’altro pezzo l’ho fatto a Brooklyn nel mese passato, l’ho prodotto per provare l’impianto e gliel’ho mandato, e i ragazzi mi hanno detto “ecco questa cosa sarebbe perfetta per l’EP” e io gliel’ho data in direttissima senza neanche masterizzarla. Questo è il bello di lavorare con loro, la velocità di condivisione dovuta anche all’assenza di rapporti contrattuali che bloccano il flusso creativo o quant’altro, loro lavorano sulla parola, hanno la loro crew di gente che fa cose assieme e sono in fiducia, non c’è motivo di fregarsi a vicenda. Da un punto di vista tecnico, e qua faccio il boomer vecchio, mi ricordano molto le cose come le facevo io vent’anni fa, facciamo la musica e poi vediamo.

TM: Parlando dell’EP, la traccia con Oizo ricalca un sound sound saturo e super distorto che a parere mio si può considerare un po’ il marchio di fabbrica Crookers. Condividi?

PC: Nì. Ho avuto talmente tante evoluzioni nello stile e nel sound che si può dire che sia il marchio di fabbrica di un certo periodo Crookes in cui faceva roba un po’ più sporca, similmente al sound utilizzato con le prime cose con Massimo Pericolo. Io ho un marchio di fabbrica in generale che è nel modo in cui mixo la musica; che poi se voglio non lo faccio neanche capire. È più per come suona che per quello che è, posso pure fare un pezzo pop e farlo suonare male, sporco – Ride, NdR. Insomma, suonare male bene. Ad ogni modo per commentare questo pezzo uso le parole che ha utilizzato Oizo: “Ti immagini se fosse uscita sta roba nel 2010 cosa poteva succedere?” Perché unisce quel modo cazzone di fare i pezzi che un po’ fanno ridere, che ti livellano la faccia dentro a un club ma che hanno anche il famoso “drop”, parola che odiano tutti, che però non senti neanche che è un drop perché non ha una pausa esasperata. Per me sto pezzo qua è uscito proprio punk a merda.

 

TM: A proposito di essere cazzone e dei meme che hai citato prima, quanto è importante non prendersi sul serio per fare musica?

PC: Dipende: per il percepito dall’esterno, sarebbe meglio fare i seriosi, perché sennò la gente pensa che sei solo un cazzone. Penso che invece per fare la musica in maniera umana, serva essere un cazzone, ma perché umanamente lo sono. Ciò non significa che lo sia 365 giorni l’anno, 24h. Fondamentalmente il mio è un balance tra ridere e scherzare e lavorare. Se bisogna far le robe serie, bisogna far la musica, son qua.

TM: Fare cose con serietà senza prendersi seriamente.

PC: Io quando faccio una mia canzone non mi prendo seriamente, o mi prendo molto seriamente su alcune cose e sul finito non le noti. Dall’inizio penso sia stata anche un po’ la fortuna di Crookers, perché venivamo da una palude di gente presa male tutta nera, e in qualche maniera abbiamo risvegliato qualcosa. Mi ricordo proprio agli inizi che la gente, da che stavano in pista a guardarsi, di botto si è iniziata a divertire veramente tanto e a trovarsi ribaltati in pista. Penso che abbia a che fare con essere cresciuto con jackass in mezzo a snowboarder e skater. Agli inizi suonavo in circolini hardcore in cui se bevi lo fai per vomitare e se fumi lo fai per farti venire il cancro, quell’attitudine lì propriamente da skater e affini.

TM: La tua attitudine da “cazzone” esce fuori molto anche su Instagram e mi ricorda un po’ quella di Hudson Mohawke, che pubblica tantissime meme e con cui tu hai fatto anche della roba insieme.

PC: Si ci ho fatto un featuring e lui mi ha fatto un remix! Io prima pubblicavo meme ma mi hanno bloccato; sono stato shadow-bannato perché pubblicavo meme pesantissimi, ma a me facevano straridere. Il discorso è che su Instagram ci sono persone che devono fare i numeri per lavoro e altre che non devono. Io l’ho sempre visto come uno sfogo del momento, non come un lavoro. Guarda caso è il tredici e devo ancora annunciare che esce il disco – Ride, NdR. Avevo trovato la mia cosa che funzionava, ed era la posizione da umarell – anziano con le mani dietro la schiena, NdR – e quella la scorsa estate è stata la mia hit, ho raggiunto il mio picco assoluto sui social. Utilizzavo sta cazzata per comunicare le mie robe e mi faceva volare perché era stupida.

