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Inferno Store e il dovere etico di (r)esistere

Dal DIY alle questione 'di genere', attraverso le sottoculture, la politica attiva e la fittissima rete di collaborazioni in tutta Italia, i primi due anni di uno dei riferimenti intergenerazionali della controcultura nella Capitale.

Geschrieben von Chiara Colli il 28 Februar 2020

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Roma

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Roma

Attività

Negozio di dischi

«Abbandonare i protagonismi, andare oltre il sentito dire, sporcarsi le mani, rovesciare la logica del ‚tanto va così‘, mettere in discussione poteri e poterini». A gennaio 2018 c’è stato un passaggio di consegne importante in via Nomentana 113. Lo storico Hellnation, crocevia e riferimento assoluto a Roma e in Italia per le sottoculture punk, hardcore e skin, diventa Inferno Store. Al posto della sua mente (e braccio) Roberto Gagliardi – per gli amici Robertò, per via delle origini francesi – che ha cresciuto almeno un paio di generazioni di appassionati di musica „alternativa“ a Roma, arrivano Claudia Acciarino e Martina Ronca. Entrambe attive da anni nell’underground capitolino, come musiciste e non solo (la prima con vari progetti ancora attivi – Cassandra, xCARACOx, Godog, 32 dB– e tra i soci dell’ìndimenticato DalVerme, la seconda ex The Majors e Arabian Tower ), dall’esperienza Hellnation ereditano una certa attitudine – allo sporcarsi le mani e all’andare contro i poteri forti, che poi è il modo sempiterno di intendere il Do It Yourself. Un approccio controculturale e politico con radici profonde e con una progettualità accurata e sempre in movimento, che si esplica perfettamente nella lunga intervista che segue. Con ormai due anni di attività, un calendario di presentazioni e live instore sempre più fitto, un’etichetta indipendente con lo stesso nome e una rete di connessioni e collaborazioni attraverso cui studiare nuove rotte sotterranee, in due anni Inferno ha costruito una propria identità che va oltre le diversità di genere (musicale e non solo). Uno spazio libero per la musica, ma anche per i fumetti, i libri e le mostre, che ci raccontano in occasione della presentazione della fanzine Shv-Shp vol 1 a cura di BiZed Photozines, essenza della totale assenza di certezze che ruota intorno al fotografare una scena di un concerto punk, hardcore, metal o noise.
 

 

Da anni e in varie forme i vostri nomi si intrecciano all’underground romano: quale è stato il percorso che vi ha portate fino a Inferno Store, che tipo di esperienze avete avuto e che background sonoro e culturale avete?

MARTINA: Ho iniziato a frequentare i concerti punk in adolescenza, intorno ai sedici anni, che è anche quando ho formato la mia prima band. Frequentavo il centro giovanile del mio municipio, quello di Cinecittà, che aveva una sala prove ed era molto legato ai centri sociali attivi nel quartiere, il CSOA Spartaco e il Corto Circuito, che hanno ospitato i primi concerti dei miei gruppi di allora e degli altri che frequentavano il centro. Di musica ne ho sempre ascoltata tanta, se ne sentiva parecchia in casa, ma a scuola con i miei coetanei non c’era confronto, a nessuno interessavano le cose che ascoltavo – in realtà nulla di così estremo, molto britpop, Beatles, Clash… Frequentare persone della mia età fuori dal contesto scolastico è stato rilevante per la mia curiosità: dalla fissa per i Ramones a cose più veloci come l’hardcore californiano e i Bad Brains. Presa la patente, ho iniziato a muovermi di più per i concerti, portando in giro i miei amici che erano tutti un po’ più piccoli di me. Ho scoperto una “scena” frequentando spazi occupati come Gatto Selvaggio, Torre Maura, Pirateria, La Strada, Forte Prenestino, e locali come INIT e Mads, a San Lorenzo, che faceva un bel po’ di concerti punk rock. Man mano ho iniziato a conoscere più gente e a sentire che i posti e i concerti che frequentavo erano qualcosa che mi apparteneva e a cui appartenevo io. Non ricordo per quale concerto andai a sbattere contro il circolo DalVerme: lì ho conosciuto Claudia e un nuovo modo di fare e proporre cultura in ambito musicale e non solo. Mi è piaciuto, poi è successo che il DalVerme ha chiuso e qualche mese dopo Claudia mi ha proposto di fare questa cosa di Inferno insieme. Da tre anni lavoravo più o meno stabilmente in una serigrafia e iniziavo giusto a chiedermi se avrei potuto e voluto continuare a stare là, quindi ho detto di sì.
CLAUDIA: Per me tutto inizia tra la fine dei Novanta e gli inizi del Duemila, a Roma era il momento dell’hardcore/post hardcore dei Concrete, Los Vaticanos, Il Sangue, Growing Concern, Grievance, Comrades, Student Zombie, Notorius da un lato e successivamente della nascita della famigerata scena no wave di Roma Est dall’altro… Già frequentavo assiduamente collettivi studenteschi, il CSOA Spartaco e il Corto Circuito. E poi andavo ai concerti, che sucessivamente ho anche cominciato a organizzare, con una media di cinque giorni a settimana; ascoltavo dal punk al crust, dal metal al math rock, dall’alternative rock al post rock, dall’hardcore all’emoviolence, dall’elettronica e noise di ricerca all’IDM, dalla new wave alla no wave newyorchese, mi spostavo come una trottola tra realtà occupate anarchiche e non – Bencivenga, Torre Maura, Pirateria, Zk, Sans Papier, Acrobax, Gatto Selvaggio, Il comitato – compravo i dischi da Disfunzioni, Hellnation, Transmission. Iniziavo a suonare con le Betty Boom. Cominciavo a mischiare di fatto la musica con politica d’azione. Poi c’erano anche le associazioni culturali o i club dove passavano cose più strampalate e seminali – Sonica/Traffic, Init, Sinister Noise. Fuori da Roma c’erano realtà come Bar La Muerte di Bruno Dorella, la Wallace di Mirko Spino, Bologna e dintorni di Xm24, Atlantide, Ekidna, Laghetto, Donnabavosa, Marcella e Melo di The Fucking Clinica, la scena hardcore di Torino, il Tago Mago Fest di Massa, che sono stati tutti dei veri capisaldi. Fin da subito ho organizzato eventi, girato con la distro del collettivo musicale Polyester prima e con Ultrahertz dopo, dal quale sono approdata a tutto il mondo che ruotava intorno all’Hombrelobo di Damiano Menga, Valerio Fisik e Fabio Recchia, ci sono letteralmente cresciuta tra quelle mura. Dopo c’è stata tutta la sperimentazione pazza di Roma Est, il Fanfulla, del DalVerme – di cui ero socia – e le realtà avanguardistiche di Veneto, Napoli e Taranto; poi gli amici di Perugia e un sacco di altre cose.

