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Claudio Antonioli

Sì è la persona da cui andate (o dove vorreste andare) a comprare vestiti per i vostri eventi speciali. Ora è anche tra i fondatori del Volt, il nuovo club nato sulle ceneri del Divina. Claudio è un bravo imprenditore, uno che fa scouting tra nuovi brand di moda e che ha calpestato anche molti dance floor storici, ma non è un nostalgico anzi è sempre più appassionato e soprattutto è uno che si diverte come piace a noi.

Scritto da Emanuele Zagor Treppiedi il 13 settembre 2016
Aggiornato il 8 febbraio 2017

Immaginatevi una persona appassionata di moda e di musica elettronica che può dare sfogo a questi suoi interessi aprendo un club. Claudio Antonioli è questa persona: un clubber brizzolato vestito nero Rick Owens che, insieme ai suoi collaboratori, si fa tutte le fashion week (anche quella un po’ snobbata di agosto a Copenaghen) per scovare nuovi brand da “ospitare” nei suoi negozi e sul suo shop on line ma appena può va a ballare a Ibiza o al Social Music City. Ora ha deciso di dare il suo apporto al mondo della notte investendo in prima persona sul Volt, il nuovo club che sorgerà sulle ceneri del Divina e che inaugurerà questo week end. In una lunga chiacchierata ci ha raccontato come ha iniziato il business nella moda e di come oggi la moda sia legata al clubbing.

Presentati: chi sei? Quando e dove sei nato? Da dove vieni? Dove vivi? Perché sei qui?
Sono Claudio e sono nato il 4 dicembre 1962 a Milano, alla Mangiagalli, intorno all’1 di notte, da padre milanese e mamma di Varese. Sono il fondatore di Antonioli: negozi di moda a Milano, Torino, Lugano e Ibiza e sono partner di 4 brand: Marcelo Burlon County of Milano, Off White, Palm Angels e Ben Taverniti Unravel Project. Vivo in un loft in via Savona. Ho 7 “bimbi”: 5 gatti e 2 cani, tutti trovatelli, che sono i miei grandi amori. Sono qui perché amo la musica elettronica e ho deciso di aprire Volt, che andrà a sostituire il Divina.

Be’ mi sembrano un sacco di cose.
Tutto quello che cerco di fare, lo faccio sicuramente con passione. Altrimenti non lo faccio. Dai negozi alla prossima avventura del Volt, passando per i brand, sono tutte cose che mi appassionano e in cui credo profondamente. Se una cosa non mi appassiona non riesco poi a produrre nulla di bello, perché non lo faccio con un’energia corretta. Dunque io nella mia vita posso fare solo le cose che mi piacciono.

Moda e musica elettronica mi appassionano, quindi ho deciso di dedicarmici a tempo pieno. Ho un mio genere di musica elettronica che è un po’ quella nata a Milano negli ultimi anni, quell’elettronica un po’ cupa stile Tale Of Us, Hunter/Game, Mind Against, Somne ecc… questo è il mio genere, tant’è che anche a casa la ascolto e la identifico come la mia musica. Io poi sono figlio dei Massive Attack, dei Portishead, dei 4Hero… tutto quel filone scuro.

Claudio nel suo negozio in via P. Paoli con Muso
Claudio nel suo negozio in via P. Paoli con Muso
Il Volt non nasce per un business ma per la voglia e il piacere di fare un club, e per divertirsi. Non voglio che si pensi che il Volt sia antagonista degli altri: io ho grossa stima del Wall e del Dude, son tutti amici e io andrò a ballare anche da loro se di venerdì o di sabato, o un altro giorno della settimana, ospiteranno dei dj che mi piacciono.

Anche per la moda l’approccio è identico. Ho stima dei miei colleghi, non ho una rivalità con gli altri, per me è tutta gente bravissima e ognuno sviluppa quello che è il suo mondo nel suo modo. Finché son persone corrette, e la maggior parte lo sono, c’è stima.

