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Valentina Bergamaschi

Il calcio femminile e la comunità calcistica con No League

Scritto da LR il 16 dicembre 2022
Aggiornato il 20 dicembre 2022

Foto di Edoardo Anastasio

Questo 2022 è il 50° anniversario di Nike, e per quest’occasione tutto l’anno è stato dedicato alla celebrazione dello sport come strumento di cambiamento, d’esplorazione, di benessere e di comunità. Vi basti ricordare dove e quando avete visto le attività sportive del brand a Milano: alla BAM con le attività gratuite (frequentatissimo lo yoga), nella Milano Cup 2022, nell’evento Running is Never Done e nell’ormai annuale partnership con la Bebe Vio Academy. Insomma, si sa: lo sport è tanto benessere quanto presa di coscienza del corpo e dei propri spazi, ma prima di tutto lo sport insegna a crederci e in secondo luogo a stare assieme, e lo fa attraverso quella solidarietà che è implicita nell’idea di competizione, perché in fondo si tratta di un confronto che ha come fondamento il gioco, la sfida.

«All’inizio della mia carriera l’inclusione bisognava sudarsela sul campo a anche a colpi di tackle duri e gol. Ora c’è un mondo che gira attorno al calcio femminile.»

Bene, e quale tra tutti gli sport è la regina del lavoro di concerto, corale e della sfida più sentita? Ma il calcio, ovviamente. E anche qui le attività di Nike contano una storia decisiva (basta pensare a Nike FC, impegnata nella promozione nel cambiamento futuro del calcio). Soprattutto in città con NO LEAGUE: il progetto educativo e sportivo promosso dagli operatori di alcuni centri di aggregazione giovanile, di alcune comunità per minori e associazioni di quartiere della città di Milano, coordinato dall’Asd Sportinzona Melina Miele e da Uisp Milano. Ci sono Gorla, via Padova, Dergano, Niguarda, Giambellino, Lambrate, Nolo, Pontelambro, ed è tutto rivolto ai giovani e agli adolescenti, all’insegna dei più importanti valori sportivi: partecipazione, condivisione, integrazione. Questo dicembre inizia No League Nbhd Cup: un torneo di due giorni con ragazze e ragazzi dei principali quartieri di Milano, sempre per incoraggiare una visione del calcio che faccia evolvere lo sport a un livello comunitario e “locale”.

Tra gli invitati ci sono delle figure di spicco: una è Valentina Bergamaschi, classe 1997: attaccante del Milan, di cui è capitano, e della nazionale italiana – oltre che atleta Nike. Abbiamo fatto una veloce chiacchierata con lei al Campo Sportivo Cameroni di Gorla, durante il maxi torneo di calcio e pallavolo per ragazze e ragazzi dai 6 agli 11 anni, organizzato da No League del 2 e 3 Dicembre 2022. Come da mantra di No League, il protagonista del torneo non è l’agonismo  ma il percorso sportivo ed educativo che le squadre affrontano dalla scelta dei componenti, alla modalità di allenamento e alla gestione del gruppo. Ve ne abbiamo parlato qui.

 

Ciao Valentina, quali sono i messaggi che un formatore, un allenatore o un atleta affermato devono mandare alla nuova generazione?

Innanzitutto lo spirito giusto è che i bambini e i ragazzi si divertano, il calcio è innanzitutto svago e crescita. Allenatori ed educatori hanno però il compito di spiegare ai ragazzi che lo sport richiede sacrificio, impegno, determinazione. Solo così si cresce e si progredisce.

Quanto sono importanti le iniziative come Nike Football Community e No League per veicolare interesse al calcio femminile?

Sono essenziali per far crescere l’attenzione verso uno sport che, fino al 2019, era considerato prettamente maschile e per noi donne non era quasi riconosciuto. Il professionismo femminile è quindi una cosa recente e ha bisogno di forze fresche e iniziative capillari quali No League.

Qual è la cosa che ti piace di più nel vedere i giovani atleti divertirsi e sfidarsi qui a No League?

No League è in generale un progetto bellissimo e per diverse ragioni. Per me la cosa più importante è che condivide perfettamente i miei valori: un’iniziativa che premia il divertimento e aiuta i giovani in difficoltà.

Com'è cambiato il calcio femminile da quando giochi?

All’inizio della mia carriera, quando giocavo con i “maschietti” ricevevo molti commenti negativi, ricordo che mia madre in tribuna mi difendeva a spada tratta con i genitori dei miei compagni. L’inclusione bisognava sudarsela sul campo a anche a colpi di tackle duri e gol. Alcuni dicevano di darmi alla danza, ma visto che ero forte, era chiaro che sarebbe stato meglio se qualche maschio in campo si fosse dedicato alla danza, invece che la sottoscritta. Prima si giocava per pura passione, ora c’è un mondo che gira intorno al calcio femminile, c’è più pressione e interesse dei media, più programmazione e investimenti. Anche noi atlete siamo diventate più professionali, anche nel gestire la comunicazione e il rapporto coi media.

Quali sono le qualità di un capitano, e tu, che capitano sei?

Diciamo che non è un ruolo facile. C’è responsabilità, e consapevolezza. È un onore indossare la fascia del Milan, il mio sogno è diventare una bandiera qui, al pari di Franco Baresi o Paolo Maldini. Sono un capitano che non lesina le sgridate, ma nello spogliatoio ogni giocatrice si sente libera di esprimere la sua opinione al servizio della squadra.

Si fa abbastanza informazione sul calcio femminile in Italia?

[risata e sospirone] Eh.. diciamo che è un mondo ancora in crescita, c’è molto da fare, sia per gli aspetti mediatici e quelli logistici, a cominciare dagli stadi. Alla fine ci meriteremo qualcosa in più solo facendo bene sul campo.