 

 

Inferno Store esiste da un paio di anni e ha preso un’eredità importante, quella di Hellnation del mitico Roberto Gagliardi. Con lui avevamo parlato ormai qualche anno fa, cosa credete che Hellnation abbia rappresentato per voi e per la sottocultura punk hardcore romana?

M: Con il mio gruppo più longevo, The Majors, abbiamo suonato dentro Hellnation circa un anno prima che aprissimo Inferno. In verità frequentavo il negozio da relativamente pochi anni, conoscevo Robertò e mi capitava di scambiarci due chiacchiere quando ero lì, ma pensavo che nemmeno sapesse che suonavo in una band. Invece poi mi propose questa cosa, ci fece una memorabile recensione lampo del 7” che era appena uscito e organizzò un concerto – bellissimo, mi sento di aggiungere. In un contesto come quello romano, dove ci si conosce tutti e spesso ce la si suona e canta da soli, mi ha fatto riflettere su quanto sia importante sbattersi per chi pensi abbia qualcosa di interessante o almeno carino da comunicare, anche e soprattutto se non è amico tuo. Ne guadagnano tutti.
C: Da ragazzina andavo da Robertò a comprare i dischi di hardcore e a farci le spillette di Polyester. È stato un perno e un punto di riferimento per tanto tempo su Roma per tante realtà – ah, se quel soppalco potesse parlare! -, ma anche crocevia di passaggio in Italia, sia come luogo sia come centro di produzione viva e non solo per un certo tipo di sottocultura più vicina al movimento skinhead o strettamente hardcore punk. Da Hellnation trovavi piccole produzioni introvabili. Da Hellnation trovavi persone come te con cui confrontarti. Robertò ha organizzato concerti portando artisti internazionali a suonare in spazi di vario tipo e strutturato festival – come i primi Questa è Roma… Mica – inoltre ha prodotto parecchi gruppi che col tempo sono divenuti dei veri e propri punti di riferimento per determinate sottoculture in Italia: penso a Ultimi, Plakkaggio, Dalton.

Da un lato la sua era un’eredità importante, dall’altro sarebbe stato ancora più difficile da sopportare vedere dietro a quelle vetrine rosse qualcosa totalmente priva di storia e identità - che ne so, un negozio di manicure o una gelateria in franchaising. Cosa ha significato per voi prendere questo spazio e questa responsabilità, quali sono state le riflessioni, gli eventuali sacrifici e gli azzardi prima durante e adesso? Immagino che in qualche modo lui stesso vi abbia supportate e incoraggiate…

