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Urban Talks w/ Ben LaMar Gay

Una rubrica per conversare con artisti da tutto il mondo, espandendo il nostro sguardo urbano. In questa seconda puntata si parla di Chicago, USA

Scritto da Giulio Pecci il 30 novembre 2022
Aggiornato il 1 dicembre 2022

Foto di Federico Zanghì

Ben LaMar Gay parla musica. Il modo in cui l’artista americano costruisce le frasi è incredibilmente simile a quello in cui assembla la conversazione musicale dei suoi brani: una specie di eccitante disorganizzazione controllata. È profondo, divertente, sorprendente. Interrompe una frase sul più bello, attaccando una variazione del tema portato avanti fin lì con naturalezza e creatività. Per un secondo lascia sospeso l’ascoltatore, che si domanda stupito e contento come si sia finiti in un nuovo e stimolante microcosmo.

Tutte caratteristiche che il geniale musicista di Chicago ci ha detto essere proprie e derivanti della sua città. Con lui infatti continuiamo la rubrica Urban Talks: una finestra che ZERO apre sul mondo, racchiudendo sguardi e riflessioni su città e territori. Conversazioni con musicisti, dj, performer e artisti – quelli bravi veramente, che non manchiamo mai di segnalarvi quando passano dalle nostre parti – per riflettere insieme su passato, presente e futuro delle nostre metropoli, sul concetto stesso di città e su come la dimensione urbana finisca per legarsi indissolubilmente ai diversi percorsi disciplinari. Un tentativo di disegnare una mappa globale di luoghi, tendenze artistiche e dinamiche socioculturali che, prima o poi, confluiranno anche qui da noi, se non l’hanno già fatto.

La chiacchierata con Ben Lamar Gay è andata in scena sulle scale della Cavea dell’Auditorium, durante Fauves!, un bel festival dedicato alle contaminazioni tra jazz ed elettronica organizzato da Rai Radio 3 e Fondazione Musica per Roma lo scorso ottobre. Qualche ora dopo la nostra conversazione Gay ha chiuso la rassegna con un concerto memorabile, che ha lasciato increduli e commossi tutti i presenti.

 

 

Prima di tutto dove sei nato e dove vivi ora?

Sono nato e cresciuto a Chicago – South Side di Chicago. Per un po’ ho vissuto a Rio De Janeiro, ma poi sono tornato a vivere a Chicago e ci sto tutt’ora. È una città veramente interessante. Sai cosa, in generale, il punto con le città è che sono queste cose artificiali, progetti di design dell’essere umano messi sopra alla natura, al paesaggio naturale. Vivendo in una città siamo sempre costretti a confrontarci con il design e al modo in cui si è evoluto nei secoli. Amo venire a Roma proprio perché tutti gli stili provenienti da varie epoche sono ammassati uno sopra all’altro.

Non buttiamo via proprio niente…

Sì, è come fosse uno strano remix! È pazzesco e molto interessante. Tanti anni fa Chicago è stata vittima di un gigantesco incendio che ha distrutto gran parte della città (8 ottobre 1871, nda). Quindi all’epoca si sono detti: abbiamo bisogno di nuovi creativi, architetti, dobbiamo ricostruire. È una città che ha questo feeling molto moderno, artificiale, che Roma non ha. Per esempio, ha strade enormi. Questo la rende una città un po’ rigida e l’energia che c’è quando le persone si spostano diventa in qualche modo molto “quadrata”, è tutto “perfetto”. Visto che noi fondamentalmente siamo bestie selvagge, un impianto del genere ti spinge inevitabilmente a rompere quell’equilibrio artificiale. Per questo l’arte e la musica di Chicago sono sperimentali. Non importa il genere o il campo, hai a che fare sempre con persone che cercano di rompere quel sistema. Da un punto di vista naturale la cosa più bella e iconica di Chicago è il lago (il mastodontico Lake Michigan, nda), che ci ricorda degli spazi aperti, della natura, della libertà. È come se fosse un mare nell’entroterra, formato da ghiacciai vecchi di millenni. Quindi hai a che fare da una parte con questo sistema grigio e artificiale che ti fa ribellare, visto che gli esseri umani non sono “disegnati” per vivere in un ambiente del genere, poi hai questo specchio d’acqua intorno che ti ispira e ricorda del suo opposto. Questa tensione forma tutti i creativi di Chicago.

Ci siamo avvicinati molto alla domanda che volevo farti subito dopo, vale a dire quali sono le caratteristiche proprie e uniche della città e come queste formano le persone nate e cresciute a Chicago.

Assolutamente sì. Come ti dicevo, questo contrasto tra la rigidità chiusa delle forme urbane e l’apertura fluida, naturale tutto intorno è alla base di tutto. Poi c’è soprattutto il freddo. Fa così freddo che uno è portato a passare del tempo al chiuso, a creare, incontrare persone e quindi sperimentare, tenersi occupati.

Parlando specificamente di musica, ci parli della scena che c’è in città oggi? Anche pescando nei ricordi, cosa ascoltavi e cosa ti ha influenzato crescendo che era tipicamente di Chicago.

