Abbiamo fatto di tutto, ci siamo spinti al limite delle nostre possibilità: abbiamo scrufolato tra le sale dei musei, assaporato la consistenza di ogni poltrona di ogni teatro e cinema in città, lasciato l’udito sotto cassa e piedi sanguinanti in pista e poi ci siamo ristorati, ingozzati, inebriati sopra e sotto ogni tavola e tavolino di bar e ristoranti nuovi di zecca. Abbiamo vissuto Milano per voi e con voi e ora ci sentiamo pronti a restituirvi il BEST OF 2024 di ZERO, per darci la possibilità di ritrovarli in giro il prossimo anno e non rivangare i treni partiti senza di noi.
Le mostre che ci hanno rubato il cuore
Fondazione Prada quest’anno ci ha regalato due artiste incredibili: Meriem Bennani, attualmente in corso e a cui va un menzione speciale, ma soprattutto e sopra tutte, Miranda July. Travolgente come l’influenza d’inverno è diventata una vera passione per chiunque l’abbia vista e in modo capillare anche per chiunque abbia parlato con chi l’ha vista e così via. Nonostante l’Osservatorio di Fondazione Prada sia uno spazio che tende al chirurgico, lei ha saputo essere più potente e ci ha ridotti a groupie di una visione.
Altra menzione d’onore va alla mostra dell’amatissimo (a Milano di sicuro) Ugo Mulas che arriva in città con una delle più ampie e dettagliate retrospettive dedicate a uno dei suoi autori più importanti. Curata da Denis Curti e Alberto Salvadori, propone un taglio inedito che trova il suo principale nucleo narrativo nella città di Milano, colta nelle sue molteplici sfaccettature.
Una mostra dal titolo impossibile da pronunciare, un pangramma tra i primi a essere utilizzati all’estero per esercitarsi con l’alfabeto. La volpe veloce salta sul ghiro marrone ek gioca con lo zaino blu sembra un gioco per pochi appassionati di semantica ma porta con sé significati molto più profondi: si interroga su come il linguaggio, la scrittura e le parole si sono adeguate a chi non le poteva comprendere, agli sforzi che anche tra membri della stessa specie abbiamo dovuto fare e facciamo per trovare una sintesi comune. Lorenzo D’Anteo con le sue tele si è ispirato alle lettere medievali per spazializzare un nuovo alfabeto abitato dai fantasmi della pittura, fatto di topi, serpenti e stivali di gomma. A lui ha risposto Luca Trevisani con uno dei suoi lavori più conosciuti: il canto di uno degli ultimi rinoceronti bianchi rimasti sulla terra. Questa mostra l’abbiamo vissuta come un omaggio all’arte, un saggio espanso, dove il linguaggio è il primo vero collante tra mondi diversi e l’artista è il re delle ossessioni futili dietro le quali si nascondono temi più concreti.
Di spazioSERRA lodiamo tutta la programmazione, baluardi di un modo di pensare e fare cultura che a Milano ormai non si trova più. Non lo diciamo in modo nostalgico perché loro hanno saputo crescere, cambiare, ripensarsi. Ad oggi ci portano programmazioni coerenti e totalizzanti e di questo 2024 abbiamo adorato lo sguardo critico, ironico e collettivo di AFFITTASI LUMINOSISSIMO BILOCALE la mostra site-specific di Zeroscena e Silvia Francis Berry, accompagnatə nelle riflessioni da Laura Raccanelli.
BiM lo stiamo ancora studiando, tra sorprese e incertezze, ma intanto non possiamo negare che si applica, portando pian piano in città una programmazione di ricerca, spesso legata all’emergente e con progetti site-specific anche di grande valore, come la mostra di David Horvitz, Abbandonare il locale. Una serie di lavori che parlavano, esplodevano, intensificavano questo spazio sospeso, tra il non finito e il non in uso, tra quello che potrebbe essere ma ancora non è. Una ricerca fitta che racconta il potenziale.
Giò Marconi ormai è un’istituzione a Milano. Con una mostra più interessante dell’altra, sia sul piano storico che su quello contemporaneo, sta assumendo un ruolo di legittimazione importante. Di questo 2024 segnaliamo la mostra stupenda di TaiSHANI Lavish Phantoms of the House of Dust per la sua capacità di creare un vero e proprio ambiente. Riesce a ricontestualizzare temi portanti come femminilità, sessualità e una visione politica raffinata, attraverso una maniera gotica creando un contesto, una vera e propria narrazione, all’interno del quale muoversi ed esistere. I tappeti poi sono straordinari, si possono consumare e guardare, unendo classico e domestico, generando una stratificazione colta ma molto immersiva.