Cosa facevi prima di dedicarti ai negozi?
Mio padre ha sempre avuto negozi di abbigliamento. Però erano diversi perché parliamo degli anni 70/80. Io prima, fino a 26 anni, ho fatto sport a livelli quasi agonistici. Quella è una parentesi della mia vita che però ho chiuso. Tendenzialmente faccio sempre così: mi impegno al massimo per una cosa, in quel caso era lo sport, poi quando mi stufo o trovo che sia superato, chiudo completamente quella parentesi in modo che non possa contaminare quello che faccio adesso o quello che farò dopo. Quindi, siccome lo sport che facevo non c’entra nulla con quella che adesso è la mia vita, e non è una cosa che adesso mi appassiona, non è una cosa a cui oggi io dia importanza.

Com’è nato il tuo primo negozio? E com’è nata la passione per la moda?
Ho aperto il primo negozio a Milano in Piazza Lima nel 1987. Ai tempi c’era un negozio in città che però aveva l’esclusiva su tutto (Biffi ndr). Praticamente non potevi tenere niente: tutte le aziende servivano questo spazio compresi tutti i nuovi brand di ricerca come i giapponesi o i belgi.

L’attenzione alle serate e a quel modo di vestire, oltre al fatto che l’altro negozio di moda a Milano era diventato un po’ meno attento al nuovo, mi ha aperto una strada.

È successo però che verso la fine degli anni 80 questo negozio non è riuscito a star dietro alla ricerca, nel senso che hanno iniziato a non prendere Dolce & Gabbana, non avere Bikkembergs, Dsquared… tutto il nuovo corso della moda, che non definirei più artistico ma più moderno.

Poi io sono sempre stato uno che usciva la notte: proprio quando ho aperto, verso la fine degli anni 80, c’erano il Cafè Caribe in via Procaccini e la one night Principe, una delle prime serate house, che si teneva dove oggi c’è il Teatro Prncipe e tra i dj ricordo un magnifico Leo Mas. Poi sono nati i vari The Base, quindi Marcella e Alberto, il Fluid a Bergamo, non mi perdevo mai le varie Colazioni da Tiffany, Folies De Pigalle… siamo all’epoca d’oro della musica house. C’era il primo Pervert all’Hollywood il mercoledì. Molti dei loro clienti che frequentavano questi locali venivano da me a vestirsi e io conoscevo anche tutti gli organizzatori. Così in piazza Lima ho iniziato a fare questo tipo di segmento fashion notturno e l’ho portato avanti. L’attenzione alle serate e a quel modo di vestire, oltre al fatto che l’altro negozio di moda a Milano era diventato un po’ meno attento al nuovo, mi ha aperto una strada.

Il primo brand che sono riuscito a portare nel negozio è stato Jean Paul Gaultier che a cavallo tra anni 80 e 90 era diventato il nome più cool di Parigi. Legato sempre al mondo notturno, era uno che osava usando anche dei modelli non bellissimi ma molto personali e ha spezzato anche le regole della classica sfilata.

Jean Paul Gaultier a Parigi nel 1987
Jean Paul Gaultier a Parigi nel 1987
Con lui ho iniziato il mio percorso di ricerca per proporre qualcosa di nuovo e interessante nel mio negozio. Poi non sempre le cose vanno bene, c’è anche chi è più bravo di me e questa concorrenza mi sprona sempre a fare meglio. Perché io devo stare attento e devo sviluppare. Non amo crogiolarmi sugli allori e tenere tutto per me.

Infatti il problema dalla moda è che l’Italia ha sofferto e soffre dei nostri storici e importanti designer che non hanno mai consentito l’uscita dei nuovi. Loro fanno finta di sponsorizzare gli emergenti ma in realtà poi pensano solo al loro marchio e al loro nome. Un ragazzo quando negli anni 80 o 90 usciva da un ufficio stile non riusciva a farsi cucire nessun capo perché era come se gli venissero chiuse le porte in faccia. E questa è proprio una cultura italiana perdente. Infatti si è ammazzato tutto.