TM: Parlando di Milano e di quartieri, so che uno dei primi posti in cui hai vissuto è in via Vigevano, e che ora dovresti vivere ai Navigli. Quando ti sei trasferito ufficialmente a Milano? C’è un quartiere a cui ti senti di appartenere più di altri?

PC: La prima volta nel 2003 e la seconda nel 2016. A livello di quartieri ho vissuto in alto, a destra, a sinistra, dappertutto. Non c’è un quartiere che prediligo, per me casa adesso è Milano in generale. Dove vado vado ed è casa.

TM: Ma tu sei abbastanza bravo da far svoltare anche Dio MC?

PC: Mi piacerebbe.

TM: Ma sei tu Dio MC?

PC: Mi piacerebbe.

TM: Mi dicevi che sei appena stato a Brooklyn, mecca del rap, a fare musica e a passare del tempo libero, ma diggando su di te ho avuto come l’impressione che molta della tua roba abbia un’impronta soprattutto UK. Qual è lo stato di riferimento principale per la tua musica?

PC: Su alcune cose l’Inghilterra su altre l’America. In generale da dove provengono le cose: per la musica pazza elettronica ti dico Inghilterra, per la roba più classica house, da Chicago, New York e anche Atlanta, quelle robe per me fanno brutto. Detto ciò per me non esiste la sfida tra Stati Uniti e Inghilterra. Una cosa che non mi piace è il ritorno dell’America, quando prendono musica da altre scene e cercano di farle più grosse, quella roba là mi infastidisce; ma le loro robe original mi fanno volare, senza parlare ovviamente di rap, con quella roba ci sono cresciuto e decisamente non è nato a Omegna.

 

TM: Mentre ti scrivevo settimana scorsa per organizzare l’intervista ero a Londra, e stavo scrollando il profilo di Skream che avrei visto il giorno dopo al Printworks. Caso vuole che proprio in quel momento ho notato che hai commentato un post che aveva appena pubblicato. Sei fan della scena dubstep inglese?

PC: Di brutto, ho fatto anche un pezzo con Rusko. C’è stato un periodo in cui nel mio set andavo fisso a 140. Mi piaceva molto quando era più dub, tipo “Skream!”, quel suo primo album era una roba devastante. Benga, il suo primo album era una roba devastante. “Pleasure” è una traccia che ho provato a fare mille volte, a riprodurre l’atmosfera. Se ho usato i synth un po’ trancey in passato è per quella traccia là. Comunque mi piace quella scena. Il problema della dubstep è che è stata fagocitata molto velocemente e cagata peggio. A proposito degli americani che prendono le cose e le esagerano, a partire da Gaslamp Killer, che è un capo assoluto a suonare, a un certo punto andava con le robe sempre più ignoranti, e quando inizia a essere la gara di chi è più ignorante…dopo un po’ si perde l’essenza.

TM: Mi sono rivisto la puntata di “Down with Bassi” e un’immagine che mi è rimasta impressa siete te e Mr.Oizo che a Disneyland fate pranzo e sputate odio incazzati. Cos’è che ti fa incazzare del music business?

PC: Ti dico l’ingratitudine, ma questo fa parte in generale del mondo e delle persone.

 

TM: Parliamo di dj set in generale. Com’era quando hai iniziato?

