Piazza Duca d’Aosta, prima di tutto, è una piazza di skate. A voi sembrerà che passandoci ci abbiate fatto l’abitudine al rollio delle ruote sui marciapiedi, allo stridere dei truck sulle lastre in marmo, o allo sferragliare metallico delle tavole in grind sui manicotti. Vi sembrerà d’aver fatto l’abitudine alle decine di ragazzi e ragazze che incrociate ogni santo giorno lì davanti, che incrociano anche i pendolari, quasi per tutta la giornata. Anche i militari in mimetica e col furgone lì davanti sembreranno aver assunto la dimensione dell’abitudine a godersi lo spettacolo, per non parlare dei tassisti o degli spaccini – sì, anche loro.
Bene, la realtà dei fatti è che Piazza Duca d’Aosta è attiva sulla scena dello skate nazionale da trent’anni buoni, e riconosciuta come spot di pregio internazionale da almeno venti. Forse venti netti, da quando le più importanti casi di produzione di skate-film hanno scoperto l’ineguagliabile perfezione architettonica e urbanistica di una piazza di transito, rappresentativa, progettata divinamente ma per sbaglio come skate plaza open air. Perché La Centrale (l’articolo determinativo femminile è connotativo della scena degli skaters meneghini) è a tutti gli effetti – concedeteci un inglesismo/neologismo – un inatteso capolavoro di “skatechitecture”: al di là degli spazi abbastanza ampi per poter effettivamente skateare, ci sono muretti in marmo, in ogni direzione s’incontrano scalini, bank, passamani e grate e ovviamente passanti e militari, e il flat – ovvero la pavimentazione – è letteralmente perfetta. Fatto sta che ogni aggiunta alla piazza, da quello che fu l’Arco della Luce alla Mela del Pistoletto, non riesce mai a svincolarsi da una dimensione “skateabile”. Perché qui tutto lo è.
Skateboarder statunitensi ed europei approdano qui a primavera per svernare tra i flat scheggiati dai blindati.
Ma insomma, se bisogna dare datare l’ingresso nei place-to be dello street-skate de La Centrale siamo nel 2002, con l’uscita di Videoradio, di TWS – Transworld Skateboarding, uno skatevideo che attraversa sette paesi diversi con un gruppo piuttosto folto di skaters in ventun giorni. Parliamo di un magazine mensile californiano dedicato allo skate e – ovviamente – di una casa di produzione video che ha campato per 36 anni (1983-2019), e che portò forse per la prima volta La Centrale nell’immaginario globale degli spot più ambiti dagli skaters.
Ma la vera botta, la vera consacrazione, fu cinque anni dopo, nel 2007, quando anche Lakai produsse il suo primo lungometraggio di skate. Fully Flared fu una specie di blockbuster hollywoodiano dello skateboarding, con un cast stellare per la community di skaters: Mike Mo Capaldi, Lucas Puig, Guy Mariano, Eric Koston, Marc Johnson, e parecchi altri. Passiamo poi per il fatto che Fully Flared fu anche girato con alcune camere Panasonic per l’HD uscite da pochissimo, che all’epoca una produzione simile durava circa quattro anni e quindi gli skaters si vedevano qua e là nelle piazze a skateare, ed ecco l’intruglio esplosivo. Fully Flared non soltanto cambiò il modo in cui le persone skateavano, ma anche i modi di riprendersi, documentare e raccontare, insomma: cambiò le figure della rappresentazione degli skaters, e in secondo luogo diede una botta importante a Stazione Centrale. Da quel momento in poi, La Centrale entrò definitivamente nel gotha degli spot dello street skateboarding, frequentatissima ma soprattutto facile da trovare. Esattamente di fronte ai binari.
Questo per farci capire la rilevanza assunta a livello internazionale di Piazza Duca d’Aosta, con skateboarder statunitensi ed europei dalla Francia, dalla Spagna, dall’Inghilterra o dalla Svezia che svernano in primavera tra i pavimenti scheggiati – dai blindati delle forze dell’ordine, mica dai truck o dalle rotelle delle tavole – a La Centrale. Ma se vi domandate cosa fosse prima di questo, o dove si andasse a skateare, o chi qui a Milano ne rappresenta gli sviluppi nostrani e meneghini, la storia va fatta risalire ovviamente a prima. Se la scena dello skate è attiva a Milano almeno dagli anni Settanta, tra i fine Ottanta e i Novanta gli spot prediletti erano Piazza Leonardo Da Vinci (prima che le lastre venissero sostituite dalla ghiaia), il Muretto a San Babila (ora inglobato dalle vetrine di Gap), e la forse più importante Piazza Borromeo, detta BOR o più simpaticamente “Mini-Duomo”. I ragazzi di CHEF GSF – tra gli spiriti tutelari de La Centrale da skate – ci raccontano che fu proprio la crew del BOR che, a seguito dell’inagibilità della piazza (alias: i sanpietrini), formò il primo nucleo in Piazza Duca d’Aosta.