Parte tutto dalla cultura hip-hop, dal suonare a organizzare feste underground. La prima volta che ho scritto un testo era per un pezzo rap. Quella cultura mi ha dato un veicolo d’espressione: è stata la prima cosa di cui mi sono innamorato che fosse solo mia e non di mio padre – la mia parte brasiliana e doo wop invece viene da lui. È stata la prima cosa che ho riconosciuto come originale e che mi ha dato gli strumenti per fare delle cose che fossero mie, ad esempio con la mia vecchia crew di graffiti. Se ci mancava qualcosa lo creavamo noi, se un posto non voleva la tua arte li mandavi a fare in culo e ti muovevi per cercare persone creative sulla tua stessa lunghezza d’onda. Questo approccio è rintracciabile in tutti i generi classici: blues, rock, jazz, elettronica. Per dire, l’approccio americano alla musica elettronica viene da Chicago e Detroit, con house e techno. Generi nati proprio nel modo che ti ho descritto, da comunità che cercavano qualcosa, usando gli strumenti a loro disposizione. E boom: ecco house e techno che si diffondono in tutto il mondo. Insomma, non importa il genere, il sentimento alla base è lo stesso per tutta la musica di Chicago: amare qualcosa, volere qualcosa e fare quel che puoi per ottenerla, trovando nel frattempo la comunità che può aiutarti. Questa è la musica di Chicago, da sempre.

Mettiamo che domani io venga a Chicago. Quali sono i locali, i posti in cui devo assolutamente andare per ascoltare musica?

Io andrei sicuramente nei luoghi che sono gestiti da artisti, che sono un’altra cosa tipica di Chicago. Andrei al Constellation e l’Hungry Brain, due posti di Mike Reed, un grande trombettista e compositore. Lui viene dalla tradizione del Velvet Lounge di Fred Anderson (locale epicentro della musica free e dell’improvvisazione radicale per tutto il Midwest americano a partire dagli anni Ottanta, nda). Andrei poi all’Elastic Arts, un’associazione di persone come noi, che si mettono insieme per produrre e procurare fondi per la comunità. Questa è la santa trinità, se vai lì poi incontri tutti gli altri, che possono poi indicarti altre strade.

Questi posti sono sparsi per la città oppure sono nella stessa area? Chiedo perché un’altra domanda che volevo farti è se c’è un quartiere cui sei legato particolarmente.

Sicuramente il South Side, perché ci sono cresciuto. Partiamo dal presupposto poi che Chicago è un po’ la “Mecca Nera” e il South Side è dove sono tutti. Abbiamo tantissimi afroamericani, moltissimi dal Mississippi. Un luogo bellissimo, in cui la terra è veramente ricca e ci sono ancora tante persone nere che la lavorano. Poi, anni fa, ci fu un’emigrazione di massa da quelle e altre terre verso la città…

Che poi è stato quel fenomeno che ha dato vita al Chicago blues, il blues elettrificato e di conseguenza il rock e via dicendo.

Sì, esatto! Tutte queste persone che a quel tempo lavoravano la terra cercavano nuove opportunità e, chiaramente, anche di scappare da condizioni terribili di razzismo. Gli stessi motivi per cui le persone si spostano in tutto il mondo. Questi movimenti poi danno sempre vita a qualcosa. Pensa al mio batterista Tommaso Moretti, lui è di Macerata, nelle Marche. Ci sono stato e anche lì parliamo di campagna e di persone si spostano verso le metropoli. La cosa tipica del Mississipi però è il suo folklore: lì puoi trovare collegamenti diretti con la cultura yoruba e africana in generale. Poi ci sono le persone che sono venute a Chiacago dall’Alabama, come mio nonno. L’Alabama ha una connessione speciale con le stelle, per questo ci sono nate persone come Sun Ra. Lui dopo Saturno è atterrato in Alabama, poi è andato a Chicago dove ha sviluppato tutto il suo pensiero. È quello di cui parlavamo prima: ho un concetto da sviluppare, mi circondo di persone che mi aiutano a svilupparlo, lo faccio insieme a loro. Oggi tutti ascoltano Sun Ra, in tutto il mondo. That’s the vibe. Quindi sì, ti dico South e West side di Chicago, perché negli anni hanno raccolto tutte queste personalità incredibili.

L’ultima cosa che voglio chiederti riguarda l’etichetta per cui pubblichi, l’International Anthem. Agganciandoci a quello che dicevi, negli ultimi anni il suo catalogo è diventato riconoscibile e influente in tutto il mondo, risultando anche molto rappresentativo di Chicago e di un approccio libero e creativo alla musica. Qual è la relazione tra l’International Anthem e Chicago?

Quando parliamo dell’energia di un posto che ispira le persone parliamo di questo. L’International Anthem non sarebbe mai nata senza questi fattori. Poi ogni tanto succede che trovi le condizioni perfette, la comunità giusta con cui realizzare queste cose e addirittura farle diventare cool. Non avrei mai pensato di trovarmi qui, a Roma, all’Auditorium, a parlare con te grazie a della musica che ho scritto e prodotto nella mia camera. Se ci sono è perché un collettivo di persone ha creduto in tutto ciò, mettendo su un’etichetta, lavorando a tutti gli aspetti, trattando bene le persone. Sono individui come noi insomma: sono sicuro che anche tu hai una squadra con cui lavori per obbiettivi comuni, con cui far succedere cose. Il cuore della questione è che si tratta di amicizia. A volte questo fenomeno può sembrare più grande di quello che è realmente, perché tutti noi ci diamo tantissimo da fare. In realtà ci stiamo praticamente tutti perdendo soldi, nessuno sta guadagnando vendendo questa musica. Ma è tutto incredibilmente vero ed onesto ed è così che è percepito da fuori. Nessuno di noi è uno stronzo ricco, però abbiamo la possibilità di fare queste cose e connetterci con persone diverse. Quando quel ponte si instaura nessuno sa cosa può succedere!