PC: Io sono cresciuto facendo il dj con un pubblico, quello della house italiana fine 90’, che era molto attento. Sono cresciuto prendendo un sacco di mazzate: facevi un super set, poi due cavalli coi vinili e iniziavano a fischiare. Parlavo con gente che si è presa più MD che acqua nella vita, che a fine serata mi diceva “o bellissimo il set fino a quei due pezzi che hai messo che mi hanno fatto scendere la vita, poi però ti sei ripreso alla grande ecc.” insomma stavano attenti. Tra l’altro una delle prime date che ho fatto di Crookers, dopo il mixtape, è stato proprio nelle Marche – durante la chiacchierata è venuta fuori la mia provenienza marchigiana e il ciauscolo, noto salume marchigiano, NdR – al Sisma di Macerata, e me lo ricordo come oggi proprio perché hai detto ciauscolo: ero sceso in treno e alle 6 di mattina ho chiamato per farmi venire a prendere in macchina perché mi era rimasto sullo stomaco il quintale di ciauscolo che avevo buttato giù. Mi sono fatto un’overdose di ciauscolo ed era bloccato, non usciva da nessuna parte.

TM: E invece ora?

PC: Ti dico una cosa che non mi piace di questo momento, ed è l’utilizzo del telefono. Ti scherma da qualsiasi tipo di comunicazione con gli altri. Una cosa che ho visto che fanno in america ma che stanno iniziando a fare anche in qualche posto qua in Europa è che da un certo punto in poi della serata sulla pista da ballo non puoi tirare fuori il cellulare. Questa cosa, anche se non sai ballare, ti porta necessariamente a farti muovere un po’ di più perché vedendo tutti che ballano lo fai anche te, e di conseguenza entri più in connessione con la musica e ti godi di più la serata.

TM: L’ultima volta che hai fatto un set al Magnolia, a Novembre, hai suonato della roba Hyperpop. Ti piacciono le nuove scie musicali? La “nuova wave”?

PC: C’è della roba Hyperpop qua in Italia?

TM: Sì esiste! È un po’ sotterranea.

PC: Be che bomba! Comunque ci sono delle robe Hyperpop che mi fanno volare. Detto ciò quando i generi e le canzoni sono così caratterizzanti faccio fatica ad innamorarmene per più di un tot di tempo. Faccio un ascolto ripetuto per cinque giorni, poi per tre settimane stop, non esiste più. Poi in qualche modo tornano nel tempo. Quando un genere mi piace veramente succede la stessa cosa ma a distanza di anni; quando per anni un genere ritorna, capisco che mi piace veramente. In generale tra le varie cose che ho fatto ti direi che il filo conduttore con la “nuova” musica, e della mia storia in generale, è che continuo a fare solo la roba che mi piace. Non riesco a fare quello che non mi piace, quindi magari ci scopo una notte ma non riesco a starci insieme.

TM: Ultime due domande per concludere: hai fatto il dj in giro per il mondo, hai fatto il producer, hai prodotto rap e fatto emergere nuovi rapper. C’è qualcosa che non hai ancora fatto? E infine, hai qualcosa in ballo per il futuro?

LC: Un progetto che vorrei riuscire a fare è trovare il modo di vivere in mezzo alla campagna con una casa con la piscina, e lo studio dentro a un container tutto di vetro,  fatto fuori vicino alla piscina; far famiglia e riuscire a stare sereno con me stesso anche se attorno ho il nulla cosmico, e fare in modo che la mia compagnia diventi la migliore compagnia del mondo.

TM: Quindi non c'entra un cazzo la musica.

PC: C’è lo studio! In realtà c’entra fin troppo la musica, perché se tu sei libero di fare quello che vuoi non hai bisogno di stare vicino a persone che fanno altra musica. Perché prima o poi arriva veramente qualcuno a scriverti dal nulla, e questa cosa è appurata dato che quando mi sono successe le cose grosse belle della musica, durante le quali mi scrivevano da tutto il mondo, vivevo a Mergozzo, in una casa sopra una montagna con un lago minuscolo con intorno il bello. Questo progetto, che poi è di vita, è la cosa più difficile per me. A livello di progetti musicali, vorrei capire se ci sono delle persone che possono decollare. Adesso ho fatto l’album di Banana, la ballerina, che uscirà chissà dove e chissà quando. Un altro “progetto” se così vogliamo definirlo, che è stato sempre il mio principale e che ho raggiunto un po’ di volte, è fare la musica che non è “ufficialmente” quella che funziona e la fai diventare tale. Fare il “controverso” mi è sempre piaciuto. Una scimmia che mi viene ogni tanto è la minimal wave: due scatolette, microfono col delay brutto. Suona male. Mi fa volare.