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Werther Albertazzi

Dall'ex Macello al Senza Filtro fino al nuovo progetto di recupero dell'ex Ospedale dell'Abbadia, dalle ''bonifiche culturali'' al ''distretto popolare evoluto'': ecco la rigenerazione urbana ai tempi di Planimetrie Culturali

Scritto da Salvatore Papa il 15 marzo 2016
Aggiornato il 20 aprile 2018

C’è chi subisce il fascino della decadenza e chi non riesce a sopportarla. Poi ci sono quelli come Werther Albertazzi, che si sciolgono davanti a un capannone o un ospedale dismesso, ma non sopportano l’idea di lasciarlo così. Ecco allora Planimetrie Culturali, l’associazione presieduta dal buon Werther, che dal 2004 ha un solo scopo: scovare spazi abbandonati per bonificarli con la cultura. Ed è stato così che – per dirne solo alcune – un ex macello è diventato il Cantiere Culturale Bolognese (Ca.Cu.Bo.), lo Scalo San Donato uno dei club migliori della città e l’ex fabbrica della Samp Utensili – seimila metri quadri su quattro piani – si è trasformata nel glorioso Senza Filtro, casa di più di venti associazioni, con sale concerti, spazi espositivi, un museo del flipper, una rampa skateboard, un’osteria, un ostello ecc.

Ma cosa ne è stato di Planimetrie Culturali? Esistono ancora, eccome. Hanno anzi in cantiere nuovi progetti, tra cui quello che riguarda l’ex ospedale militare di via dell’Abbadia, nonché vecchio Monastero dei S.S. Naborre e Felice, uno spazio enorme in pieno centro che nelle loro intenzioni dovrebbe diventare un polo culturale o, per dirla in termini tecnici, un “distretto popolare evoluto“. Concetto nuovo, quest’ultimo, che verrà presentato al pubblico venerdì 18 marzo all’Urban Center e che rappresenta la nuova frontiera del lavoro di Werther e compagni.

Abbiamo così cercato di ripercorrere insieme a lui l’evoluzione di Planimetrie Culturali, provando anche a chiarire alcuni dubbi dal passato e del presente.

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Una festa trance al Ca.Cu.Bo.

 

Data e luogo di nascita?
7 maggio 1965, Bologna

Perché hai scelto di vivere a Bologna?
Bologna è da sempre una città creativa e di sperimentazione. Il cemento non ha ancora divorato l’ambiente e tutto sommato ci si vive bene. Infine è una delle città più belle del mondo.

Com’è nata Planimetrie Culturali?
È nato tutto nel 2004 dall’incontro con un gruppo di cittadini del Pilastro che vedevano il degrado mangiare quotidianamente l’ex Macello Comunale, area di 80mila mq abbandonata da 7 anni.
Dopo verifiche, abbiamo saputo che l’immobile sarebbe stato abbattuto e bonificato, ma serviva tempo per chiudere l’operazione tra il Comune di Bologna e la Cogei (società che opera nel settore delle costruzioni e dello sviluppo immobiliare, ndr).
Abbiamo pensato come potevamo rispondere all’esigenza di curare l’area e sono nate le “bonifiche culturali”, azioni temporanee di custodia degli spazi dormienti. Trasformato l’ex Macello in un “cantiere culturale bolognese” (Ca.Cu.Bo), abbiamo radunato le nostre conoscenze artistiche e ne è nata una programmazione. Aperto il dialogo con quartiere e questura ci siamo proposti “custodi temporanei” fino all’operazione di smantellamento.

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Il Ca.Cu.Bo.

 

Dopo qualche anno di occupazioni avete costituito un’associazione. Un passaggio cruciale che immagino abbia prodotto – come spesso avviene – scontri interni e/o esterni. Come andò?
Questo è avvenuto proprio al Ca.Cu.Bo. Io faccio parte dal 1999 della band rave antiproibizionista Psyconauti. Nel progetto dell’ex Macello, struttura enorme, abbiamo coinvolto altri gruppi rave, capaci di arrangiarsi in spazi di tutti i tipi, autonomi elettricamente e tecnicamente. Alla richiesta dell’area da parte della proprietà, il collettivo creato si è diviso in due: da una parte chi voleva forzare l’occupazione e dall’altra chi pensava ad un seguito del lavoro spostandosi in altri spazi. Da parte mia, credo che le TAZ (zone temporaneamente autonome) descritte da Akim Bey nel 1991, siano azioni furbe che mantengono vivo – tuttora – il tessuto sociale trovando e sperimentando nuove pratiche e nuove economie, là negli spazi dismessi dal capitalismo.

