La gastromixology non è una malattia, ma una tecnica di miscelazione che ruba, spia, prende in prestito metodi e tecniche dal mondo della cucina, ibridandoli con quelli classici del bartending. Il risultato lo vedete e lo capite da Talea, il bar sperimentale di Filippo Sisti e dei ragazzi del Pinch aperto di recente. Un mondo botanico fatto di erbe, radici e ingredienti sconosciuti, lavorati fino a fargli prendere un’altra forma. Proprio questo vi regalerete se passate al bancone di via Argelati, e ancor più se vi concedete l’esperienza al Vivarium. Bar nel bar, esperienza nell’esperienza, il Vivarium è la chicca del Talea: un bancone nascosto solo per sei persone (su prenotazione) e un bartender dedicato per un’ora e mezza che vi aprirà gli occhi e soprattutto i sensi, facendovi scoprire un mondo poco conosciuto.
Il concetto di tempo è fondamentale al Vivarium. Il lavoro e le preparazioni che si fanno qui necessitano di pazienza e osservazione – come accade d’altronde in natura -, ci spiegano appena seduti davanti a un bancone led dove verranno proiettate grafiche e immagini legate ai quattro elementi. Quattro come i cocktail speciali ispirati a terra, aria, fuoco e acqua, più un drink che troverete normalmente in carta al Talea. Il tempo è necessario anche per gli ospiti, che – di fronte a Filippo, esperto traghettatore nel mondo della sua cucina liquida – devono approcciarsi a queste creazioni con la dovuta calma e con lo spirito di un’esploratore del gusto. Nessuna foto e nessun video sono permessi.
Tutto viene creato davanti agli occhi, in un continuo dialogo con Filippo che spiega fermentazioni, macerazioni, parla di esperimenti in cucina, ci fa provare liquori incredibili, germogli annaffiati con la liquirizia, ingredienti che vengono da tutto il mondo. Il percorso al Vivarium è quanto di più vicino al significato semantico di esperienza, parola così abusata. Perché qui non si viene con lo spirito classico di chi va al bar, qui si viene e si esce con un qualcosa in più, che difficilmente si trova in giro.
Filippo parte dalla volontà di rompere i confini tra cucina e miscelazione, sfumandoli insieme in maniera elegante e mai forzata. Vi verranno presentati piatti che si bevono o, guardandoli da un altro punto di vista, cocktail che si mangiano. Come la ceviche di gamberi marinata nello yozu con salicornia, acetosella e completata con gin, cordiale al sedano rapa e bitter al malloverde; il Bloody Mary in vasocottura con kamote (una zucca messicana), marmellata di tamarillo (pomodoro delle Ande) e passion fruit, tequila e limone; il gelato al tarassaco e foglie di sedano, olio di mostarda, cocco disidratato e poi fermentato, bagnato con vodka sour e birra. Per avere una visione di quello che è il lavoro dietro il Vivarium, un lavoro che avviene in laboratorio, nell’orto, e ultimato davanti a voi, il Vivarium ha organizzato un percorso sensoriale che parte dalla miscelazione, fa il giro del mondo, torna in cucina e arriva al bancone del bar, dove si beve e si mangia con tutti i sensi.
Non aspettatevi di trovare un bar nel senso classico del termine: Vivarium è qualcosa a cavallo tra diversi mondi e va prima ascoltato che giudicato. Come si dovrebbe fare ogni volta di fronte all’innovazione. A perdere è solo l’aspetto conviviale del bancone, un po’ viene meno la socializzazione tra gli ospiti immersi totalmente in questo percorso. Assolutamente da provare per uscirne arricchiti.