Le radici ben piantate ad Ancona, con la giusta distanza dai “giri che contano”. Un occhio e un orecchio ai fenomeni pop – spesso prima che “esplodano” – e uno alla musica indipendente internazionale. Concerti in tutta Italia da undici anni e due festival pensati e cresciuti con caratteristiche diverse e per certi aspetti complementari. A inizio settembre arriva al Circolo Magnolia la quarta edizione di Unaltrofestival, pretesto per raccontare la storia del fondatore Eric Bagnarelli e della sua agenzia di booking Comcerto. Come nelle migliori tradizioni, probabilmente non avrete mai visto in faccia Eric ma sarete stati a un concerto che ha organizzato: forse quando, in tempi non sospetti, portò per la prima volta i Tame Impala in Italia (a Torino, cinque anni fa), più plausibilmente per un live degli ormai notissimi Of Monsters and Men o dei Mumford and Sons (anche loro scovati prima che diventassero così celebri), magari per un’edizione dello Spilla Festival di Ancona o per un concerto di uno dei nostri gruppi indie preferiti (Panda Bear, Jacco Gardner, Suuns e Hookworms, giusto per citarne qualcuno). Dai primi passi mossi al Barfly del capoluogo marchigiano all’imminente e ambiziosa edizione di Unaltrofestival, undici anni di una delle agenzie di booking più importanti in Italia attraverso le parole da insider/outsider del suo fondatore.
ZERO: Ciao Eric, cominciamo con le presentazioni: dove e quando sei nato?
ERIC BAGNARELLI: Ad Ancona 36 anni fa, il 9 aprile del 1980.
Ti ricordi il primo album che hai comprato? E l’ultimo?
Il primo, una cassetta gialla e arancione: In questo mondo di ladri di Antonello Venditti, me la comprarono i miei ma l’avevo chiesta io. L’ultimo Hardly Criminal, stupendo album solista di Crash, uno degli Edward Sharpe and The Magnetic Zeros.
Sei originario di Ancona e ancora vivi lì: quanto, il fatto di provenire da una città che non ha lo stesso appeal e dinamicità culturale di realtà come Milano o Roma, ha segnato la tua formazione e il tuo percorso professionale? Come mai hai scelto di continuare a viverci?
Vivere ad Ancona comporta vantaggi e svantaggi. A parte il festival Spilla, praticamente non abbiamo altri concerti in città e questo aiuta a dividere vita professionale e privata, ad avere un certo equilibrio e un punto di vista razionale ed esterno rispetto alle scene e alle città in cui produciamo concerti. Di contro, logisticamente non è il massimo, si fanno decine di migliaia di chilometri l’anno in più. Per quanto ben connesso, non ho comunque una frequentazione quotidiana con certe realtà, sistemi e attori importanti. La differenza la fa Milano… Media, case discografiche, un certo tipo di location e agenzie, per la grande maggioranza sono a Milano. Nei primi anni, farsi spazio e conoscere persone è stato a dir poco difficile, ora è decisamente meglio. Cosa mi spinge a rimanere ad Ancona? Famiglia, affetti e qualità della vita.
Ci sono stati luoghi, realtà o persone, ad Ancona ma in Italia in generale, che sono stati particolarmente formativi per quello che fai oggi?
Il Barfly ad Ancona, un music club tra i migliori in Italia nei primi anni Duemila, è stato fondamentale per me per poter cominciare a lavorare veramente nella musica. All’inizio ho ricoperto diversi ruoli: runner, assistente di produzione, direttore di produzione, consulente artistico in eventi e situazioni di vario livello; è stato importante non limitarsi allo svolgimento dei compiti ma cercare di guardare ciò che accadeva intorno, capire meglio certi aspetti. Poi ci sono stati altri incontri e colleghi dai quali ho imparato semplicemente parlando e confrontandomi. È successo tantissime volte di passare ore e ore post concerto a Roma a parlare con Pietro Fuccio di DNA Concerti, mi sento spessissimo con Michele Bonelli di New Life, ho incontrato anche di recente Giorgio Riccitelli di Radar a Ypsigrock e ci siamo confrontati… Sento sporadicamente anche altri agenti italiani. Imparo ancora tutti i giorni, ma i primi cinque anni sono stati una scuola assoluta.
Quale è stato il primo concerto a cui sei stato? E l’ultimo?