Da dove viene la tua passione per gli spazi inutilizzati?
Con il gruppo Psyconauti abbiamo suonato ovunque, dai boschi alla spiaggia, dai ponti autostradali dismessi ai rifugi sulle alpi. È un’esperienza unica, cambiare ogni volta la location, ripartire con allestimenti e montaggio sempre ridisegnati. Paese che vai amici che trovi, per passare le serate in balotta a montare la festa che domani ospiterà tutti i fan della musica suonata dai dj del gruppo. La passione nasce da qui, rigenerare uno spazio nullo e trasformarlo in centro d’aggregazione rispondendo in parte alla mancanza di questi spazi nelle nostre città.

C’è una legge che regola l’utilizzo degli spazi in disuso?
Non ancora, l’attenzione è nazionale, anche a Roma ne stanno discutendo. Ci sono grosse intenzioni, ma mancano ancora i mezzi. Il decreto “Valore Cultura” di Del Rio del 2013 all’articolo 6 incita le pubbliche amministrazioni alla rigenerazione del dismesso, anche per attività sociali e culturali.
Anche l’articolo 24 dello “Sblocca Italia” cita “Disposizioni urgenti per il rilancio del cinema, delle attività musicali e dello spettacolo dal vivo” laddove il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo individua – entro il 30 giugno di ogni anno – i beni immobili di proprietà dello Stato, non utilizzabili per altre finalità istituzionali e non trasferibili agli enti territoriali, che possono essere destinati per ospitare studi di giovani artisti contemporanei italiani e stranieri. Un decreto forse estremo, che prevede fino all’esproprio dell’immobile in caso di danneggiamento urbano. Si potrebbe togliere l’IMU ai proprietari in cambio dell’uso evitando così deturpamenti, edifici scoperchiati e danneggiamenti spesso autoinflitti per avere l’inagibilità. Altra cosa è la spesa per i cambi destinazione d’uso che sul temporaneo potrebbero essere rivisti e che potrebbe rendere più accessibile la pratica del riuso urbano, e altre accortezze che abbiamo portato sui tavoli di discussione.
Senza una legge che elimini un po’ di burocrazia, la rigenerazione dal basso fatica ad essere concreta. Queste nuove forme complesse di multifunzionalità degli spazi dovute dalle grandi migrazioni e il conseguente mutamento urbano, non sono regolamentate. A differenza delle capitali europee. La regione Emilia Romagna ha tecnici e assessori impegnati nel redigere la nuova legge urbanistica che dovrebbe uscire entro il 2016. Sappiamo che la rigenerazione urbana come pure l’uso temporaneo sono temi toccati e siamo, quindi, fiduciosi.

scalo san donato
Lo Scalo San Donato

 

Voi come lavorate, invece? Una volta individuato lo spazio, come procedete?
Individuato lo spazio apriamo il dialogo con la proprietà e il quartiere di riferimento. Offriamo la custodia e la manutenzione ordinaria in cambio dell’uso gratuito per attività socio/culturali. Cerchiamo di capire tecnicamente quali attività possono ospitare gli spazi mantenendo i canoni di sicurezza. Dopo di che ci rivolgiamo alle associazioni di settore che sono senza sede operativa. Noi fungiamo da accompagnatori e acceleratori di nuovi progetti. Quando il progetto è autonomo, riprendiamo la nostra caccia agli spazi dismessi continuando a creare rete tra le associazioni cittadine.

Cosa ne è stato poi degli spazi che avete abitato?
L’ex macello, come detto, è stato abbattuto. Lo Scalo San Donato è stato sospeso per via del terremoto del maggio 2012. Al Centro commerciale Minganti ha operato per due anni Riders Academy con la pista skate per bambini. All’ex Aci dopo 6 mesi abbiamo inserito l’associazione di mutuo soccorso 20 pietre.
Ora, ma questa è un’anteprima, stiamo lavorando al grande orto multietnico di via Zanardi con i residenti delle vie Terracini e Zanardi insieme a ragazzi di etnie diverse che si costituiranno in associazione e porteranno avanti il progetto da soli.

Qual è stata la riqualificazione di cui sei più fiero?
Tutte, ma la più importante è stata indubbiamente l’ex Samputensili. Lì, al Senza Filtro, abbiamo potuto assumere per la prima volta 4 dipendenti, oltre ai saltuari e i volontari. Ricordo che non siamo finanziati e non riceviamo fondi dai soldi pubblici, e pur essendo una semplice associazione ci sembra di avere ottenuto un buon risultato. Oltre a questo, vedere 200 operatori culturali lavorare negli stessi spazi imparando che l’economia intangibile, quella dello scambio delle conoscenze e delle tecniche, si trasforma in economia tangibile e benefici per la città è stata une rivincita, una dimostrazione.

