Nel trambusto cacofonico che è l’arte contemporanea a Milano, c’è una voce, fresca e appassionata, che spicca per il suo timbro squillante. Una voce, che in realtà sono nove, e che insieme formano spazioSERRA. Un collettivo curatoriale – da poco associazione – dedito all’arte contemporanea, parte di un network più grande che parla di rigenerazione urbana nel segno della cultura. Una rete che viaggia sottoterra e attraversa tutta la città di Milano, toccando le stazioni del Passante Ferroviario. Sulle scale della fermata di Lancetti, Massimiliano, Victoria, Giulia, Silvia e Camilla (poi ci sono Tracy, Virginia, Cristiano e Valentina), ci raccontano le sfide e le opportunità di questo progetto, un’operazione delicata ma in qualche modo necessaria per Milano e per l’arte.
Nonostante non abbiamo certezze nel futuro, noi abbiamo deciso di percorrere questa strada.
spazioSERRA, ovvero?
spazioSERRA nasce dal Progetto Artepassante, ora Fondazione, a cui sono stati assegnati da RFI una serie di spazi collocati all’interno delle diverse stazioni del Passante di Milano, da Porta Vittoria a Lancetti. Questi nascono inizialmente con scopo commerciale, ma di fatto non sono mai entrati in uso. Così al loro interno sono state collocate associazioni culturali e collettivi del territorio milanese che non avevano una casa. Oggi, più di dieci anni dopo, esiste una fitta rete di attori: un teatro a Porta Vittoria, un laboratorio di scenografia e costumi teatrali a Repubblica, uno spazio di clownerie a Dateo, e molti altri. Nello specifico, spazioSERRA è stato fondato nel 2017 da due studentesse dell’Accademia di Belle Arti di Brera, guidate dal Professor Renato Galbusera: inizialmente ospitava piccole mostre su invito fatte dai ragazzi dell’Accademia, poi pian piano ci siamo strutturati, finché nel 2019 abbiamo creato il nostro collettivo. Il nome “spazioSERRA” ricorda, oltre alla forma della nostra pagoda, anche il luogo dove nascono e crescono le piante, supportate con le cure necessarie, come noi intendiamo fare con gli artisti.
Un altro aspetto importante è che anche voi siete un gruppo eterogeneo di ragazz* che hanno dei background differenti.
Sì, facciamo tutti lavori diversi nella vita. Abbiamo un’istruzione umanistica/culturale, c’è chi ha studiato storia dell’arte, chi antropologia, altri sono artisti. Ci siamo conosciuti per amici in comune. Succedeva che magari il collettivo aveva bisogno di una figura specifica e qualcuno aveva un amico o un conoscente bravo in quell’ambito. Così siamo arrivati fino a oggi. Poi, come dici tu, nella vita facciamo altri lavori però siamo comunque rimasti fedeli a spazioSERRA. Siamo cresciuti e l’anno scorso siamo ufficialmente diventati associazione di promozione sociale, perché volevamo darci un carattere più istituzionale, anche nell’ottica di applicare a bandi e rendere più solida l’attività. Il nostro obiettivo è quello di diventare produttori delle mostre che facciamo, riuscire ad avere del budget da investire nei nostri progetti. Già a partire dalla call per la nuova stagione espositiva, suMISURA, che abbiamo aperto da poco e che chiuderà il 20 agosto, abbiamo deciso di dare un rimborso spese agli artisti. Questo è una scelta fondamentale per il futuro di spazioSERRA perché, di fatto, fino ad adesso, non siamo riusciti a fornire un supporto economico, ma abbiamo sempre garantito agli artisti, oltre allo spazio, un lavoro di organizzazione, gestione delle risorse, comunicazione, grafica, fotografia, insomma un corredo non indifferente. Nonostante non abbiamo certezze nel futuro, noi abbiamo deciso di percorrere questa strada.
Ecco forse queste difficoltà, soprattutto legate al fatto di essere inseriti in uno spazio pubblico, è un punto nodale nella vostra crescita.
