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Consigli per gli ascolti #7

Scoperte, novità, dischi oscuri e colonne sonore del 'lockdown' scelti e commentati per noi da musicisti, direttori artistici, negozi di dischi, etichette e radio indipendenti

Geschrieben von Chiara Colli il 12 Mai 2020
Aggiornato il 13 Mai 2020

Henry Rollins in quarantena nel suo basement

Puntata #1

 

ALESSANDRA NOVAGA


Chitarrista fuori da ogni schema, ha una formazione classica ma suona spesso anche elettrica, è stata la prima e unica in Italia a eseguire l’integrale di „The Book of Heads“ di John Zorn e i suoi lavori, soprattutto i più recenti, hanno un rapporto fortissimo con il cinema (l’omaggio a Rainer Werner Fassbinder) e il teatro. Alessandra Novaga nasce a Latina, vive a Milano, suona dal Caffé OTO a Standards, collabora spesso con altri musicisti e ha una vita parallela da giardiniere. Il suo ultimo album si intitola, non a caso, „I Should Have Been A Gardener“ – ispirato al regista inglese Derek Jarman.


A.V. – „La Musique Dans Le Film D’Alain Resnais“ (Doxy Cinematic, 2015)
Quella sera, prima di suonare „Fassbinder Wunderkammer“ a Brescia, mentre cercavo di concentrarmi in un camerino improvvisato, la mia attenzione è stata attirata dalla musica che stava andando in sala, bellissima e straniante! Ho scoperto che si trattava delle musiche per i film di Alain Resnais, il giorno dopo ho subito comprato il disco. Un vero gioiello che unisce compositori assai diversi tra loro, Delerue e Fusco per „Hiroshima, Mon Amour“, Seryig per „L’année Dernière à Marienbad“ ma, soprattutto, grande sorpresa per me, per le musiche di „Muriel“ composte da Hans Werner Henze.

BARNABA PONCHIELLI


Classe 1973, milanese doc e figura poliedrica della vita culturale di Milano, Barnaba Ponchielli è “l’orecchio allenato” che sceglie i musicisti da far suonare il lunedì da Gattò | Robe & Cucina, ma pure quello che pubblica e produce dischi con l’etichetta indipendente Sangue Disken (la cui storia dura da oltre un decennio). Giornalista, dj, produttore, discografico, direttore artistico, ama tenere in forma il proprio spirito critico.


100 Gecs – „1000 Gecs“ (Dog Show Records, 2019)
Il più incredibile, allucinante ed eccitante album pop di sempre è uscito l’anno scorso e dura 23 minuti: Dylan Brady e Laura Les arrivano da St. Louis e ogni volta che li ascolto non riesco a non esaltarmi. “1000 gecs” è una dislocazione spazio temporale stordente, un favoloso buco nero capace di inglobare e metabolizzare l’assoluto contemporaneo: accelerazionismo pop turbocapitalista, parossistica jouissance psicotropa lacaniana, surrealismo neoliberista transgender, anfetamina emozionale da perenne sorriso digrignante: il presente, il passato e il futuro. Ora.

CHRIS ANGIOLINI


D’inverno con i concerti e le serate al Bronson, d’estate all’Hana Bi – lo stabilimento balneare a Marina di Ravenna che la sera si trasforma in palco per concerti (gratuiti) -, in autunno con la ricerca avant di Transmissions, a fine primavera con il-festival-in-spiaggia-che-ci-invidiano-pure-in-California, ovviamente il Beaches Brew. E poi l’etichetta discografica, la collaborazione con Le Guess Who? nella direzione artistica di BB e un team colladautissimo con cui Chris Angiolini ha riportato Ravenna al centro dell’Impero.