Uno degli spazi del Senza Filtro all'inizio dei lavori di riqualificazione
Uno degli spazi del Senza Filtro all’inizio dei lavori di riqualificazione

 

E come mai non vi è stato rinnovato il comodato d’uso del Senza Filtro? Ne abbiamo sentite tante, ma cos’è successo veramente?
Il Senza Filtro è stato per noi il primo esperimento di “Distretto Popolare Evoluto”. Un luogo dove la cultura si mescola con l’incubatore d’impresa supportato dalle forze del volontariato e le politiche di welfare. Abbiamo rinnovato il contratto due anni, ma nell’ultimo siamo stati soggetto di controlli inviati dalle discoteche. Il progetto era sperimentale, come dichiarato al Comune prima dei lavori, e quindi aveva dei difetti per le normative vigenti. Ma ha funzionato. Ci si sono proposte due possibilità: chiudere le attività di pubblico spettacolo o ripensare il progetto. Con una mediazione con il Quartiere e il gabinetto del sindaco si è pensato al mantenimento delle attività sportive, più facili da mettere a norma. L’Aics si è fatta promotrice del nuovo progetto e noi ci siamo messi a studiare per capire dove intervenire nel futuro. Ancora oggi è un orgoglio sapere che a Bologna esista uno spazio del genere che ci invidiano in tutta italia (l’OZ, ovvero, l’area per sport freestyle più grande d’Europa, ndr).

Quali sono attualmente secondo te gli spazi più interessanti in città? Quali invece quelli vergognosamente abbandonati e inutilizzati?
Gli spazi che trovo più stimolanti sono l’Ospedale dei Bastardini in via D’Azeglio, in vendita dal 2013 e in consegna alla Città Metropolitana. Senza dubbio il Monastero dei S.S. Naborre e Felice, ex ospedale militare (in via dell’Abbadia). Ma ci sono anche i privati, in via San Vitale il Palazzo Marconi ora abbandonato e l’ex Convitto di via Zanolini, occupato nel 2013 dal Collettivo Cua. I più vergognosi li troviamo in san Vitale, l’ex Cap Consorzio Agrario Provinciale, in Mazzini l’ex Centro Commerciale Dima, il nuovo incompiuto al Navile, in via Stalingrado, di fianco all’Hotel Fiera, fermo da due anni che rovina la vista entrando a Bologna dal nord e visibile dalla tangenziale. Senza dimenticare il paradosso: Piazza Maggiore numero 1, ex banca abbandonata da 5 anni vista San Petronio.

L'ex Ospedale dei Bastardini
L’ex Ospedale dei Bastardini

 

Quali sono i soggetti con cui riuscite a lavorare bene in città? E con l’attuale amministrazione come va?
Ci troviamo bene con tutte le associazioni attive, stiamo collaborando con l’Accademia di Belle Arti, il settore sanitario e sociale e i servizi di volontariato. Non mancano i professionisti, lo studio Performa Architettura + Urbanistica, le associazioni nazionali Antigone e Avvocato di Strada. Siamo in questo momento un progetto di studio del terzo settore nazionale che si occupa, tra l’altro, di ricerche rivolte allo sviluppo e al benessere delle persone.
L’amministrazione…? Possiamo sicuramente dire che fino ad ora ci ha assecondato. Nello stesso tempo non ci ha proposto nulla in cambio dei nostri progetti. Ci siamo presi le nostre responsabilità ed ora con l’ultimo progetto speriamo di essere riconosciuti abili. Chissà…

Attualmente avete qualche tipo di finanziamento?
Nessun finanziamento, tantomeno pubblico. Siamo sempre stati in grado di trovare le economie senza pesare sui cittadini. Più che denaro, dalla pubblica amministrazione serve supporto tecnico e sgravare qualche spesa. Il Comune deve essere il nostro primo bene comune, ma per fare questo deve stare un passo avanti e non dietro alla cittadinanza.

Sulla questione della riqualificazione e pulizia degli insediamenti abusivi sgomberati, qualcuno vi ha criticati molto. Perché secondo te?
Noi con gli sgomberi non c’entriamo nulla e mai c’entreremo. Purtroppo la città manca di politiche per l’emergenza abitativa. Proponemmo al Comune in tempi non sospetti l’uso della clinica Beretta per progetti di accoglienza, ma ci hanno bocciato: poi è stato occupato e poi sgomberato e ora è lì che non ha un senso.
Quello che facciamo è ripulire zone verdi. Troviamo sopratutto discariche abusive con laterizi e/o vetri. In qualcuna di queste zone, ci sono stati insediamenti che poi nel tempo la questura ha sgomberato. La nostra operazione è premere sul Comune per fare in modo che le aree in questione possano essere utilizzate e non rimangano abbandonate, un uso anche temporaneo. Non parliamo di strutture ma solo di campi e terra. E quindi non è possibile utilizzare il verde per l’emergenza abitativa.
Da parte di Planimetrie, abbiamo ospitato persone in difficoltà al Senza Filtro come pure allo Scalo San Donato e, dove potremo, lo faremo ancora. Ci sono stabili come quelli in via Larga 42 che erano ostelli per ferrovieri, 54 stanze con due letti e un bagno…tutto fermo da anni e basterebbe poco. Ci vogliono politiche altre ed ecco il perché del nostro dialogo/confronto con i settori del sociale e del volontariato.