M: Roberto è stato con noi per tutta la folle settimana prima e durante l’inaugurazione, ma già nei due mesi precedenti eravamo spesso da Hellnation per i suoi consigli e le sue dritte, oltre che per sbrigare le varie pratiche di burocrazia. Abbiamo ancora i quaderni con i contatti dei fornitori che ci ha girato, con anche dei perentori „NO“ che indicano quelli con cui, secondo lui, era inutile perdere tempo! Il nome stesso Inferno è figlio di Hellnation, omaggio al nostro predecessore e in un certo senso dichiarazione di intenti. Come dici anche tu, eravamo le prime a non poter accettare la perdita di un negozio di dischi e di un pezzo di storia della città, perciò abbiamo deciso di rischiare, nonostante in parecchi ci abbiano tenuto, specialmente all’inizio ma ancora adesso, a comunicarci le loro perplessità – grazie, eh! Non abbiamo mai pensato di poterci sostituire a una realtà tanto importante ma, se proprio ci fosse una cosa che vorremmo dimostrare, sarebbe che ogni giorno e con ogni azione abbiamo la possibilità di coltivare qualcosa, i cui frutti potranno essere il punto di partenza per una nuova semina di qualcun altro.
C: Per me la cosa è andata più o meno così: avevamo da poco chiuso il DalVerme e un giorno, mentre spulciavo qualche disco da Hellenation, Robertò mi dice che sta chiudendo il negozio ma che probabilmente non riesce a darlo via a qualcuno. Credo che l’azzardo lì per lì sia stato dato dal turbine emotivo del non voler vedere un altro posto “nostro” chiudere e appunto vederlo sfitto o peggio diventare chissà cosa. Di perdere un altro riferimento per la scena underground di Roma e un altro punto di ritrovo e aggregazione. Facendo due conti al volo mi sono detta «Lo prendo!». Ho pensato subito a Martina come partner in crime, siamo amiche e siamo state colleghe in Kick Agency, è una ragazza che stimo molto e che trovavo adatta a questa avventura un po’ folle e visionaria. Quando gliel’ho proposto si è mostrata subito entusiasta, quindi abbiamo agito ed eccoci qua. È stata una cosa cotta e mangiata, fatta di pancia e d’istinto. Forse spinta dalla ferita del DalVerme ancora sanguinante e aperta, ho pensato che quel testimone non poteva non essere raccolto. Roberto ci ha seguito in tutte le fasi del passaggio di gestione, con consigli, passaggio di contatti, aiuto fisico! I sacrifici sono sempre gli stessi quando ti imbarchi in queste cose: di soldi ne girano pochi e viviamo in un’epoca ipercapitalisctica, dove il denaro purtroppo muove la gran parte del tutto, e se fai le cose con attenzione all’etica i rischi imprenditoriali sono tanti. Il lavoro che viene fatto è costante e di coltivazione di una certa cultura e pensiero che ci appartiene. In questo tipo di attività, l’attenzione deve essere sempre alta e di costante scoperta. Ci vuole tanta passione, tenacia, tanta scelta etico/politica, quindi tanti sacrifici personali ed economici, spalle larghe nel fronteggiare i problemi. E chiaramente tante bestemmie. Le realtà come queste non sono mai rose e fiori: anche se la passione è sconfinata, anche se ci piace da matti quello che facciamo e collaboriamo con persone incredibili a vari livelli, ci si trova sempre a fare più di un lavoro per sopravvivere, a decidere di non andare in vacanza per anni, a non avere il tempo per la vita „privata“ e per coltivare anche altro, a essere in continua instabilità anche economica. Ma alla fine credo sia per questo che viviamo, per quello che pensiamo sia giusto fare attivamente tutti i giorni e a modo nostro. Sono scelte in cui bisogna credere fino in fondo, nonostante i momenti di perplessità e di sconforto che ci sono.

Di Hellnation avete preso l’eredità e gran parte dell’attitudine, ma Inferno sembra voler essere un po’ più trasversale, sia in termini di musica divulgata sia in termini di prodotti culturali che scegliete anche con molta cura. Qual è l’identità e il raggio d’azione che state costruendo?

M: Io sono una storica dell’arte e dentro Inferno ho voluto portare l’idea di uno spazio libero anche espositivo per mostre e stampe, e per l’illustrazione in generale grazie a fumetti e romanzi grafici. Il discorso dell’autoproduzione e dell’artigianalità resta centrale per quello che facciamo. Del resto, se proponessimo solo le ristampe in vinile dei grandi classici o maglie dei gruppi e poster dei film probabilmente scompariremmo sotto i giganti dello “shopping generalista”, fisico e online. Il nostro raggio d’azione è però piuttosto ampio: non ci interessa rivolgerci solo alla nostra nicchia di riferimento ma portarci dentro “gli altri”, provare a insegnare nel nostro piccolo che abbiamo la possibilità di scegliere oltre i consigliati di Amazon e Youtube e, addirittura, che questa possibilità può essere concretizzata con le nostre stesse mani e il nostro ingegno.