SQÜRL – „Some Music for Robby Müller“ (Sacred Bones, 2020)
„Some Music for Robby Muller“ è la perfetta colonna sonora per la pandemia. Suite minimali di chitarre riverberate e atmosfere sospese. Una volta Jozef van Wissem, parlando di Jim Jarmusch, mi disse scherzosamente che JJ sapeva suonare solamente due accordi. Due accordi che oggi ha imparato a dilatare alla perfezione, accompagnato dal suo fedelissimo compare Carter Logan a occuparsi di tutto il resto. Ascoltandolo è possibile immaginare la luce che dalle finestre si fa strada attraverso le tende. Robby Muller era un „poeta della luce“, come lo definisce Jarmusch. A lui si devono capolavori come „Paris, Texas“ e „Down By Law“, e mai un omaggio poteva risultare più appropriato e delicato. Un album che ha tutto il sapore di una polaroid sfuocata invecchiata dal tempo.

EMMANUEL BONETTI (MANU)


Sigaretta in bocca, sorriso cordiale, aria apparentemente stralunata, Manu è una delle figure di riferimento che ha più ostinatamente lavorato, con una visione aperta, lucida e coerente, affinché il progetto in divenire del Fanfulla 5/a e della „scena di Roma Est“ continuassero a essere «una casa per pubblico e gruppi». Tante le formazioni, presenti e passate, in cui suona dietro una tastiera o un basso che meritano di essere ascoltate e intercettate dal vivo (Trans Upper Egypt e Holiday Inn, ovviamente), una manciata di dischi pubblicati con una piccola etichetta indipendente (My Own Private Records) e molti altri girati durante i suoi dj set incredibili.


The Anals – „Total Anal“ (Permanent Records, 2009)
Questo disco è stato registrato in Francia nel 2006 al “Centre d’Hygiène de l’Est” e poi pubblicato dalla Permanent Records a Chicago nel 2009. Con tutta probabilità, in quegli anni gli Anals sono stati la prima band punk/noise francese a disturbare e interessare l’underground d’Oltreoceano. Oggi non esiste più, le loro pubblicazioni consistono in un 7”, “Commando of Love”, e questo Lp “Total Anal”. Uno dei due componenti è morto di cancro in pochi mesi, a 27 anni. Erano tutti amici, tutti dell’Est della Francia tra Metz, Strasburgo e Nancy. Erano un gruppo, un‘alleanza. Avevo sentito parlare di questi mille progetti dell’Est, ma nei primi Duemila vivevo a Parigi e non erano visti molto bene questi rumorosi/estremisti, tra synth sporchi, chitarre malate e storie crude di cronaca urlate in faccia, spesso in tedesco. Erano considerati come i nazi del punk, Parigi si voleva più pulita, più spensierata, non accettava le contraddizioni. Questo disco l’ho trovato anni dopo, da Soul Food Records a Roma, era già esaurito ma era rimasto in fondo a uno scaffale di legno. È cattivo, molto. Crudo e straziante, necessariamente urgente, incompiuto nella sua essenza. È profondamente e geograficamente legato alle ferite del secolo scorso, tappate, tappate, tappate di nuovo come se niente fosse, come se bastasse girare le spalle per non generare mostri. Ma i mostri stanno là a poca distanza, in casa, nei corpi o nei pensieri, anche nei ricordi sepolti. Grugniscono ed è meglio farli uscire. La Grande Triple Alliance Internationale de L’Est sono: The Anals / The Normals / Scorpion Violente / John Merricks / Delacave / SIDA / Klaus Legal / Ventre de Biche / Zad Kokar / 1400 Points de suture / Maria Violenza / Capputtini’i Lignu / Badaboum / Heimat / The Feeling Of Love / Noir Boy George / Le Chomage / A.H Kraken / The Dreams / Plasto Béton / Crack und Ultra Eczema / Julie Normal…

ESMERALDA VASCELLARI


Il DIY applicato al noise pop. A Roma. Nel 2020. Una storia che sembra arrivare dalla Glasgow di metà Ottanta e che invece nel 2014 Esmeralda Vascellari trasforma in realtà con Lady Sometimes Records, etichetta ultra indipendente che incrocia le coordinate dell’indimenticata Postcard Records con i suoni shoegaze oriented di Sonic Cathedral. Pop indipendente ma anche una passione per fanzine, musica live e do it yourself che in seguito la porta a fondare anche Adorable Fest, appuntamento con concerti a cadenza mensile a suon di post punk, indie pop e riverberi (perlopiù) tra le mura del Klang.