Gli spettacoli da rivedere
Lo spettacolo di Licia Lanera riporta sul palco la Bologna degli anni Ottanta e chiede: chi sono gli altri libertini? ma soprattutto, chi sono oggi? sono coloro che sono liberi dai costrutti sociali o sono quelli che la società pone ai margini e lascia che si smarriscano tra le perdizioni più svariate. La potenza di questo spettacolo è quella di lasciarti senza parole e riecheggia anche dopo mesi una sola domanda: siamo tutti figli di quel tempo lì?
Non c’è lavoro e studio più difficile di comprendere il presente e Ilva football club fa esattamente questo, scava nella storia contemporanea provando a puntare una luce su una vicenda ancora buia. Usine Baug e Fratelli Maniglio riescono, usando magistralmente gli strumenti della scena e i linguaggi teatrali, a raccontare una storia: che sia vera o no non è importante, perché a prescindere ci crediamo. Sul palco, così, si delinea una favola nera dove gli animali protagonisti sono gli stessi uomini che ne soffrono.
Ancora, ancora e ancora è quello che si vorrebbe dire alla fine di ogni spettacolo de La Veronal. Così, anche in Firmamento la compagnia catalana porta sul palco un mondo altro, distopico, lontano, ma riconoscibile, in cui vorremmo tutti essere ospiti almeno una volta.
BEST CONCERTS
“Medieval cyborg folk” è il modo in cui Alexandra Drewchin aka Eartheather ha definito la sua stessa musica. Sperimentazione musicale acrobatica che live diventa la performance di un corpo libero che muove su un palco un’identità nella sua interezza e – forse – anche qualcosa di più. Dopo la sua prima italiana al Lost Festival un paio di anni fa la abbiamo vista questa primavera al Circolo Magnolia.
Odd Future è il collettivo targato NYC che negli anni ha fatto emergere alcune delle teste più matte dell’hip hop made in US. Earl Sweatshirt insieme a nomi come Frank Ocean e Tyler, the Creator è una di queste e l’occasione di vederlo dall’altra parte dell’oceano è piuttosto rara. E’ successo al circolo Magnolia questo settembre.
Le scelte esotiche della rassegna Future Pidgin curata dall’etichetta Artetetra aggiunge un tono di colori accesi all’offerta sperimentale musicale della città. Quei colori hanno brillato fin dal primo appuntamento dell’anno, che hanno affiancato ai founder Babau il trio acquatico Lagoss. Come dice la loro bio su Instagram: Psicodèlico…pero no mucho.
BEST NIGHTS / FESTIVALZ
A Il Cairo esiste una scena di musica elettronica di ritmi spezzati, percussioni profonde e footwork scura che racconta senza parlare e con poca didascalia uno stato emotivo facilmente empatizzabile sotto alla pelle in questo momento storico. Zuli e Rama sono due delle anime pulsanti di questo movimento e l’hanno portata a Milano sullo scoccare di questo inverno. Affianco a loro Cocktail Party Effect e Isabassi.
Come spesso succede in città come Milano sopraffatte da eventi più o meno macroscopici, quello che viene dal basso diventa ciò che stupisce e crea piccoli movimenti entropici nelle scene. Local Service è uno di quei piccoli fenomeni di creazione di comunità di ballo condiviso con scelte stilistiche sempre sul pezzo nella loro sperimentazione, chiudendo l’anno con una serata in quel di Ortica con il b2b di Laada e Smiyya da Bergamo e Judaah, founder della label Brother from Different Mother.
Questa primavera la rassegna Inner Spaces ha regalato un appuntamento speciale in collaborazione con il festival torinese Jazz Is Dead!: Suzanne Ciani e Pauline Oliveros, due leggende statunitensi della musica immersiva elettronica sperimentale. Qualcuno conoscerà la seconda grazie alla teorizzazione del Deep Listening, modalità di fruizione della musica tramite l’ascolto profondo oggi insegnato e diffuso in Italia attraverso la bellissima pubblicazione di Timeo.