Ex ospedale militare dell'Abbadia
Ex ospedale militare dell’Abbadia

 

Cos’è invece il “distretto popolare evoluto”?
Il distretto popolare evoluto è la somma dei nostri errori e delle nostre vittorie. Un progetto di comunità in grado di sostenersi e creare economie altre. Un progetto che parte dai cittadini in rete e che ha come obiettivo la ricaduta in città di servizi e benefici per le persone a partire dai residenti di quartiere. Una sorta di ammortizzatore sociale metropolitano, attento alle problematiche del territorio e pronto a studiare percorsi e soluzioni da condividere con la città tutta. Un contenitore di professionisti e professioni al servizio del bene comune. Il 18 marzo avremo due ore, dalle 15 alle 17 presso Urban Center in Sala Borsa, dove illustreremo con i collaboratori del tavolo scientifico la funzionalità, la governance e l’economy del DPE.

Come procede, invece, la trattativa per la riqualificazione dell’ex Ospedale militare dell’Abbadia?
La Caserma Gucci è uno degli spazi segnalati al Comune, attualmente in uso governativo al Ministero della difesa e inserito nell’elenco dei beni dismissibili e riconsegnabili allo Stato. Al momento è oggetto di studio di fattibilità per la riallocazione di amministrazioni dello Stato attualmente in locazione passiva. Se il demanio affiderà al Comune di Bologna l’area, saremo una delle tante proposte. Ne sapremo di più nel mese di aprile.

Dei progetti per Villa Ghigi, Villa Salus e l’ex Manifattura cosa ne è stato?
Villa Ghigi è stata assegnata per attività commerciali, Villa Salus, 5 milioni buttati da Cofferati, non si è mai svegliata dopo il flop con la gestione Croce Rossa e ora sembra la ristrutturino per l’ospitalità sperando non sia propaganda. L’ex Manifattura procede, a rilento, ma procede. Nel 2016 c’è stato il primo intervento della Regione, l’anno scorso è partita la fase della demolizione, terminata il mese scorso, di certi lotti. Ora si attenderanno i fondi per la ricostruzione. Forse la mia generazione potrà vedere il tecnopolo a Bologna!

Villa Salus
Villa Salus

 

Oltre a Planimetrie Culturali hai altre occupazioni?
No. Il tempo che richiede l’associazione è tanto, tra progetti, riunioni, approfondimenti, ricerca e studio. Giriamo l’Italia tra seminari e workshop a portare le nostre informazioni cercando di rubarne qualcuna per noi e migliorarci. Tengo qualche consulenza a Regioni e Università. Porteremo il distretto popolare evoluto a Roma il 5 aprile per “Città dell’altra economia” di Cittadinanzattiva e poi al Politecnico di Milano nel mese di giugno per un corso post laurea organizzato da Temporiuso.

I tuoi luoghi – non abbandonati – preferiti in città?
Bologna è ricca di scelte. Per bere mi affido alla Vineria Favalli di via Santo Stefano oppure mi tuffo al Pratello. Per la musica di ricerca il Locomotiv come pure il TPO, che offrono sempre buone programmazioni. Mentre per il cibo cerco la periferia, dalla Trattoria Amedea di Zola Predosa alla Trattoria La Mura di San Lazzaro.

Hai mai pensato di entrare in politica? Le elezioni sono vicine…
Credo che essere rimasto marginale alla politica abbia portato Planimetrie Culturali a realizzare progetti in tempi brevi rimanendo attiva sul territorio per 10 anni. Devo poi aggiungere che ora sarebbe come andare in autoscontro, tra chi si divide, chi spinge di qua e di là e chi prova a rammendare gli strappi interni il caos regna sovrano. Però sì, ci ho anche pensato, ma solo qualche minuto…
Reputo la Giunta bolognese buona. Chiaro, sostituirei qualche tassello, come tutti. Fanno male le sempre più frequenti ordinanze in stile proibizionista. Il buco nero di Bologna rimangono le politiche abitative.