La nostra realtà prevede delle problematiche legate al luogo stesso: dobbiamo interagire con una serie di attori, stando attenti alla scelta dei progetti da esporre, con tutte le limitazioni che uno spazio pubblico richiede. spazioSERRA è una grande opportunità, perché ogni giorno dalla stazione transitano centinaia di persone e le mostre sono sotto l’occhio di tutti. Ci piace anche pensare che con il nostro presidio garantiamo una vita alla stazione, contro vandalismi e incuria. Essendo così visibili, sentiamo anche la responsabilità di proporre un certo tipo di ideali, di valori, che per noi sono fondamentali e costitutivi del progetto. Infatti noi come collettivo abbiamo un posizionamento non indifferente rispetto ad alcuni temi cardine, ad esempio durante il mese del Pride, negli scorsi anni, abbiamo portato allo spazio dei lavori molto interessanti, legati all’attivismo e all’esperienza dell’omossesualità in Paesi in cui è considerata un reato.
Quindi come descrivereste il vostro pubblico?
Il nostro pubblico è randomico. C’è chi arriva perché ci conosce e viene apposta a Lancetti per vedere il nostro lavoro, ma poi c’è tutta una grande fetta di pubblico fatta di chi lavora in zona, o abita qui e passa tutti i giorni e si scontra quotidianamente con questo spazio. Essendo così esposti anche nei momenti di allestimento, capita di avere a che fare e di parlare direttamente con i passanti, questo succede anche agli artisti. È un aspetto estremamente interessante perché, per esempio, non sarebbe possibile in una galleria. Qui anche il processo è sotto gli occhi di tutti e genera dei veri e propri momenti di scambio. Ci sono persone che tutti i giorni prendono il treno e quindi hanno seguito passo dopo passo la storia di spazioSERRA, non perché venivano appositamente, ma semplicemente perché se lo trovavano davanti quotidianamente. Le stesse persone poi condividono con noi la loro gioia nel vederci crescere, nel vedere più mostre durante l’anno. La stagione espositiva 2021/2022 si chiamava venerazioneMUTANTE, prevedeva quindi che le installazioni all’interno di spazioSERRA mutassero nel tempo. Questo concept è stato concepito pensando proprio alle persone che capitano spesso in stazione e tutti i giorni hanno potuto vedere una mostra diversa o un qualche tipo di evoluzione. Quando lanciamo le call for artists o scegliamo gli artisti, ci chiediamo sempre che tipo di progetti dialogano al meglio con lo spazio, con la stazione, con il quartiere e non tanto con la persona che viene per il vernissage, ma piuttosto con chi fa esperienza della mostra nella sua quotidianità. In questo modo si crea un dialogo indissolubile con il quartiere. Il nostro sogno è quello di riuscire a collaborare e creare una rete anche con chi sta intorno a noi qui a Lancetti – per ora ci limitiamo a fare delle cene dopo gli opening con i nostri artisti e il nostro pubblico dal pizzaiolo di fiducia o al Rob de Matt – e riuscire a integrarci molto di più, non pensando all’arte contemporanea come qualcosa di elitario ma che può arrivare un po’ a tutti e dialogare con il pubblico.
E che rapporto avete con il quartiere? Conoscevate Lancetti?
Ci siamo trovati qui per caso. spazioSERRA è capitato, ed è qui, è parte del quartiere e, oltre alle difficoltà, noi guardiamo anche alle possibilità che può dare essere in una dimensione pubblica, sotto gli occhi di così tante persone. Inevitabilmente chi prende il Passante va di fretta, quindi sicuramente un aspetto importante è dare vita a qualcosa che può distrarre il passante e strappargli un attimo, attirarlo verso questo strumento che è spazioSERRA. Un’altra cosa che facciamo per legarci al territorio è il tipo di comunicazione che teniamo, che viaggia su due livelli: uno descrittivo, che vuole essere molto semplice, per spiegare a chiunque passi che cosa sta vedendo. Poi c’è un livello di approfondimento con dei testi critici, capaci di dare un tipo di lettura diverso. Anche questa dualità è una nostra caratteristica imprescindibile, da una parte cerchiamo di fare parte della nicchia che è l’arte contemporanea a Milano, mentre dall’altra teniamo fede a quella che è la nostra anima a contatto con il pubblico al di fuori del settore.
Ho notato che ci sono dei temi ricorrenti, sia nelle vostre call annuali che nelle mostre presentate. Si tratta di un fil rouge programmato?
