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Intervista a Formafantasma

di Lucia Tozzi

Peep-Hole è senza tema di sbagliare uno degli spazi milanesi più ambiti dagli artisti: viene contato tra gli “indipendenti” per la sua struttura e perché fa ricerca, ma tra i suoi fondatori c’è Vincenzo de Bellis, direttore di MiArt e pedina fondamentale nello scacchiere milanese. Fare una mostra lì è una consacrazione artistica, e Anno Tropico sancisce, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’entrata definitiva nel mondo dell’arte di Andrea Trimarchi e Simone Farresin, aka Formafantasma, nati all’inizio dell’infame decennio (gli Ottanta) all’estremo sud e all’estremo nord dell’Italia e oggi felicemente lanciati nell’iperuranio del design internazionale dalla solida, rassicurante base Dutch (vivono e insegnano tra Amsterdam ed Eindhoven). Almeno agli occhi ingenui di noi italiani, che ci siamo attaccati come zecche al divino duo come gloria e speranza del rilancio del design nazionale nel mondo. Etichetta che peraltro, giustamente, il suddetto duo rifiuta da sempre.
Scorrendo l’elegantissimo, sobrio ma infinito elenco delle pubblicazioni sul loro sito non si sa se restare più impressionati dalla loro quantità o qualità, eppure le informazioni su di loro e sul loro lavoro sono sempre, inesorabilmente le stesse, segno di un esercizio ferreo del controllo della comunicazione da parte dei due designer. Anche in queste righe, nessuna deviazione dal paradigma analisi-materiali-ricerca-critica-tradizione ci è stata concessa. Il concettuale gli apre le porte dorate dell’arte e dei musei, ma non gli preclude quelle dell’industria e della moda. Nessuna increspatura all’orizzonte, azzurro come una piscina di Hockney. Olanda, Giappone e Sicilia sono una terra sola. La loro. Evviva.Zero: Viste dall’esterno, le coppie di artisti o designer incutono sempre un senso di timore e mistero. Come fate a lavorate insieme?
Formafantasma: È l’unico modo che conosciamo, pertanto è difficile spiegare come facciamo. La cosa che caratterizza di più il nostro modo di lavorare è che è essenzialmente verbale. Nasce dalla discussione tra noi.

Com’è una vostra giornata tipo?
Viaggiamo molto spesso, però quando siamo ad Amsterdam amiamo la routine:
Sveglia alle 7.00, colazione, passeggiata di 40 minuti, lavoro, pranzo insieme con le persone in studio (cuciniamo noi), lavoro fino alle 18.30-19.00, se riusciamo un po’ di sport, cena, serie tv o documentario o lettura. 00.00-00.30 letto

Quante persone collaborano con voi? Che fanno? Si occupano solo della dimensione pratica o partecipano ai processi analitici e di ricerca?
Dipende. Passiamo da 3 a 5. Ma non in modo stabile. In genere si occupano più della dimensione pratica del lavoro, presentazioni, modelli etc. Spesso li coinvolgiamo nella parte di ricerca ma non molto in quella analitica-concettuale.Sembra che il tema della tradizione, che aveva molto connotato la ricezione del vostro lavoro qualche anno fa, stia cedendo il passo alla sfida sulla materia, sempre più inafferrabile. Come è avvenuto questo slittamento?
Non siamo sicuri sia veramente cambiato. Il nostro rapporto con la tradizione è sempre stato critico e ci è sempre interessato come si manifesti in materia. Il nostro primo lavoro si riferiva alle teste di moro siciliane ma completamente decostruite nella forma e nel significato. Del design ci interessa come le idee diventano oggettive, materializzate. Più in generale pensare alla materia ti costringe a chiederti domande semplici ma, in questo momento radicali. Da dove viene questo materiale, chi lo produce, che impatto ha nell’ambiente, insomma il contesto socio-politico e ecologico delle cose.Voi parlate spesso di innamoramento per un luogo, una storia, un soggetto, più che di ossessione analitica. Offrite una rappresentazione del vostro lavoro come una forma di concettuale “caldo”, distante dall’idea un po’ asettica che la gente comunemente associa all’atteggiamento speculativo. Mi sbaglio?
Forse si. A dire il vero i nostri lavori partono sempre da un’osservazione oggettiva o da un’attitudine analitica. Quando diventano oggetti però prendono la loro strada e diventano più complessi.L’architettura appare sempre più al centro delle vostre passioni. Quale architettura vi piace di più? Andrea ha studiato un anno architettura. Io (Simone) di architettura non so nulla. Ci piacciono il Pantheon, il carcere femminile della Giudecca che ingloba un orto per permettere alle carcerate di coltivare e vendere e il quartiere della Garbatella a Roma. È un esempio impeccabile di architettura e urbanistica sociale. Poi guardiamo moltissimo a tutta la ricerca di OMA/AMO e seguiamo moltissimo Alejandro Aravena

