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Venanzio Arquilla

Progettare l'esperienza per umanizzare la tecnologia

quartiere Bovisa

Scritto da Emilio Lonardo il 7 aprile 2022
Aggiornato il 11 aprile 2022

Foto di Glauco Canalis

Con Venanzio Arquilla, docente della Scuola di Design del Politecnico di Milano e startupper, parliamo della Bovisa dell’innovazione, quella che lui ha scelto per lavorare ed abitare in quanto quartiere ancora a misura d’uomo e ricco di un potenziale, che potrebbe presto trasformarsi: da luogo “dove andare, per lavoro o studio” ad uno dal fermento riconosciuto in “cugini” più in voga come Isola e Nolo.

Si tratta di umanizzare la tecnologia  renderla accessibile agli utenti dando una “forma” facile ed intuitiva.

 

Ciao Venanzio, quando pensiamo al design ai più verranno in mente famosi oggetti di arredamento che abbelliscono le case. Cosa fa invece un UX Designer?

UX è l’acronimo di User Experience, quindi UX Designer è il designer che progetta l’esperienza utente. Nel contesto attuale i prodotti diventano sempre più complessi e spesso prevedono un importante contenuto tecnologico: si pensi alla miriade di oggetti connessi o sensorizzati con cui conviviamo oggi. In questo senso il designer contemporaneo deve riuscire a rendere accessibile, utilizzabili e gradevoli oggetti molto complessi. Dalle Automobili di ultima generazione, per non parlare di quelle future a guida autonoma, fino agli arredi o agli accessori elettronici per la casa (assistenti vocali, smart tv solo per dirne alcuni) o per la persona (l’ormai immancabile smartphone ma anche gli smartwatch e/o tutti i wearable che misurano in qualche modo le nostre performance o caratteristiche biometriche) vanno progettati tenendo in considerazione logiche di interazione nuove. Lo User Experience Designer, partendo dall’ottimizzazione dell’esperienza d’uso, si occupa di fatto di umanizzare la tecnologia e di renderla accessibile agli utenti dando una “forma” facile ed intuitiva a prodotti e servizi.

E tu in questo momento su cosa stai concentrando la tua attenzione?

Io divido il mio tempo su diversi progetti professionali: sono il coordinatore del Corso di Laurea in Design del Prodotto Industriale e del Corso di Laurea Magistrale in Integrated Product Design per la Scuola del Design del Politecnico di Milano, da un lato, e poi, dall’altro, coordino la Experience Design Academy di POLI.design. Mi occupo di fatto di processi didattici a livello universitario ma anche per aziende. Il tema della UX è trasversale ed è molto richiesto sia come formazione di base che come tematica di aggiornamento per coloro che lavorano già e che devono aggiornarsi. 

Inoltre gestisco progetti di ricerca che applicano i principi della UX a diversi settori che vanno dall’Automotive UX fino alla progettazione di prodotti e servizi per soggetti affetti da Autismo, con il Laboratorio Co.meta. 

Infine provo a fare lo startupper con Narvalo, la start-up, spin-off, del Politecnico di Milano che progetta e sviluppa mascherine tecnologiche per la protezione delle vie respiratorie. Avventura nata sui banchi di Scuola, prima della pandemia, in collaborazione con BLS, azienda boutique da sempre esperta di protezione delle vie respiratorie in ambito B2B. 

In un momento storico come questo, in cui la relazione tra le persone, e tra le persone e i luoghi è cambiata profondamente, come si è modificato il modo di progettare l’esperienza utente?

Di fatto, dal punto di vista culturale, progettare l’esperienza utente per un designer non è niente di nuovo. Da sempre i designer, principalmente quelli di prodotto, hanno utilizzato metodologie di indagine dei bisogni degli utenti e li hanno messi al centro delle loro riflessioni progettuali. Oggi questo approccio viene applicato in maniera trasversale dall’architettura fino ai sistemi di prodotto – servizio digitali. Quindi le altre discipline beneficiano di una contaminazione e allo stesso tempo i designer di prodotto trovano nuove opportunità in ambiti atipici.