Il primo credo fosse Pierangelo Bertoli da piccolo con i miei genitori, l’ultimo ieri sera: The Vryll Society, Mudhoney e The Vaccines all’Ypsigrock. Vedo tanti concerti, ma purtroppo solo pochi in cui non sono coinvolto professionalmente, ed è un peccato: assistere a un live senza impegni e dirette responsabilità è tutta un’altra cosa, molto più godibile. Detto ciò mi ritengo molto fortunato, vivo di musica dal vivo e per me rimane un privilegio.
Come hai iniziato a lavorare come promoter?
Ho iniziato in piccoli locali ad Ancona, poi al Barfly e in altre strutture con ruoli più inerenti alla produzione; terminata l’università, per alcuni mesi ho lavorato al Forum a Londra, al rientro nel 2005 ho aperto la Comcerto: tour dopo tour sono passati 11 anni.
Quando e come è nata Comcerto? Ti ricordi i primi concerti organizzati e qualche aneddoto in particolare?
Abbiamo inaugurato con un concerto degli Yuppie Flu, il primo live di una band internazionale del roster fu al Plastic di Milano con The Others. Il primo vero tour italiano assolutamente indimenticabile fu quello dei Dirty Pretty Things, era il debutto assoluto per questa formazione e ne sapevano meno di noi, erano “estremi”: non dormivano mai, erano sempre a mille, senza pause… Il tour finì con l’equipaggio dell’aereo che doveva riportarli a Londra che chiamò la polizia a bordo perché i ragazzi erano “su di giri”. Furono accompagnati fuori e partirono con un altro volo 12 ore dopo.
Quando hai iniziato con Comcerto, quali sono state le difficoltà maggiori e quale lo scenario delle agenzie di booking in cui vi siete inseriti?
Quando ho iniziato la difficoltà maggiore è stata guadagnarsi la fiducia di agenti e manager internazionali prima e dei promoter locali dopo. In quel momento, metà dei Duemila, a mio parere in Italia c’era un panorama molto attivo per quanto concerne le agenzie di settore – e specialmente a Roma: penso a Grinding Halt, New Life che all’epoca si chiamava EF Live, Petrolio attuale Radar Concerti, DNA, oltre Indipendente (oggi Vivo Concerti, NdR), Barley e altre in diverse città italiane. Quindi in realtà la questione principale era ricavarsi uno spazio tra queste, la concorrenza era forte, le scelte artistiche erano fondamentali ma non dipendeva solo da quello. Diciamo che non è stato un inizio rilassante.
C’è però anche un altro lato della medaglia, le soddisfazioni. Sei stato il primo, ad esempio, a puntare sui Tame Impala in tempi ancora non sospetti…
Per fortuna le soddisfazioni sono state tante, e i Tame Impala sono tra quelle. Non era scontato diventassero così importanti quando diversi anni fa sono venuti per la prima volta in Italia (allo Spaziale Festival di Torino, nel 2011, NdR). Lo scorso luglio hanno suonato a Milano davanti a quasi 6000 persone. Ma anche i Mumford and Sons in Italia hanno debuttato al Covo a Bologna davanti a 300 persone, abbiamo fatto un determinato cammino insieme e nell’ultimo tour hanno esaurito l’Arena di Verona in 9 ore: mi hanno anche ringraziato dal palco e hanno sempre riconosciuto un lavoro particolare e dettagliato, scelte non sempre facili e scontate. Poi c’è stata l’unica data in Italia dei Pulp nella loro carriera, ma anche tantissimi episodi legati a piccoli concerti, a certe emozioni: questo non è un lavoro fatto solo di grandi numeri, per fortuna. In generale la più grande soddisfazione è data dalla crescita anno per anno e dalla posizione nel mercato di Comcerto, che al momento è fortemente cambiata.
C’è stato un momento/passaggio che ritieni di svolta nella vita di Comcerto?
Aver organizzato Badly Drawn Boy ad Ancona per lo Spilla, 9 anni fa: è stato un concerto chiave che ha significato tanto, per me, a livello personale. Ma anche una svolta a livello professionale, perché quel giorno ho conosciuto un manager che è rimasto colpito da quel concerto, mi ha permesso di lavorare su altri artisti (The Verve, Richard Ashcroft, La Roux…) e piano piano cominciare un cammino diverso su un altro livello. Non ultimo, Badly Drawn Boy era già uno dei miei artisti preferiti e forse è l’artista più sensibile e profondo che abbia conosciuto, con tutte le sue particolarità.
Lo hai menzionato e, parlando di Comcerto, è impossibile non approfondirlo in quanto tassello importante nel percorso dell’agenzia: da anni, ad Ancona, organizzi lo Spilla. Quando è nato, che storia ha e che ruolo pensi abbia sul territorio? È stato un po’ un precursore, un terreno di prova, per Unaltrofestival?