Che farete al prossimo Salone?
Saremo in zona Tortona per Lexus, insieme allo chef Yoji Tokuyoshi, con l’installazione LEXUS: an encounter with Anticipation.Com’è stato lavorare per la moda, provenendo dal mondo apparentemente più sereno del design?
Beh più sereno non ne siamo sicuri. Sportmax è un marchio del gruppo Max Mara che viene dalla produzione. I vestiti loro li vendono veramente. È stato facile capirci e un esercizio interessante per noi. Alla fine le sfilate di moda durano 10 minuti, pertanto lo scopo è immaginare uno spazio effimero.

Cosa ne pensate della formafantasmizzazione di un sacco di giovani epigoni che vi imita e emula… siete diventati una maniera?
Noi stiamo ad Amsterdam e a parte il Salone del mobile di Milano, non vediamo poi tanto. A dire il vero non ce ne siamo accorti. O meglio se le persone lavorano in un modo probabilmente non è tanto per noi ma per i cambiamenti nel design in generale e in modo più esteso nel mondo in cui viviamo.A un certo punto lavorerete per aziende storiche anche voi… qualcuno ve lo avrà anche gia proposto o no? Perche fino a ora non è successo? Succederà?
Si ci è stato chiesto da molte aziende, e probabilmente succederà presto.
Queste collaborazioni non si sono formalizzate fino ad adesso probabilmente perché non eravamo ancora pronti e perché le persone venivano da noi senza capire pienamente quello che facciamo. Tutti si aspettano di tradurre il nostro approccio di ricerca alla produzione ma ovviamente le esigenze se disegnamo per l’industria sono diverse che se lo facciamo per una galleria di design o per i musei. Trovare il giusto interlocutore è essenziale.
Adesso per esempio stiamo molto lavorando sulla luce, vedremo:)

Cosa leggete prevalentemente? Saggi o romanzi?
Saggi. Ora stiamo leggendo Black transparency di Metahaven e Questo cambia tutto di Naomi Klein.

Quando venite a Milano, dove andate a bere? e a mangiare?
Posti molto diversi..sicuramente ci mangiamo una pizza. L’ultima volta ci siamo mangiati un bollito buonissimo ma non ci ricordiamo dove. Il nostro posto preferito è L’antica pesa.

Sempre a Milano, cosa andate a vedere? quali musei, piazze, istituzioni?
L’ultima volta abbiamo visto l’albergo diurno che ora sarà gestito dal FAI. Bellissimo. Poi le cose ovvie, Fondazione Prada, HangarBicocca, Triennale, Peep-hole… A dire il vero quando siamo a Milano non abbiamo mai molto tempo!!

Al di là dei giorni del Salone, qui vi capita di frequentare più gente legata al mondo del design o di altri giri? a chi siete legati? Potete citare le persone di cui avete più stima?
Non è che siamo a Milano o in Italia così spesso!! Magari!! In ogni caso citiamo ovviamente le persone con cui lavoriamo Roberto Giustini e Stefano Stagetti, Domitilla Dardi, Angela Rui, tutto il team Peep-Hole, Marco Petroni, Federica Sala e Michela Pellizzari, Alessandro Rabottini, Maria Cristina Didero e tanti altri. In ogni caso siamo abbastanza solitari. Durante il Salone infatti ci facciamo sempre un paio di party improbabili (per noi) per rifarci ma saremo andati 2 volte in vita nostra al Bar Basso.

La vostra scelta di lavorare in Olanda sembra di quelle irreversibili. O invece qualcosa potrebbe indurvi a trasferirvi a Milano?
Assolutamente reversibile! Magari 6 mesi in Italia, 6 mesi in Olanda.. In realtà se dovessimo tornare sarebbe a Sud. L’Italia non è solo Milano

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