Gli ultimi due anni pandemici sono stati caratterizzati da dinamiche e movimenti agli antipodi: se da un lato la diffusione e la cura vaccinale del Covid hanno rimarcato una certa irreversibilità dei processi di globalizzazione, dall’altro il tempo di resilienza trascorso tra questi due momenti ha riportato tutti con forza a una dimensione iperlocale: quella dell’appartamento, delle strade attorno alla propria casa, dei quartieri, fino a riscoprire la città come una somma di unità e reti. Proprio su questo terreno ZERO ha incontrato nelle ultime settimane il lavoro di Scenario, realtà a cavallo tra Roma e Berlino che indaga il ruolo dell’immagine fotografica nella cultura e nella divulgazione architettonica e urbana, ampliandone la consapevolezza. Da questo incontro è nato Luci su Roma, un progetto editoriale che nei prossimi mesi vi porterà in giro per la città attraverso il racconto e le foto di alcuni dei protagonisti della progettazione, della creatività e dell’artigianato di Roma. Il sesto appuntamento è con STARTT, Studio di Architettura e Trasformazioni Territoriali, nato nel 2008 e diretto da Simone Capra, Claudio Castaldo e Dario Scaravelli. Con loro abbiamo fatto un viaggio tra le strade del Flaminio, quartiere formativo e che ha segnato il loro percorso professionale, a partire dai grandi papaveri rossi con cui nel 2011 riempirono il piazzale del MAXXI.
“C’è un forte legame tra STARTT e il quartiere Flaminio, perché la nostra storia inizia proprio qui. Nel 2011 vincemmo il concorso YAP del MAXXI con il progetto “WHATAMI”, ora, dopo 10 anni, siamo tronati sul Lungotevere Flaminio con un nuovo lavoro che ci vede coinvolti, insieme ad altri professionisti, nel recupero della storica Casina delle Poste, che presto tornerà alla città – forse ci rivedremo qui tra 10 anni ancora con un nuovo progetto ancora più importante!
Per noi il Flaminio è davvero un quartiere molto significativo e si è rivelato essere una costante fonte di ispirazione per la nostra formazione e per la nostra educazione come architetti. I nostri luoghi del cuore qui sono quattro. Il primo è Villa Glori, uno dei primi progetti di paesaggio moderno a Roma, firmato da Raffaele De Vico, architetto di giardini e spazi pubblici a metà tra un progettista come lo intendiamo oggi e un dandy – bellissima la foto in cui è sdraiato con un fiore in bocca in mezzo a uno dei giardini romani disegnati, anticipando di sessant’anni un’altrettanto iconico ritratto dei Beatles. Poi c’è Monte Mario – sempre progettato da De Vico, che però non riuscirà a realizzarlo completamente – immaginato all’epoca come il secondo grande approdo verde di questo nuovo quartiere sui prati del Flaminio.
Senza alcun dubbio fa parte di questa “educazione affettiva” anche il Villaggio Olimpico, disegnato negli anni Sessanta per ospitare gli atleti e diventato poi un quartiere di case popolari. L’aspetto straordinario del Villaggio è che i migliori architetti di Roma di allora – e parliamo di Monaco, di Luccichenti, di Moretti, di Libera – si sono trovati a condividere il progetto, la scelta dei materiali, il cemento a vista, i mattoni gialli e i mattoni più scuri sui lavatoi. Una visione in qualche modo collettiva, forse inimmaginabile ora, in cui tuttavia si lasciava spazio alle singole individualità e a diversi approcci riconoscibili nei dettagli: il neoclassico, il tradizionalista che guarda alla storia architettonica di Roma, lo spigliato che guarda al mondo dell’avanguardia.
In ultimo, c’è complesso di Piazza Perin del Vaga e delle case popolari. Qui è molto interessante il legame tra le abitazioni e il quartiere, con logge, altane e cortili interni nascosti che richiamano la ricchezza spaziale del barocco romano, per questo definito barocchetto. Il Flaminio è uno dei pochi quartieri in cui il disegno urbano è da sempre controllato: c’è una regia pubblica e se ne coglie l’organicità. Con questa sorta di tridente che parte dal Ponte della Musica, già previsto nel 1920, e arriva al Villaggio Olimpico e all’Auditorium, per noi rappresenta l’immagine di quello che potrebbe essere Roma. Un quartiere che ha avuto una regia architettonica continuativa durante tutto l’arco delle pianificazioni, fino ai giorni nostri, con servizi culturali, abitazioni di qualità e mobilità: la progettazione urbana nella sua migliore accezione.