Spilla è il nostro primo festival, è molto diverso da Unaltrofestival, è più una rassegna di concerti unici in location particolari, siti storici, spesso sul mare o comunque sul porto della città. Quella da poco conclusa è stata la decima edizione, la prima è stata con il concerto di Badly Drawn Boy di cui parlavo prima. Dopo tutti questi anni credo sia diventato solido, è riconoscibile e di fatto porta turismo e tanta gente da fuori città – dati che arrivano direttamente dai dettagli delle vendite dei biglietti. In città è apprezzato, c’è tanta partecipazione ma non è un evento di massa.
Dal tuo punto di vista da “esterno”, come professionista che frequenta Milano e Roma ma ha le radici altrove, che tipo di differenze riscontri fra le due città per la musica dal vivo?
Per una serie di motivi, come accennavo prima, Milano è la prima città in Italia per la musica dal vivo, anche nel mercato degli internazionali: per motivi logistici e di posizione geografica da un lato, per quelli mediatici da un altro, è la città che ci viene più richiesta dai management. E poi il pubblico risponde bene, nonostante ci sia un’offerta senza pari; ci sono molti servizi e diverse location, alcune ottime, contenitori per musica di qualità, altre più discutibili; credo che l’Alcatraz sia una delle migliori location a livello europeo. Magari ci sono aspetti che il pubblico può notare meno, ma che sono però fondamentali per la riuscita del live – l’Alcatraz, ad esempio, ha un backstage con 4 camerini, un’area catering, i camion entrano e scaricano diretti su palco, è funzionale e tenuto bene, idem il Fabrique, che è più recente. Roma purtroppo non ha gli stessi numeri, ma ha belle realtà. Ci sono più location con contenuti e un’identità artistica, spesso vengono ben sfruttate le peculiarità, penso ad esempio al Monk – col suo giardino più unico che raro -, al Quirinetta – un teatro/club a 100 metri da Fontana di Trevi – e a Rock in Roma, con i suoi progetti speciali al Circo Massimo.
Arriviamo a Unaltrofestival: come è nata l’idea?
Unaltrofestival nasce dall’esigenza e dalla volontà di avere un nostro festival, autonomo e indipendente nelle scelte, che possa essere una vetrina per i nostri artisti. Ho pensato che un festival come lo immaginavo io non c’era, e Milano era la sede giusta, anche per diversificare molto con Spilla.
All’inizio, Unaltrofestival aveva questo taglio molto internazionale, stile Reading/Leeds con due giorni e line up interscambiabili su Bologna e Milano: un esperimento a dir poco coraggioso per l’Italia, come è andato?
Quello è stato un esperimento della seconda edizione, una cosa che avevo in mente da tanto e sì, Reading/Leeds era l’esempio più forte. Si è trattato di un progetto veramente coraggioso e sono tutt’ora convinto che possa esistere e funzionare, nel nostro caso il maltempo non ci aiutò molto e nemmeno i rapporti con Bologna Fiere, con i nostri partner del Covo di Bologna avevamo scelto come location un’area della fiera ma il dirigente dell’ente di quel periodo, a oggi, credo non abbia ancora capito il concetto.
Una delle cifre stilistiche di Unaltrofestival (e di Comcerto in generale) è la trasversalità: ci sono sempre grandi nomi pop, ma poi anche qualche chicca più piccola e indipendente, dai Mumford and Sons a Hookworms e Jacco Gardner. Quali sono i tratti caratteristici che nelle quattro edizioni avete affinato, su cui avete puntato?
Non credo molto alle etichette e cerco di scegliere la qualità. Abbiamo avuto artisti come Hozier, con un singolo famoso ovunque e un live di raro livello, ed esibizioni come quella di Panda Bear – tanto interessante quanto distante dal mainstream. Riuscire a seguire bene The Strumbellas o Jacco Gardner non è sempre facile, ma il mio approccio di base è identico e sembra funzionare. La trasversalità è importante ed è anche un cardine di Unaltrofestival che appunto vuole essere “Un altro” nel senso di diverso, alternativo, riconoscibile… Cito di nuovo i Tame Impala: sei anni fa erano una nicchia, lo scorso anno il singolo era suonato da molte emittenti radiofoniche nazionali “commerciali”. Unaltrofestival ha tante qualità, oltre a una lunga serie di servizi da non dare per scontati: la possibilità di essere nel verde ma a 10 minuti dal centro, parcheggi, hotel, trasporti… Ha due palchi alternati che permettono una maratona musicale con pause di soli 5 minuti, spesso ha avuto nelle prime slot gli “headliner di domani”, come Daughter , ma anche un contorno accogliente come può essere quello dello street food o del mercatino.