Cosa fa la Experience Design Academy?

La Experience Design Academy si occupa innanzitutto di formazione post-laurea con corsi di Formazione per professioni ed imprese, anche on-demand, sui temi della User Experience e gestisce il primo Master in User Experience Psychology, un master congiunto di Politecnico di Milano e Università Cattolica, un prodotto innovativo che ibrida un nuovo profilo professionale in grado di meglio comprendere i bisogni degli utenti trasformandoli in opportunità. Abbiamo anche progetti di ricerca su tematiche di frontiera in relazione all’esperienza di prodotti e servizi, grazie alle più ampie competenze politecniche. I progetti di ricerca vanno da una dimensione più scientifica e/o culturale a quella applicativa, con diversi livelli di integrazione possibile. E poi ci occupiamo di sviluppo di pacchetti personalizzati, partendo dall’analisi della singola realtà e con verifica delle competenze interne e del business model. In questo modo è possibile strutturare dei percorsi condivisi con metodi ad hoc e strumenti atti a raggiungere gli obiettivi di business previsti dalle diverse realtà con processi formativi integrati allo sviluppo di progetti aziendali utilizzando l’approccio project-based learning.

Se avessi a disposizione tutto il quartiere di Bovisa, cosa ti piacerebbe ri-progettare in ottica di user experience?

Questa domanda è molto provocatoria per un progettista, in teoria oggi sui quartieri si potrebbe fare e dire molto. Si sente parlare di 15 min cities e di quartieri a misura d’uomo. Credo fortemente in questa prospettiva. Vedo nella Bovisa una grande potenzialità di un quartiere che sta crescendo e che deve diventare o restare attrattivo anche dopo l’orario di chiusura del Campus o nei Weekend. 

I progetti di Scalo Farini, da un lato, il Parco la Goccia, dall’altro, credo possano dare la spinta per rivitalizzare il centro. La sua dimensione tradizionale che ruota intorno a Piazza Bausan e ai mercati del mercoledì e venerdì, con tutti i servizi disponibili, dovrebbe avere la forza per crescere ed integrarsi valorizzando le sue piccole eccellenze, come le botteghe artigianali, e le grandi opportunità, legate al Politecnico e alla filiera del Design, dell’Innovazione e della Tecnologia (con POLI.HUB ed i diversi co-working). Se dovessi dirla in termini di User Experience andrebbe direi che la Journey ideale potrebbe essere quella di un quartiere che si può vivere sempre al meglio restando però umano. Mi piacerebbe si riuscisse a portare qualche elemento di Isola o di Nolo in modo da trasformarlo definitivamente in un luogo dove stare e non solo un luogo dove andare, per lavoro o studio alcuni e per dormire altri.

Qual è il tuo rapporto con il quartiere? Com’è la tua Bovisa?

Io ho scelto tempo fa di vivere in Bovisa, vivo la sua doppia anima, ci vivo con la mia famiglia ed i miei figli e per ora ne apprezzo la dimensione controllabile e umana, ci  lavoro comodamente, grazie al Politecnico. 

E’ un quartiere a misura d’uomo, avrebbe bisogno di un po’ di verde in più e di qualche attrazione sportiva, culturale e serale (era bello il periodo in cui c’è stata la sede distaccata della Triennale o il Cinema all’aperto) con queste aggiunte potrebbe diventare perfetto. E’ vicino al centro per ogni esigenza particolare, è di fatto un quartiere accessibile e ospitale, si vive bene e si gira a piedi, cosa per me fondamentale. 

Spero che gli interventi programmati, come la nuova Piazza Alfieri e l’area/piazza di Via Durando, possano di fatto unire le due parti del quartiere creando un unicum accessibile ed aperto e per il resto spero nella capacità dei cittadini della Bovisa, autoctoni e non, di farne un luogo creativo e stimolante capace di attrarre in ogni senso ispirandosi alle 3T di Richard Florida (Talento, Tolleranza, Tecnologia).