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ZONA K

Indagare il presente e viverlo attraverso l’arte

Scritto da Francesca Rigato il 8 luglio 2023
Aggiornato il 12 luglio 2023

Valentina Kastlunger, Picariello

Foto di ©LucaDelPia

Incontro Valentina Kastlunger, Valentina Picariello e Renata Viola in una calda mattina di giugno, a Zona K, casa e spazio che contiene il loro mondo e mille progetti. Le K si presentano e si raccontano con questa doppia anima: sognatrici e concrete abitano il quartiere di Isola a Milano e da lì si espandono nella città tenendo sempre presente la domanda dell’interlocutore.

Ci sono due modi per lavorare sull’urbano: uno è farlo con gli artisti che hanno uno sguardo diverso dell’abitare uno spazio non loro, un altro è attraverso i cittadini che vivono la città.

 

Partiamo dal principio, come siete nate e perché?

Abbiamo fondato l’associazione nel 2011, avevamo quarant’anni ma ci apparteneva, e ci appartiene tutt’oggi, la stessa passione che si potrebbe avere a venti ma con una consapevolezza e una storia diversa alle spalle. Siamo nate perchè avevamo voglia di fare qualcosa insieme, ci conosciamo da sempre e, seppur venendo da percorsi diversi, abbiamo molti punti in comune. Al di là dell’amicizia ci interessa indagare il presente e restare ancorate all’attualità, a ciò che succede intorno a noi, con uno sguardo preciso, con un’attenzione alle branche che possono sembrare laterali rispetto al teatro come la politica e l’urbano. Siamo uno spazio ibrido, piccolo e diverso, dove sopravvive un’identità individuale che non vogliamo perdere e per questo ci interroghiamo costantemente sulla nostra esistenza.

Quando è arrivata la stagione teatrale?

I primi due anni sono serviti da rodaggio per arrivare a una costruzione definita e iniziare, nel 2013, una piccola stagione teatrale, oggi alla sua decima edizione. Sin da subito lo sguardo all’internazionale ha segnato una traiettoria, identificandoci non solo come un piccolo spazio off ma dandoci una linea e una riconoscibilità nel panorama artistico milanese. Ci siamo costruite un’identità, che si inserisce in un ampio spettro teatrale, con una coerenza e una progettualità di pensiero fatta di linee chiare come: l’urbano, l’internazionale, il partecipato, la volontà di concentrarsi sul pubblico e capire quale tipo di spettatore arrivava qua. Per ogni stagione abbiamo creato dei focus tematici e geografici come per esempio: balcani, Svizzera, catalogna o riguardanti un argomento come: radio, rivoluzionari e molti altri, cercando di dare una chiave di lettura al pubblico. Una cosa è certa: non presenteremo mai spettacoli con tematiche lontane dall’oggi. In particolare dopo il Covid e la frenesia dell’iper-produttività, abbiamo sentito il bisogno di capire dove stavamo andando, di ritrovare una consapevolezza e siamo arrivate a questa decima stagione proponendo uno spettacolo al mese.

Cosa vi interessa e che significato ha la città e il quartiere per voi? Come avete vissuto il cambiamento di Isola in questi dieci anni?

Agli inizi della nostra attività c’era il desiderio di uscire con le performance negli spazi esterni a Zona K, nelle vie, nei mercati, nei luoghi urbani e pubblici. Oggi non stiamo più cercando così tanto questa dimensione perché c’è stato un cambiamento nella richiesta del pubblico e nella città che si è trasformata. Ci sono due modi per lavorare sull’urbano: uno è farlo con gli artisti che hanno uno sguardo diverso dell’abitare uno spazio non loro, un altro è attraverso i cittadini che vivono la città. 

Inoltre per noi c’è anche una parte di esigenza di spazio fisico, essendo Zona K piccola c’era bisogno di allargarsi fuori e uscire nella città. Per esempio, il Festival KULTfestival culturale artistico e di quartiere – aveva la volontà di radicarsi in un territorio che non sapeva cosa fosse il teatro e la performance, con lo scopo di intrecciare diversi livelli di azione e interpretazione. Il Festival inoltre nasceva dall’esigenza di creare un rapporto con il quartiere da un punto di vista artistico. Ora al posto di KULT questo lato lo indaghiamo con il festival che ci sarà a Pirelli HangarBicocca: Milano Re-Mapped Summer Festival, dove il tema dello spazio e dei luoghi si interseca con la ricerca degli artisti, dell’arte e della cultura. Ci interessa indagare il rapporto con gli spazi attraverso linguaggi contemporanei e innovativi, per esempio le perfomance Slowed Landscapes di Moni Wespi, Home di Akira Yoshida, Urvoice di Francesco Venturi e Outdoor dance floor di Salvo Lombardo, sono intersezioni artistiche che non si definiscono con un genere ma provano a porsi ai confini artistici di musica, teatro, arte visiva e performance, interrogandosi sul rapporto tra uomo e città.

Come gestite i vari progetti? Cosa portano a Zona K tutte le esperienze diverse, dai laboratori alle produzioni alla stagione, quali sono le linee guida?

Le linee di Zona K, l’urbano, il politico, l’internazionale e lo spazio, sono rimaste le stesse dell’inizio, perché ci interessa indagare il presente, la realtà in cui viviamo e che ci circonda. Siamo davvero un po’ innamorate della ricchezza e della complessità della città, è sempre uno stimolo, una passione che c’era e c’è ancora. Un altro tema che è stato sempre presente è quello della partecipazione, ma oggi con un grande punto di domanda ci chiediamo in che modo continuare, se come abbiamo sempre fatto o se vederla da un nuovo punto di vista. Inoltre ci siamo accorte che alcune parole sono abusate e stanno diventando stantie, quindi, c’è bisogno di un nuovo linguaggio. Una cosa molto importante per noi è creare reti in tutte le direzioni, formali e informali, con altre istituzioni, organismi, realtà teatrali e sociali e progetti europei. Un altro approccio importante che ci lega al quartiere è l’attività per i bambini, e i vari progetti laboratoriali: Zona K fa attività didattica dentro e fuori le scuole, sempre attenta al tema del contemporaneo. Guardiamo con grande ammirazione gli spazi più giovani e contemporaneamente proviamo a non essere mai modaiole nelle scelte ma cerchiamo sempre di chiederci se quello spettacolo e quell’artista possono avere un rapporto con il pubblico, se sono in grado di aprire e non di chiudere. Ricerca dunque, mai ferma in sé stessa, ma esperita in prima linea come, per esempio, le residenze del progetto In Situ dove sosteniamo sia lo spettacolo dei vari artisti sia il percorso di ricerca nell’ambito dello spazio pubblico e della città.

Qual è un vostro desiderio per il futuro e cosa sperate accada a Zona K?

La prima cosa che ci viene in mente per il futuro è: Slow Working! Se questi dieci anni sono stati molto belli e con un senso chiaro, ora non vogliamo cedere e mettere il pilota automatico, anche perché uno spazio così non potrebbe funzionare, andrebbe a sbattere. Quello che ci auguriamo è di trovare ancora delle strade di senso, vorremmo recuperare il tempo del pensiero. Tornare a una dimensione più umana, dove nella frenesia delle mille cose da fare ricominciamo anche a chiederci “come stai?”. In questi ultimi anni siamo spesso state così prese dai progetti che non ci fermavamo neanche per chiacchierare, ora vorremmo rallentare e fermare questa iper-produttività che brucia le cose. La voglia è quella di guardare al futuro sempre con un pensiero in continua evoluzione senza strutturarsi troppo e senza una definizione.