Io ricordo che anni fa ero stato a fare il primo campionario di A.F. Vandevorst e loro lavoravano da Dries van Noten. Lui, quando loro erano usciti per fare la loro linea, gli aveva dato gratuitamente l’ufficio stampa di sua proprietà per fare la vendita, una cosa da noi impensabile: proprio una cultura diversa. Lo stesso Rick Owens ha sei seguaci che palesemente si ispirano a lui. Sono suoi amici e vengono alle sue sfilate, apprezza pure che il loro showroom sia vicino al suo, ma non l’ho mai sentito dire “quello mi sta copiando”.
Bisogna riuscire a dare agli altri e dando si riceve. Da noi invece c’è la cultura del “se non mi conviene perché devo aiutare”? Da notare che questo succede non solo nella moda, ma in tutto! Dobbiamo cambiare e avere questa visione di interscambio evolutivo.

Come mai e quando hai deciso di spostarti sui Navigli?
In Piazza Lima ero in affitto e lo spazio era piccolo. Non mi piaceva stare in affitto, anche se avevo un proprietario splendido e vivevo in zona. Ho vissuto 5 anni nel residence di un amico. Non volevo avere un luogo fisso e menate condominiali. Pagavo più di un affitto normale e dopo un po’ ho pensato, be’, forse meglio che mi prenda una casa.
Il negozio qui sui Navigli l’ho cercato perché volevo comprarmi uno spazio dove poter fare un po’ quello che desideravo. Inoltre, nel caso del negozio Pizza Lima, per la realtà che poi si stava sviluppando nel retail, era troppo piccolo. Quindi la boutique piccola non poteva più funzionare, non potevi più dare solo una presenza di capi e di visibilità, dovevi dare una realtà, un’immaginario e in 50 mq era difficile proporre entrambe le cose. Così quando letto l’inserzione sul Corriere della Sera “vendesi negozio, magazzino, ex cinema muto” mi ha subito incuriosito e sono venuto a vederlo. C’erano i vecchi pavimenti, il camino in pietra, la vecchia cornice del cinema muto, che c’è ancora, e vedendo queste cose mi sono innamorato e l’ho preso. Offerta e pratiche di compravendita chiuse in tre giorni. Poi ho iniziato a metterlo a posto con il mio gusto. C’è stato l’amore per lo spazio e la necessità di voler cambiare aria da Buenos Aires dove entravano tutti, toccavano tutto ma non avevano idea di ciò che vendessi: entravano perché passeggiavano su una via commerciale. Qui invece si deve arrivare e, quando si entra, è perché magari si ha già un’idea di quello che si vuole comprare.

Antonioli store a Milano in via P. Paoli
Antonioli store a Milano in via P. Paoli
Anni duri e di sacrifici?
Eh sì, qui sui Navigli per il primo anno e mezzo/due è stata tosta. Il sacrificio è alla base. Ma anche in Piazza Lima, per anni, prima di vendere, io pulivo il marciapiede, pulivo i vetri, servivo, facevo la contabilità di notte, gli acquisti li facevo o di notte dopo la chiusura o di domenica perché eravamo chiusi. Quando ho aperto il negozio non uscivo quasi mai, non avevo tempo e non avevo il budget per il personale, per il commercialista ecc… la contabilità la facevo su un’asse da stiro! Tutto ciò non per un anno, ma almeno 6/7 anni! Poi quest’asse da stiro era diventata un rito, tant’è che a un certo punto volevo portarla anche qui, visto che mi aveva portato un po’ di fortuna!

Ci dicevi del The Base… altri club che frequentavi a Milano?
Oltre al The Base c’era anche il Plastic che è sempre stato un po’ il mio punto di riferimento milanese. Loro oggi sono molto bravi ad avere un format che non ha molto bisogno del dj, lavorano sulla loro storia, talmente bella che merita sempre rispetto e quando ci vado è un piacere. Ecco, io, amando l’espressione artistica del dj, cerco anche quella e voglio proporre quest’aspetto.