attitudine
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C: Inferno ha alla stessa base di Hellnation, il fatto che l’attitudine qui è punk/hardcore, in ogni suo senso. L’autoproduzione e la veicolazione culturale underground, nonché di determinati discorsi politici come economia etica, antifascismo, antisessismo e antirazzismo, apertura mentale ne sono alla base, così come molto anche del pensiero e della riflessione esistenziale e politica anarchica. Per questo nel negozio si trovano anche fanzine, giornali di divulgazione politica, libri di saggistica sulle sottoculture, fumetto molto legato alla realtà DIY e artigianato a più livelli, come magliette serigrafate a mano, toppette cucite a mano, dischi di band ed etichette indipendenti di punk, oi, hardcore, funk, jazz e blues, fino alle produzione di singole band. Tutte le realtà proposte con cui facciamo rete sono a noi affini in questa base identitaria – penso ad esempio anche a Screamprinting, Fhate off, Nutty Print, Woodenfinger e WOFF.

Sconfinando anche fuori dal GRA e pure fuori dall’Italia, ci sono delle realtà, delle persone, delle esperienze, dei negozi di dischi o dei concerti che sono stati di ispirazione per immaginare Inferno come è ora?

Prima di sconfinare, citiamo per forza Radiation Records, nostri colleghi e amici. Marco Sannino è stato tra i primi a credere in noi, siamo due tipologie di „record store“ diversi, ed è questa diversità che può fare la forza nel nostro contesto di origine. Sempre a Roma, un modello reale a cui abbiamo fatto riferimento è sicuramente il fu Forte Fanfulla con la sua distro aperta/negozio di musica, fanzine e fumetto – dal quale abbiamo mutuato anche l’eredità fisica di una parte delle rimanenze di Alpacha, ringraziamo per questo Edo, Ale, Manu e Demented e tutti i ragazzi. L’ispirazione generale fuori dal GRA è partita da luoghi bellissimi dove tutto si interseca: libri, fumetti, musica, la passione, il suonare, il vivere. Citerei Modo Infoshop di Bologna, Perditempo e il negozio di dischi Oblomova di Napoli, United Club di Torino, la serigrafia di Legno e il negozio Volume a Milano. Sempre fuori da Roma, e da qualche tempo fuori dall’Italia, mi è sempre piaciuto l’approccio e lo stile di SOLO, negozio di libri e dischi prima a Milano, ora trasferitosi a Malta. A Torino gli amici Alessio e Lucia di Belleville Comics, fumetteria che ospita spesso presentazioni e live set.

Vivete in prima persona una certa "Roma underground" ormai da oltre dieci anni, credete che le sottoculture romane si siano trasformate? Ci sono comunque ancora forti radici nel punk, nel noise, nella sperimentazione? Ci sono anche nuove leve, un ricambio generazionale? Roma è sicuramente e inevitabilmente cambiata in questo arco di tempo, anche se alcuni baluardi - come la "scena di Roma Est" - resistono a loro modo, e altri forse non sono mai troppo cambiati - penso a uno spazio come La Strada.