The Feminine Complex – „Livin’ Love“ (Athena Records, 1969)
Quale momento migliore di questo per un elogio della cameretta? E chissà cosa pensavano dentro quelle quattro mura Jean e Lana quando, armate di mezza batteria e un ukulele – perché no, la chitarra a una femmina no, obiettavano i genitori – decidono di mettere su un gruppo. Acchiappano un altro paio di compagne di basket, la vicina di casa che suona il piano (tutti ne hanno una) e cominciano a girare il Tennessee in vestiti matchy matchy. Nel ‘69 ci regalano il loro unico disco (autoprodotto, seppur etichettato Athena Rec) e registrato sì, con l’aiuto di alcuni session men – sebbene le versioni discordino – ma dal quale emerge un’innata freschezza. Spicca soprattutto la scrittura pop di una diciottenne Mindy Dalton: raffinata, decadente, dotata di un lirismo lacerante e quasi scioccante. Cinquant’anni dopo, ancora aspetto i dovuti riconoscimenti a un gioiello che andrebbe palesemente tra Dusty Springfield e Phil Spector e che nel mio cuore avrà per sempre un posto d’onore: quello di essere stato un vero esperimento DIY di „all girl bedroom fun band“ partito dal basso in un’epoca in cui mentire al collegio cattolico per salire su un furgone e imbracciare una chitarra era una cosa che no, una femmina proprio no!

MARCO BONINI


Da poco più di un anno, ogni mese è lui a disegnare il copioso e a tratti folle calendario concertistico del romano Klang. Una passione per elettronica sperimentale, improvvisazione e rumore che da molto più tempo porta avanti nell’underground romano con i suoi due progetti musicali: quello da solista e più orientato all’elettronica come Ubik e il trio fra elettroacustica e contaminazioni jazz Acre, che ha da poco licenziato il notevole album „Different Constellation“ per AUT Records.


Nazar – „Guerrilla“ (Hyperdub, 2020)
«E adesso che facciamo? Non ne usciremo mai» – «Non preoccuparti, le Tennent’s a stomaco vuoto sono psicotrope, non lo sai?» – «Mi sembra di essere in guerra, cazzo: ce l’hai un disco per la guerra, Agnese?» – «Sì Marco, ce l’ho il disco per la guerra, ma preferisco pensare alla Guerriglia». Se è vero che l’Inghilterra ha sempre il suo primato in materia elettronica è pur vero che da anni, soprattutto in casa Hyperdub (l’etichetta di Kode9), si predilige un suono post-coloniale che dalle frontiere dell’impero importa ritmi e suggestioni, rinfrescando l’aria nello stanzone dell’hardcore continuum. Nazar è belga di nascita, ma vive a Manchester e soprattutto è figlio di due ribelli della UNITA, gruppo di guerriglieri dell’Angola. Come in un film basato su una storia vera, „Guerrilla“ è un viaggio nell’Africa della violenza e della paura, piuttosto che in quella esotica da cartolina. Se M.I.A. ci aveva già parlato del kuduro (genere che affonda le radici nell’Angola degli anni ‘80), qui siamo di fronte allo spappolamento del concetto di tribale, un’accezione completamente diversa di „giungla elettronica“, dove tutto si trasforma in ritmo: dai caricatori alle mine antiuomo, dai canti di speranza e liberazione ai mosquitos ronzanti. Ballare, ma anche combattere.
(NdA: si ringrazia vivamente Agns Angst per la dritta)

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