Con chi andavi a ballare?
Quando capitava andavo con amici ma, ti dirò, io sono sempre stato uno solitario. Spesso partivo da solo e poi in serata capivo con chi tornare. Diverse volte in cui sono uscito con amici ricordo che a un certo punto della serata li lasciavo lì. Una volta un mio amico ha insistito per venire con me al Fluid. Io l’avevo avvisato che se poi avessi trovato una bella ragazza c’era il rischio che l’avrei lasciato lì. Lui, tranquillo, non si fa problemi e decide di venire ugualmente con me. Cosa succede? L’ho lasciato lì! Non so cos’abbia combinato poi, però è riuscito comunque a tornare a casa; io l’avevo avvisato che non volevo aver legami e volevo divertirmi. La cosa assurda è che poi lui aveva lasciato la sua macchina a un Autogrill vicino Milano, quindi chissà che cinema che ha combinato per tornare a casa. Io comunque ero stato chiaro! Tendezialmente non ho mai voluto nessuno in macchina, erano periodi in cui si guidava ma non c’era l’ansia dei controlli e poi c’era anche un po’ di incoscienza.

Quant’è collegata la moda alla notte, oggi?
Allora, ti parlo dal mio punto di vista. Il Rick Owens che è un po’ il capostipite di quello che è il filone che seguo io è in realtà un vero artista, lui ha uno sviluppo stilistico che non nasce guardando ciò che funziona, nasce sul suo pensiero e sul suo viaggio. Guarda la storia del capo ma guarda anche un suo film. Io ho grossa stima di Rick perché ha aperto un genere e nella storia della moda ce ne sono davvero pochi così. A lui sono seguiti una serie di designer, quindi una corrente, e io sono un grosso estimatore di questo trend stilistico. Successivamente molti dj, che ormai sono le nuove superstar, hanno apprezzato questa corrente: dai Tale Of Us a cui piace molto Rick Owens a Ilario Alicante, che ho visto indossare un capo di Boris Bidjan Saberi. Io, che apprezzo anche il loro genere musicale, mi sono subito sentito coinvolto in questo contesto e ho avuto anche la conferma che una grossa fetta di dj si rispecchia in quella che è la mia proposta. Collegarmi a un club che fa soprattutto un determinato tipo di genere musicale, ma non per forza i dj che ti ho citato poco fa, penso che possa essere il massimo per concretizzare le mie due passioni e questa è una conferma di quello che ci siamo detti all’inizio.

Però voglio precisare che non è che il club supporterà Antonioli o viceversa. Certo, possono esserci occasioni in cui magari Antonioli supporterà delle serate come sponsor, nel senso che magari ci sarà un dj che desidero avere e in quel caso lo supporto io in prima persona senza gravare sugli altri soci del locale.

Tale Of Us il duo di Milano immortalato all'art district di Ibiza dove c'è anche il nuovo negozio di Antonioli
Tale Of Us il duo di Milano immortalato all’art district di Ibiza dove c’è anche il nuovo negozio di Antonioli
E in generale la notte si è sempre basata sul semplice farsi notare o sul travestimento..
Bravissimo. Adesso è un po’ superato questo tipo di concetto.
Secondo me non c’è una moda bella o una moda brutta, ognuno ormai esprime un suo tipo di sensazione. Allora io posso essere colorato, posso essere nero, posso essere bianco, puoi avere la cravatta, la giacca, le sneakers…. Per me dipende che sneakers porti, che giacca porti, che camicia porti… ma non tanto la marca, mi interessa come ti stanno addosso queste cose, ognuno deve sapere, provare, analizzare il suo corpo e la sua personalità. Anche al Volt avremo un door selector, Stefano, che è un ex responsabile del mio negozio e che farà la giusta selezione. Poi non vorrei fare alcun privé. Il club tiene 500 persone, se uno entra è già “accettato”, non c’è bisogno di fare il privé del privé, ma che cazzo eh!?