M: La scena che frequento da più tempo è quella della “Roma punk”, di Questa è Roma… – il giro Scarred for Life prima, Rotten Inc. adesso. È una scena che ha sempre un po’ sofferto la questione generazionale: anche quando ci sono tanti ragazzi a partecipare poi restano in pochissimi a organizzare, e di questi poi molti lasciano perdere dopo qualche concerto. Non perché ci sia un monopolio, anzi spesso sono proprio i “vecchi” a crucciarsi di questa specie di ristagno, ma può essere scoraggiante barcamenarsi in una scena tanto ampia e indisciplinata come quella romana. Infatti le realtà che funzionano meglio sono quelle più piccole: i ragazzi di Viterbo e TusciaClan, per esempio, si muovono molto bene con iniziative musicali e non; lungo il litorale ci sono gli UrtoNudo, gruppo hardcore di giovanissimi i cui componenti sono molto attivi soprattutto allo ZK di Ostia – dove riescono a coinvolgere un sacco di ragazzi, che però poi magari a Roma non vengono… Diciamo che in generale rispetto a prima mi sembra ci sia una tendenza a chiudersi in casa – mettici che poi molti dei vecchi “agitatori” della scena hanno messo su famiglia – figlia se vuoi anche delle nuove tecnologie. Comunicare, informarsi, acquistare, mangiare, suonare sono tutte attività che ormai si possono fare seduti sul proprio letto, è naturale che poi uscire diventi qualcosa di sempre più lontano dalle nostre abitudini. Poi ci sono le grandi occasioni, in cui la partecipazione è tanta: come succede sempre per Questa è Roma e come è successo, nella nostra piccola realtà, anche per il concerto degli Inferno che abbiamo fatto qui a inizio anno, fino all’esperienza ormai decennale di Go!Fest che porta gruppi grind, fastcore, powerviolence di livello altissimo in un contesto in un certo senso periferico come quello dello Spartaco. Non è che la partecipazione proprio non ci sia, ma è decisamente pigra – e dall’altra parte, c’è anche molta “fissità” da parte di chi organizza nel non capire cosa voglia il pubblico…
C: Avendo fatto parte di una realtà come quella di Roma Est, di quella totalmente trasversale del DalVerme e avendo frequentato in modo assiduo un posto come l’HombreLobo Studio, sono stata portata a conoscere in maniera profonda ambienti molto diversi e persone anch’esse diverse tra di loro, seppur accomunate da uno spirito affine. Anche se la mia anima è punk/hardcore, mi sento molto legata a derivazioni di tipo diverso, tutta la sperimentazione in primis, ma anche roba che potremmo definire più pettinata. Ma si sa che il primo amore non si scorda mai, quindi i concerti che ancora tengo come riferimento imprescindibile sono quelli della vasta scena hardcore punk. Per quanto riguarda il discorso ricambio generazionale, al DalVerme ho avuto modo e fortuna di coccolarmi un bel po’ di bravi giovani, con alcuni dei quali sono diventata grande amica – e suono anche insieme ai XCARACOX , nonostante la differenza di età. Per quanto riguarda la sperimentazione, forse adesso lo snodo più importante a Roma è il giro che si sta creando intorno al Klang, dove spesso suonano e sono spettatori anche giovani leve. Quindi sì direi che oggi forse c’è più gioventù nella sperimentazione e nell’elettronica che nel punk, anche in relazione all’utilizzo massiccio delle nuove tecnologie di comunicazione a cui abbiamo accesso: la società è profondamente cambiata e con loro anche i giovani, per vari motivi negli ultimi 10 anni la dimensione solitaria nel suonare ha preso molto piede. Questo non vuol dire che sia un male o che non ci sia ricambio generazionale anche nel punk, come dice anche Martina ci sono ragazzi che abbracciano questa dimensione e si sbattono per fare accadere le cose. Nella provincia o in periferia, penso ad Acilia, Paliano, Carpineto/Montelanico, Anagni, la Tuscia, Civitavecchia, ci sono tanti ragazzi anche giovani che si muovono e fanno cose, insomma non mi sembra che siamo messi così male, se viene dato spazio e sostegno le cose vengono da sé. Poi ecco, della trap so poco e niente, lo ammetto, e non so se ci sono dei fenomeni realmente alternativi nel genere, una loro socialità diversa… Ma posso dire che di ragazzi e ragazze giovani al negozio ne passano, hanno una curiosità spiccata e non sono neanche così pochi. Il discorso è essere noi capaci di aiutarli a coltivare le loro passioni: con strumenti, approcci e discorsi che possano aiutarli a indirizzarsi, senza essere invadenti – perché non siamo guru – ma magari essere bravi a creare spunti e ricevere anche noi qualcosa.

Inferno non è solo un negozio di dischi, è uno spazio dedicato alla cultura underground a 360 gradi. Come vi occupate della selezione, come scegliete e scovate nuove realtà e nuove proposte in tutto l’ampio spettro culturale che coprite, dai fumetti ai dischi fino alle serigrafie?

Da questo punto di vista i social si rivelano molto utili. Le case editrici, per esempio: partendo da quelle che ci piacciono e che sentiamo affini dal punto di vista etico e politico, scopriamo facilmente festival di illustrazione e piccola editoria underground, per esempio, e da lì è facile trovare l’elenco dei partecipanti. Iniziamo però sempre da qualcosa che piace a noi, cerchiamo di capire se può funzionare, poi di solito ce ne freghiamo e la adottiamo lo stesso, cercando di trasmettere ai clienti la stessa curiosità che generato in noi. Altro discorso è sulle etichette, sulle quali Claudia è senz’altro più ferrata per via del DalVerme. Con molti produttori c’è un rapporto personale, e la lista è decisamente lunga: Hellnation, Sons of Vesta, Boring Machines, To Lose La Track, ùa, Legno, Escape from Today, Shove, The Fucking Clinica, Annoynig, Zas, Mastice, Canti Magnetici, Selva Elettrica, Wallace, SOA, Let’s Goat, Minimal Rome, Assurd, Mothership, Sonic Belligeranza, Controcanti/Fallo dischi, Sangue Dischi, No=Fi, Tufo rock, Skinhead sound, Legno/Holidays, Avant!, Subsound, Heavy Psych Sound, Time to Kill, Brigadisco, Dio Drone… Altrimenti ci affidiamo anche ai gusti e ai consigli dei nostri clienti e amici, che magari ci chiedono un disco che non abbiamo, cerchiamo l’etichetta e ci appassioniamo. Diciamo che, oltre alla fortuna di conoscere in prima persona artigiani e produttori indipendenti, lavoriamo molto con il passaparola, che sia social o meno.