Mangiando, bevendo, godendo
La SemiVuota ci conquista perché qui si mangia bene e di sostanza. Non è la trattoria anni Ottanta dove eri pieno già agli antipasti, ma quelle non esistono più. È un’osteria dove esci appagato e nostalgico simultaneamente, grazie a un clima pop-poetico: pop sono le tovaglie a quadri rossi, la minestra e i mondeghili; poetica è la trippa servita in chicchera e il quadro del duplicatore automatico, omaggio al Pozzetto di “Io tigro, tu tigri…”. La cantina è tutta lombarda, la Semivuota non è davvero vuota e noi non siamo “cretini”. Quindi ci torniamo. Prenotando.
Franca, che non è la cuoca, non mente. È reale. Un piccolo locale con pochi coperti che punta su convivialità, condivisione e stagionalità, senza trasformarle in slogan. Non ci sono signature dish – anche se il Topi-tonnato (topinambur, salsa tonnata e capperi) potrebbe esserlo – perché il menu cambia ogni tre settimane, seguendo stagioni e disponibilità. Da Cucina Franca trovate piatti e posate che ricordano le case delle nonne, una cucina sostenibile e aperta a influenze sudamericane e una carta vini snella. Se è la prima volta e non siete soli, puntate sul menu degustazione.
I perché dei migliori film passati nelle sale di Milano
Il ragazzo e l’airone – Hayao Miyazaki (durata 124 minuti)
Perché è un viaggio esplorativo verso la liberazione dal dolore e l’ingresso nell’età adulta: è l’opera di Miyazaki più personale, quella in cui le potenzialità immaginifiche del cinema d’animazione raggiungono l’apice creativo, allegorico e impressionista. Un Alice nel Paese delle meraviglie luttuoso e maschile, un trip allucinante e spigoloso che rappresenta un crocevia necessario per la lotta di ciascuno contro l’abbandono.
La stanza accanto – Pedro Almodovar (durata 107 minuti)
Perché affronta una delle più importanti battaglie del nostro presente: quella per il diritto di decidere come e quando morire. Sorretto da due attrici meravigliose come Tilda Swinton e Julianne Moore, mai sovraccariche, il grande Pedro Almodovar coniuga l’amore disperato per il melodramma con il cinema civile, allestendo un geometrico e colorato set che rimanda alle pulsazioni e alle confessioni del suo cinema più commovente.
Estranei – Andrew Haigh (durata 105 minuti)
Perché è un frastornante viaggio interiore nell’incancellabile immaterialità dei fantasmi delle persone che abbiamo amato e che abbiamo perso. Il regista Andrew Haigh realizza un capolavoro dell’anima, dove l’amore del protagonista si diffonde in una dimensione onirica senza tempo, che sovrappone l’eternità del passato con l’illusione del presente. Un melodramma familiare che non ricatta ma pugnala solo quando è necessario, obbligando a fare i conti con la realtà di ciò che resta e con le assenze.
Anora – Sean Baker (durata 138 minuti)
Perché è una dichiarazione d’amore nei confronti delle sex workers, una commedia pseudo-romantica alla Pretty Woman che evolve in un Fuori orario grottesco, crudo e malinconico, in cui una lap dancer viene ingaggiata per una settimana e poi per un viaggio a Las Vegas dal figlio ricchissimo di un oligarca russo. Meritata Palma d’oro al Festival di Cannes: gran film, divertente e intelligente, una scrittura lucida che non concede un attimo di tregua, tra invenzioni slapstick e dialoghi da screwball comedy.
Grand Tour – Miguel Gomes (durata 129 minuti)
Perché è il folle racconto del viaggio senza senso e senza una meta precisa di una donna che insegue l’uomo che vorrebbe sposare, mentre lui mette in discussione le ragioni per cui il matrimonio dovrebbe essere celebrato. Dopotutto, il sentimento dell’amore non conosce contestualizzazioni, è atemporale e irragionevole. Un’esperienza visiva e filosofica, Settima Arte nel vero senso della parola: qualcosa che non si era mai visto e che non ha modelli di riferimento.
Hanno contribuito: Annika Pettini, Carlotta Magistris, Francesca Rigato, Irene Caravita, Rossella Farinotti, Emiliano Dal Toso, Alessia Baranello, Stefano Montibeller.