Questo per dire che non ci sarà una regola su come ci si deve vestire, ma bisognerà avere un po’ di gusto, coerente con il mondo a cui ti stai avvicinando e nel quale vuoi entrare. Non devi essere vestito Antonioli, devi stare bene.

Ma quindi non farete solo musica che piace a te?
No, faremo anche cose che non me non c’entrano niente. Come ti dicevo all’inizio, a me piace un genere ben preciso di elettronica. Però commercialmente è utile avere anche altre serate e io le accetto.

Uptown Night la one-night alternative hip hop del giovedì del Divina
Uptown Night la one-night alternative hip hop del giovedì del Divina
Mi sembra che comunque tutto torni perché se anche non tutte le serate sono del tuo genere a livello di estetica possono darti nuovi stimoli.
Corretto. Anzi la contaminazione è importantissima, perché se uno si chiude è finito. Io spesso, nel mio lavoro qui in negozio, ho collaboratori più giovani di me, e tutti con un’estrazione diversa. Perché di base è giusto avere una visione ampia: io stesso, dopo anni di questo lavoro, circa 27, trovo doveroso avere persone abili e che mi stimolino, perché altrimenti sarebbe tutto rimasto fermo.

Palm Angels by Francesco Ragazi FW 2016
Palm Angels by Francesco Ragazi FW 2016
Ci dici qualche nome nuovo della moda che stai seguendo particolarmente?
Sicuramente il fenomeno delle ultime stagioni è Vetements, ma anche qui parlare di nuovo è strano. È chiaro, e immagino lo sappia anche tu, che l’avvento di Internet e di quello che è un processo di diffusione molto più semplice, rispetto a una volta, ha massificato ogni tipo di prodotto. Poi c’è Palm Angels di Francesco Ragazzi, che mi ha subito colpito. Lui è l’art director di Moncler da anni, e ha questa sua personale linea di abbigliamento di cui io ho deciso di diventare socio.

Ecco, internet: tu sei stato uno dei primi a sperimentare con lo shop on line
Sì, io ce l’ho da quasi nove anni. Uno deve usare i mezzi di vendita e di comunicazione anche per tenersi aggiornato e non solo per fare business. Per me è stata un’avventura perché ho fatto tutto internamente, dal software al customer service, passando per il personale, e ai tempi non era facile. Abbiamo lavorato per 3, 4 anni con i miei ragazzi faticando tantissimo.
Oggi ci sono diverse professionalità già formate a riguardo. Ma ero deciso e ho voluto mettermi in gioco seguendo un flusso contemporaneo, che però non decidiamo noi. Se uno vede una luce e gli sembra interessante e persistente, se vuoi vivere, commercialmente o di emozioni, quella luce devi provare a raggiungerla.

A proposito di luce, di commerciale e di emozioni, che luce hai visto a Ibiza che ti ha spinto ad aprire anche sull’Isla?
Il progetto di Ibiza è sempre legato alla musica oltre che alla moda. Io ci andavo per vacanza e per divertimento e mi sono accorto che non c’era un negozio che rappresentasse lo sviluppo fashion dell’Isola. O meglio, c’erano dei negozi, ma tutti un po’ datati e piccoli, con carenza di alcuni brand. Poi ad Andrea, un mio conoscente, è venuta quest’idea di partire con lo sviluppo commerciale in un’area di Ibiza dove prima c’erano solo fabbriche dismesse, industrie e magazzini, ma dov’erano già presenti due gallerie d’arte (una di Guy Laliberté, fondatore del Cirque Du Soleil).
Andrea voleva provare ad aprire un’altra galleria d’arte e mi ha chiesto se fossi interessato a prendere anche uno spazio per fare Antonioli. A me piaceva l’idea dello spazio industriale, mi piaceva che non ci fossero vetrine, come non le ho qui sui Navigli, mi piaceva che fosse vicino al porto, vicino al centro. Così lui ha aperto la galleria Hangar 8289 che ha ospitato la mostra fotografica di Sven Marquardt del Berghain, a lato dello spazio d’arte ha inaugurato un club privato dove si accede solo con tessera e io il mio negozio di 400 metri quadrati.