Quali credi che siano le maggiori difficoltà nell’organizzare un festival in Italia? Il fatto di spostare, ad esempio, da luglio a settembre l’appuntamento rientra fra le necessità di far funzionare meglio la proposta?
A mio parere, in Italia nei festival l’headliner è ancora fondamentale, non è facile far vivere il resto con interesse. Spesso non c’è la giusta attenzione nei nuovi artisti e non c’è troppa disponibilità a considerare il festival un’esperienza completa con molto altro oltre la musica del proprio artista preferito. E con questo “molto altro” intendo quindi: il viaggio, gli amici, mangiare e bere, conoscere persone, parlare e confrontarsi, divertirsi e cercare di godere di tutto quello che viene offerto. Tuttavia ci sono diverse realtà che stanno cambiando la scena, io penso che tra pochi anni alcuni festival italiani saranno al top e non avranno niente da invidiare a nessuno. Riguardo noi: lo spostamento è dovuto al fatto che a luglio c’è anche troppo e nei primi giorni di settembre crediamo ci sia una finestra su cui lavorare e molti artisti disponibili a causa di una serie di festival internazionali sviluppati in quel periodo.
Posto che durante tutto l’anno è uno spazio di riferimento assoluto per la musica dal vivo a Milano, la scelta del Magnolia come “venue” a questo punto definitiva per Unaltrofestival da cosa è dettata?
Dettata dagli ottimi rapporti con lo staff, dal fatto che il Magnolia per primo ha capito e sposato il progetto e non ultimo per tutti i vantaggi citati prima relativi ai servizi, che sono una qualità aggiunta.
Ci presenti questa edizione del festival, magari ponendo l’accento sui gruppi meno noti?
Beh, in primo luogo i tre gruppi italiani “nuovi” scelti per aprire le serate – Birthh, Landlord e Sunday Morning – che ho avuto il piacere di ascoltare molto prima di invitare e ognuno dei quali ha elementi riconoscibili: il cantautorato ricercato della prima, l’elettronica dei secondi e il folk rock misto al power pop dei terzi. Fil Bo Riva è un artista che credo avrà un futuro molto lungo, per ora c’è solo un EP ma sono certo piacerà molto. Flo Morrissey va vista dal vivo per rimanere ammaliati. Ministri sono la band che forse non ci si aspettava a UAF, giocano in casa e sono sicuro che il loro set sarà avvincente. So che i ragazzi tengono molto a questa data. Daughter, è la loro estate, come accennato prima hanno aperto la prima edizione di UAF e questa estate sono stati tra gli headliner di Ypsigrock, Sexto ‘Nplugged, Villa Ada e appunto Unaltrofestival – per non menzionare tutti i festival internazionali dove sono tra i “big”.
Molti conoscono The Strumbellas per Spirits, ma hanno diversi album già pubblicati e il nuovo è decisamente bello e poco scontato. Spesso, in questi casi, con un singolo così popolare il pubblico pensa si tratti di un progetto architettato, questo è il caso opposto, saranno la sorpresa. Quello di Edward Sharpe and The Magnetic Zeros è il concerto che auguro a tutti di vivere almeno una volta, vorrei descriverlo ma rischierei di essere troppo lungo, sarà uno dei momenti migliori. Editors non hanno veramente bisogno di presentazioni, mancano a Milano da tanto e sono perfetti per concludere i live sul main stage. Jimmy Edgar rappresenta una delle novità di questa edizione, ovvero l’aftershow: sarà guest star della festa che andrà avanti fino alle 3.
Ci sono degli aspetti, sia artistici sia logistici ed extra musicali, che avete puntato a migliorare nel corso delle edizioni?
Abbiamo cercato di arricchire i contenuti extra concerti, che erano totalmente assenti nella prima fase, come lo street food e la novità dell’aftershow. A livello artistico abbiamo continuato a ricercare tra le novità e abbinarle a nomi più solidi, a volte ci vogliono mesi per confermare la line up definitiva e il programma cambia cento volte: quello di quest’anno secondo me è il migliore dei quattro.
Se non subentrassero altre esigenze, chi suonerebbe in un’ipotetica edizione “dei sogni” di Unaltrofestival?
La line up dei sogni è la miglior line up nella data del concerto, nel senso che è tutto cosi veloce che spesso significati e scelte mutano valore anche nell’arco di sei mesi. L’edizione dei sogni cambia in continuazione, non c’è la line up perfetta. È una ricerca continua.