Siamo a metà degli anni Novanta, quando la piazza venne spianata da una pavimentazione perfetta. Ci volle poco per rendersi conto che di luoghi così incredibili, a Milano, non ce n’erano e forse non ci sarebbero mai stati. Che lì dentro c’era il potenziale per uno spot di fama, dicevamo prima: da gotha internazionale. Siamo a fine anni Novanta, e il nostro protagonista è Gianluca Mariani, aka SpaghettoChild: skater storico della scena milanese e tra i primissimi local di Mc (ovviamente: Milano Centrale). SpaghettoChild può essere definita la primissima crew di MC, a cui seguono in ordine generazionale gli MC (che riprendono pari pari il nome dello spot) e gli CHEF – Genuine Street Flavour, che nascono nel 2008 dopo essere stati parte sia di SpaghettoChild che di MC. Dovete immaginarvela così, La Centrale: affollata al pomeriggio e alla sera da skaters (ma meno di oggi in tempi non-pandemici), e zonizzata, ovvero divisa in aree nonniste o educative. Nel senso che, per esempio, in quella che è conosciuta come “La Piazzetta” all’inizio di via Pisani soltanto i local più affermati potevano skateare. E ci di doveva arrivare sudando.
Là dove lo sferragliare delle rotaie si attenua nel brusio dei pendolari e dei passanti, dove le rotelle dei trolley trovano il piano sdruccevole dei lastroni in marmo e pietra, sono gli skaters a cambiare i connotati della piazza.
Insomma, la questione era semplice: ci si ritrovava lì, si era amici, si skateava assieme e si fondava una crew, una famiglia. SpaghettoChild era in fondo più un’espressione artistica del Mariani, il “purista” dello skate, che riusciva a raccogliere parecchie persone. A lui si devono forse i primissimi video con cui MC rientra nel panorama italiano, come No Rules o Why Be Something You’re Not?, ma anche il video degli MC “Day After Day”. Anche gli CHEF si sono sempre impegnati nel raccontare al meglio possibile la storia del La Centrale, sia con “99 problems but a trick ain’t one” – video del 2013 che ripercorre gran parte della storia della piazza – che con “Spaghettochild 3 – Youth of Yesterday”, video-documentario del 2019 che guarda direttamente dentro alla storia trentennale di Gianluca Mariani.
Negli ultimi anni sono uscite diverse clip, piuttosto che video interi, che hanno La Centrale come architettura iconica dello skate. C’è “Milan”, dei Sabotage di Philadelphia, “Stallion” di Supreme, e l’ultima botta che ha ricevuto Piazza Duca d’Aosta è stato di certo Jacopo Carozzi, con “Stazione Centrale” – un’altra uscita che ha rinvigorito, ancora, la rilevanza dello skate park open air più famoso d’Italia, ora frequentato da crew più giovani come Stinky Trouble, Meaningless o Ratz Ratz. Ma anche Prosper Visionz, collettivo che frequenta Piazza Duca d’Aosta da quindici anni e che dal 2014 documenta la scena underground e dello skate dei dintorni de La Centrale.
Ovviamente con l’avvento e la logistica dell’immagine sui social, e soprattutto su Instagram, La Centrale non ha fatto altro che ampliare le sue frequentazioni. Si trovano decine e decine di video, immagini e stories che raccontano del trentennale rapporto che Piazza Duca d’Aosta ha con la scena degli skaters, dall’iconizzazione del profilo della Stazione, ormai riconoscibile a tutti in ogni skatevideo, e inserita sicuramente tra le tappe più ambite.
Là dove lo sferragliare delle rotaie si attenua nel brusio dei pendolari e dei passanti, dove le rotelle dei trolley trovano il piano sdruccevole dei lastroni in marmo e pietra, sono gli skaters a cambiare i connotati della piazza. A fare da termometri d’eventi, da termometri sociali. A sentire e vedere tutto quello che accade, sferragliando i truck sui muretti e i passamani, schioccando sul marmo, e ripercorrendo in continuazione una storia che dura da trent’anni buoni e riassume un’immagine di una città.