Ah, molto più grande di questo sui Navigli!
In centro è impossibile avere dei negozi dove riesci a offrire un buon ambiente di vendita, questo spazio era un ex cantiere navale enorme che ora è stato tutto sistemato.
Ibiza è cambiata negli anni e la clientela di un certo livello è tornata sempre di più: c’è gente con barche pazzesche, ville incredibili, alcuni hanno lasciato la Sardegna altri la Costa Azzurra, la Spagna lascia vivere un po’ tutti e c’è sempre un ottimo equilibrio.

Una parte interna dell'enorme negozio Antonioli a Ibiza
Una parte interna dell’enorme negozio Antonioli a Ibiza
A proposito di negozi sbaglio o anche Marco Sala (uno degli altri soci del Volt, ndr) ne aveva uno?
Grazie al suo negozio a Seregno ci siamo conosciuti e poi anche lui era uno che vedevo spesso alle serate del Fluid e del The Base. Ho scoperto col tempo che ha anche un carattere che mi piace, è una persona intelligente e non prepotente, due doni rari, e con lui mi trovo bene. La parte musicale del Volt è il grosso del suo lavoro: fa ricerca, propone, si occupa del booking dei dj che definiamo insieme.

Quand’è che è scattato “l’amore”?
È nato tutto al TOM. perché Marco mi aveva accennato che c’erano alcuni soci del Divina che volevano vendere il locale. Alla fine, dopo un anno di trattativa, siamo riusciti ad arrivare alla maggioranza. Sono convinto che anche gli altri soci siano contenti perché per loro è una contaminazione, dato che sono da anni in quel locale l’arrivo di persone nuove in società li sta stimolando a vedere altre cose.

Il club tiene 500 persone se uno entra è già “accettato”, non c’è bisogno di fare il privé del privé, ma che cazzo eh!?

Il divina era un locale sicuramente di grosso successo che però viveva troppo sulla sua storia.

Quanto Antonioli c’è al Volt?
Il progetto è sempre di Storage Associati, studio di architettura che mi segue da parecchio tempo. Assomiglia un po’ a Ibiza e un po’ al mio mondo. Non è molto allegro, è soprattutto scuro, ma è un club quindi ho pensato “dai che se ci va di culo almeno questa l’azzecchiamo!”. Ci sarà molta cura sul light design pensato dal tedesco Michael Titze. Anche qui abbiamo cercato delle connessioni internazionali perché se vai da chiunque si occupa delle luci da discoteca in Italia ti consiglia i soliti prodotti, quelli che hanno tutti i locali, io invece volevo una cosa diversa.
L’ingresso, ad esempio, sarà questa scala che porta al club con la parete di fronte piena di neon, tutti bianchi e posizionati in maniera strategica.

A me piace molto anche quello che hanno fatto al Wall e al Dude perché si vede che hanno spirito internazionale, contemporaneo e li apprezzo perché hanno questo tipo di visione.

E oltre al Volt, al Dude, al Wall e al TOM. dov’è che ti possiamo trovare a Milano? Dove vai a fare colazione? Quali sono i tuoi ristoranti preferiti, e quali sono i piatti? E i bar?
Mangerei sempre! Colazione la faccio rigorosamente a casa con i miei bambini pelosi. Non mangio carne ma adoro il pesce. La Trattoria del Pescatore di via Vannucci e il Gallura di via Colonna sono due posti che amo dove mi sento come a casa, ci vado da tantissimo tempo. Giuliano del Pescatore mi sopporta e mi conosce come cliente da forse 20 anni. Non amo molto fare aperitivo più serata, poi avendo anche i cani e i gatti, l’aperitivo preferisco farlo a casa per andare un po’ a coccolarli. Fare apertivo più cena più serata tutto insieme non riesco sarebbe troppo! Poi metti che ci scappa l’after no, no non riesco!