Ci sono delle altre realtà italiane con cui fate rete, con cui credete di avere affinità e vi trovate magari durante festival e trasferte varie come distro...? Insomma in Italia c’è ancora un circuito virtuoso che supporta sinceramente il DIY?

Assolutamente sì. Ci sono diverse forme, ma uguali sentimenti e sostanze. Cerchiamo di fare un mosaico veloce, le realtà alle quali più o meno strettamente siamo legate e con le quali facciamo rete sono tantissime e dislocate su tutto il territorio nazionale. Partendo da tutta la tradizione di XM24 – e lo storico Antimtvday -, Atlantide ed Ekidna e la sua Rottura del Silenzio in Emilia Romagna, sempre a Bologna c’è Dj Balli e il Laboratorio L’Isola. Vicino Bologna ci sono i ragazzi del Sottotetto e ormai anche lo stesso Roberto Gagliardi ad agire, ma ci sono altri posti posti come Modo Infoshop, Freakout e Mikasa che divengono uno snodo fondamentale per la veicolazione di musica di un certo tipo sul nostro territorio; su Milano e Torino ci sono persone e luoghi storici già citati, un giro hardcore che ha tradizione e radici profonde, e poi serigrafie, fumetterie, negozi di dischi a cui siamo legatissime (da Volume a Holidays e Legno); a Trento c’è tutto il giro legato a The Fucking Clinica di Marcella, all’Annoying Records degli Attrito – etichette con cui collaboriamo costantemente, persone che si fanno 8 ore di macchina per essere presenti all’inaugurazione del negozio, perché sanno cosa vuol dire supportare; e poi sul Veneto c’è tutto un giro di ragazzi che organizza il Venezia Hardcore e poi c’è la realtà di Padova, verso Vittorio Veneto troviamo Boring Machines di Onga, con il quale abbiamo una collaborazione strettissima, e Second Sleep di Matteo Castro. La rete fittissima si snoda anche in Liguria, tra La Spezia e Genova: la prima con una radicata scena punk rock legata a La Skaletta – abbiamo ospitato almeno due mostre di spezini legati a questo giro – e la seconda con Mauro ex-Downright, che ha pubblicato la seconda uscita di Cassandra. Nelle Marche, Claudia ha suonato più volte nel Circolo Anarchico di Jesi e in altre realtà come Glue Lab e Resonanz che sono state un punto fondamentale di congiunzione tra nord e sud, a Pescara abbiamo il Frantic Fest e lo Scum. Procedendo verso sud, in Puglia ci sono gli amici tarantini di Canti Magnetici (ex Cannibal Movie), nel Salento tutte le estati c’è un ritrovo fondamentale per la scena skin come il No Racism Cup e il Lecce Hardcore, a Campobasso troviamo i nostri amici di Mastice Produzione, in Sicilia la Tifone Crew, il giro powerviolence degli ANF, quello del Dalek Studio a Messina e degli Shemless a Cosenza. La rete è fittissima e continua in Toscana: qui ogni estate c’è il Degenerò sull’herbe, un festival folle che si tiene in una tenuta del nostro caro amico Pietro nel cuore della Val d’Orcia; a Grosseto ci sono i La Piena, che hanno cominciato a organizzare concerti animando una zona non sempre vivissima e, sempre in Maremma, c’è Ale degli Autoblasting Dog che si dà da fare; e poi, sempre in Toscana, il Collettivo Nuovi Rumori, che organizza al CSA Next Emerson. A Perugia troviamo i nostri fratelli di Mother Ship che, oltre ad animare vari posti in centro, organizzano festival in piazza come Perugia Anno Zero e festival itineranti. A Umbertide c’è Luca Benni di To Lose La Track, che da anni organizza l’Italian Party ed è una delle etichette con cui collaboriamo. A Napoli resiste il giro della sperimentazione scuola Mario Gabola e A-spect, Resistenza Analogica e Renato Grieco legati a spazi come Perditempo, 76a e Oblomova; ma anche la scena punk, rock’n’roll e hardcore di Motosegna e Redstars, e un altro punto di riferimento attualmente attivo è la Mensa Occupata, nonché una bella variante estiva del Molosiglio dove si suona con vista Vesuvio su un molo. Nel Lazio, oltre alle già menzionate realtà di provincia con le quali abbiamo profonde connessioni, a cui vogliamo molto bene, festival dove portiamo la nostra distro e i nostri corpi spesso e volentieri sono il Paliano Hardcore Fest e il Tuscia Hardcore Fest. A Zk Ostia un altro fest fondamentale è l’Ostia Palusa.

AH! Il Do It Yourself! Che valore ha questa espressione, oggi, nel 2020? Se come dice zio Mike Watt «punk is an attitude», oggi c'è ancora un modo per esserlo, in maniera non anacronistica?