Ogni stagione espositiva che costruiamo dialoga con quella precedente, con la costante di rivolgerci sempre allo spazio, allo studio di questo, al quartiere a alla città. La stagione in corso, unpostoIMPOSSIBILE, vede gli artisti astrarre la propria esperienza artistica da uno spazio fisico a un “altrove” incollocabile, attraverso un dialogo continuo tra interno/interiore ed esterno/esteriore. Il primo artista di questa stagione, Elias Cafmeyer, che ha vissuto tra Lancetti e Bruxelles, ha trovato una serie di connessioni tra queste due realtà e ha ricreato la sua stazione di Bruxelles qui in Lancetti, dentro spazioSERRA. Non si tratta solo di progetti molto belli ma di trovare una narrazione, una connessione con ciò che siamo.
E tra le mostre che avete portano in scena in questi anni, ce n’è una a cui siete particolarmente legati o che in qualche modo ha rappresentato un punto di svolta per spazioSERRA?
Ovviamente essendo in nove ognuno ha un po’ la sua mostra del cuore. Diciamo che è stato un percorso: a un certo punto è nata la voglia, la necessità, di mappare e di quantificare le nostre mostre, cercando degli indicatori con cui poter misurare il successo di queste. La mostra di Alessio Branchitta a marzo 2021 ci ha portato una nuova e fortissima consapevolezza, è stato un momento tranchant. Prima lo spazio veniva visto come un contenitore dentro cui succedevano delle cose, poi ci siamo messi seriamente intorno a un tavolo e abbiamo cercato di darci una forma, un’identità, tracciare i confini del nostro lavoro. spazioSERRA non è uno spazio vuoto. Negli anni abbiamo capito che si instaura un dialogo bilaterale: parliamo di cosa può dare l’artista allo spazio ma in realtà anche di cosa lo spazio può dare all’artista, che poi è il fondamento del site specific. Un artista deve pensare a un’opera che altrove non potrebbe fare, spazioSERRA è una pagoda aperta a 360 gradi in una stazione ferroviaria in un quartiere periferico di Milano. Riprendendo la mostra di Barchitta, ma anche quella di Agnes Questionmark di maggio 2023, si tratta di lavori perfetti per spazioSERRA e oggi appare impossibile concepirli altrove. Anche perché sia per la conformazione che per la geografia in cui siamo inseriti, creare una mostra qui è veramente difficile, non puoi venire e appendere il tuo quadro, ci deve essere uno sforzo molto più grande. Non vogliamo deludere chi ci segue, i nostri passanti, vogliamo dare qualcosa di bello ma anche rispettare la visione degli artisti. Essendo uno spazio indipendente, abbiamo anche la libertà di poter fallire, di avere molte occasioni di crescita, imparando dai nostri errori.
Un altro passo importante che dovrete affrontare è il progetto Milano Re-Mapped Summer Festival negli spazi di Pirelli HangarBicocca. Siete pronti a uscire dalla serra?
In questi ultimi mesi siamo stati chiamati a fare più progetti fuori da Lancetti. Ci stiamo facendo conoscere e siamo un po’ più inseriti anche nel network. Infatti poi è arrivato HangarBicocca. Una bella sfida per noi, perché è una progetto che ci sembrava fuori dalla nostra portata, soprattutto per lo sforzo organizzativo che c’è dietro. Comunque abbiamo dato il meglio, anche nella parte di ricerca artistica, proprio perché volevamo inserire in questo palinsesto un’impronta curatoriale nostra, trovando una tematica che legasse tutti gli artisti. Abbiamo chiamato alcune persone di nostra conoscenza ma anche artisti provenienti dall’estero, spingendoci al di là di quella che è la nostra attività. Noi solitamente facciamo un bando e le proposte ci arrivano, in questo caso siamo stati noi ad andare alla ricerca di artisti capaci di comprendere quelli che sono i valori di spazioSERRA. La tematica che abbiamo scelto è quella del Corpo politico, ci siamo messi ancora più in gioco anche sull’argomento selezionato, indagando la collettività e il singolo in un’ottica più ampia, avendo anche la possibilità di uscire dai limiti e dai confini che purtroppo la stazione di Lancetti ci impone. Non è facile creare un evento di 4 ore che interessi un pubblico di 300-600 persone. Per noi è tutto completamente nuovo. Abbiamo dovuto limare abbastanza, eravamo partiti da un’idea che poi abbiamo completamente stravolto, ma Hangar ci ha dato molta fiducia. Questa esperienza ci ha permesso di crescere tantissimo, è come una palestra. Per questo abbiamo accettato subito. Abbiamo l’opportunità di fare un progetto curatoriale con la nostra firma e le nostre idee, il fatto che abbiano scelto proprio noi è un onore.