Beh sì, altrimenti non saremmo qui! Certo poi il discorso su “cosa” sia punk o no è lungo e complesso e non vogliamo fare la lezione a nessuno. Per quel che ci riguarda, oltre a essere l’unico modo che conosciamo per definirci, D.I.Y. implica abbandonare i protagonismi, andare oltre il sentito dire, sporcarsi le mani, rovesciare la logica del “tanto va così”, mettere in discussione poteri e poterini. Il punk è un’attitudine che quindi si esprime in vari modi, non ha necessariamente una forma prestabilita, ma tante sfaccettature che è giusto e anche divertente vivere e attraversare. Il punk è uno stile di vita come tanti, farne parte e metterlo in pratica secondo noi è proprio quasi una filosofia di vita.

Credete che oggi le sottoculture abbiano ancora una forza e un ruolo sociale e politico importante nel definire il carattere di una città, nel plasmare le generazioni?

Crediamo che inventarsi qualcosa di forte e realmente nuovo, oggi, sia difficilissimo. Ne abbiamo viste di tutti i colori, insomma. Le sottoculture chiaramente ci sono ancora, sia quelle storicizzate sia le nuove derivazioni – vedi il fenomeno trap – il problema è che il sistema capitalistico e ipercomunicativo in cui viviamo ha oggettivamente standardizzato e assorbito quello che è l’alternativo, il diverso, ormai da parecchio tempo. Ma ci sono modi per resistere. Non bisogna mai pensare che qualcosa sia scontato, il tramandare un pensiero, un modo di fare, un disco, un libro, una simbologia e, alla fine, anche uno stile per vestirsi: significa stratificare culturalmente qualcosa, quindi è un atto sempre di ribellione, qualcosa che è realmente importante sia per mischiare poi le carte in tavola, sia per decidere cosa si vuole e soprattutto cosa non si vuole essere. In particolare, il carattere di una grande città in perenne trasformazione come Roma è dato proprio dalla sua storia: che è sì quella romana e greca, ma è anche la storia più recente degli squat, degli spazi che fanno controcultura, dei punk e degli skin, ma pure dei raverini! Il modo in cui viene vissuta e attraversata, i suoi luoghi e le sue strade ne disegnano i reali confini e le persone che ne fanno parte.

Resistenza intergenerazionale
Resistenza intergenerazionale
Secondo noi c’è bisogno di questo tramandare, ancora e sempre, alle nuove generazioni. La standardizzazione dei luoghi, dei locali, delle aree urbane e l’appiattimento culturale sono in questo momento il vero nemico da combattere per riprenderci la città e definire i nostri reali bisogni e quindi anche come vogliamo vivere la nostra vita, perché in nome del soldo e del controllo la tabula rasa è dietro l’angolo in molte grandi città, così come anche a Roma. L’omologazione fagocitante del sistema è la cosa a cui resistere, per questo pensiamo che un posto come Inferno e tanti altri abbiano un dovere etico di esistere e resistere.

La resistenza del negozio di dischi fisico, che almeno a Roma ha ancora una sua rilevanza, credo sia legata all’innato bisogno dell’uomo, nonostante l’epoca in cui viviamo, di far parte di una comunità, di confrontarsi, di creare alleanze e trovare affinità, similitudini, con qualcosa. Come esperienza diretta, pensate che ci sia ancora questo “sentimento”?

Sicuramente il senso di complicità, se non di comunità, resiste; allo stesso tempo, il disco è anche oggetto, feticcio, collezionismo e ha quindi una dimensione tutta privata. Diciamo che qui convivono queste due anime, anche perché la nostra posizione vicina al centro e uffici, ministeri e ambasciate lo rende anche geograficamente un crocevia di persone e personalità estremamente diverse. Penso che poi stia un po’ anche a noi cercare di rafforzare quello spirito di condivisione con chi è proprio alla ricerca di qualcosa o qualcuno a cui sentirsi affine. Certo poi, come dicevamo prima, non siamo guru né psicologhe, ma è in primis per noi stimolante porci in maniera accogliente soprattutto verso le generazioni più giovani, con le quali abbiamo un rapporto ottimo.

Senza molti giri di parole, sappiamo che le donne che a vario titolo si occupano di musica ci sono ma spesso sono poco esposte, non hanno “ruoli” più o meno di prestigio o visibili o di responsabilità e potere. Anche se penso ai negozi di dischi in Italia che interpelliamo ogni anno, sono tutti gestiti da uomini… Voi, in particolare, siete anche vicine a scene come quella punk/hardcore e noise che grossolanamente vengono considerate ancora appannaggio soprattutto maschile. Qual è la vostra esperienza in merito? Come avete vissuto questa passione per un certo tipo di suoni e come la vivete oggi? Incontrate ancora delle criticità al riguardo, degli stereotipi? In qualche modo vi capita di essere più attente a questo tema, facendo da filtro o selezione in prima persona per non assecondare il trend per cui la componente maschile, praticamente in qualsiasi ambito musicale, è quella dominante?

M: Di getto ti risponderemmo di no, ma poi ci rendiamo conto di trovarci a collaborare soprattutto con donne! Le mostre che abbiamo ospitato e che ospiteremo sono curate da una donna, Rossana Calbi, e, tranne per quella di Riccardo Bucchioni appena conclusasi, tutte di artiste: Debora Malis, Daria Palotti, Amalia Caratozzolo, Adriana Farina e Marta Bianchi, che ospiteremo dal 7 marzo. A cura di artiste o artigiane è anche la maggioranza delle forniture di abbigliamento e accessori: Fhate Off, Woodenfinger, W.O.F.F. sono tutti progetti e attività ideati e gestiti da ragazze. Anche per quel che riguarda gli editori, casualmente ci interfacciamo con molte donne. Quando poi si parla di musica, però, le proporzioni si invertono: a parte Marcella di The Fucking Clinica, solo uomini! C’è da dire che Claudia e io spesso non ci badiamo neppure, perché guardiamo più all’etica, alla professionalità, alla stima e al talento dei nostri collaboratori che al loro sesso, ma è una questione con la quale vuoi o non vuoi ti trovi a fare i conti. Stereotipi ne esistono ancora eccome, a volte la gente non sembra capacitarsi del fatto che siamo due ragazze a gestire questo spazio: innumerevoli le e-mail che esordiscono con un «CIAO RAGAZZI», pure se ci siamo firmate negli scambi precedenti, a volte capitano anche maleducati che si permettono toni saccenti che dubito adotterebbero se avessero davanti un uomo. Dall’altra parte, questo comporta anche molta “benevolenza” da parte di chi passa di qui. Per quel che riguarda la questione musicale, il discorso si fa più complesso. Nel punk il gruppo in cui canta una ragazza – perché di solito le ragazze cantano e basta – è ancora vista come una cosa insolita e, in il più delle volte, la voce femminile è come se facesse genere a sé: «Com’è sto gruppo?», «canta una ragazza». Se ci pensi è un provincialismo insensato, per quanto non siano la maggioranza è comunque pieno di musiciste nel giro punk e hardcore internazionale. Purtroppo credo che siamo ancora figli e vittime del retaggio che divide le attività e gli interessi “da maschi” e “da femmine”, e magari anche le più emancipate da tanti punti di vista si bloccano davanti a un mondo a prevalenza maschile, dove i concerti sono scontri di corpi, sudore, centro dell’attenzione… Insomma, tutte cose poco “da ragazza” secondo questa logica. Per quel che mi riguarda, un po’ influisce sulla mia timidezza, sento di avere gli occhi addosso anche per il mio genere, oltre che per il mio ruolo di cantante, e trovo molta difficoltà a esprimermi liberamente. Ma ci sto lavorando!
C: Molto lo ha già detto Martina. La musica è diventata a tutto tondo la mia vita e il mio lavoro, di certo farsi apprezzare per quello che sei e fai senza che ci si soffermi in particolare sull’essere donna è difficile, anche se la situazione è un po’ cambiata e secondo me è ancora in evoluzione. In ambito musicale, soprattutto nella dimensione del suonare, da un po’ di tempo direi che molte donne e ragazze si stanno facendo largo, anche con standard qualitativi molto alti – pensiamo ad esempio al documentario „Linfa“ che ci racconta molto di questo processo. Io stessa suono con vari progetti e diversi strumenti diversi, quindi non sono mai rientrata troppo nello stereotipo classico della ragazza che canta, suona il basso o uno strumento della classica, che spesso affibbiano ad amiche e colleghe. Ad esempio, nei Godog le teste siamo io e Silvia Sicks, così come ho girato in lungo e in largo con Cassandra facendo noise estremo, da sola con la valigia e un milione di treni senza avere mai grossi problemi. Nell’ambito lavorativo al DalVerme, oltre a condividere la programmazione artistica con Toni Cutrone, ero io il responsabile tecnico e fonico: un ruolo che non sempre è definito femminile, ma anche lì ci sono tantissime colleghe brave. Se andiamo ancora indietro, per la rassegna estiva Pigneto Spazio Aperto ero anche un backliner, uno stage manager, una piccola direttrice di produzione, di base facevamo un po’ tutto io e un tecnico del suono. Non mi sono mai posta limiti né, devo dire, qualcuno me li ha mai realmente posti. Così come nel mio lavoro di produzione con Kick Agency, all’inizio è stato più difficile affermarsi – in genere le donne si occupano dell’hospitality e dei camerini, o fanno le segretarie – ma come professionista ho dimostrato di non avere nulla in meno, anzi spesso molto di più, di un collega maschio. È forse anche vero che le donne sono tendenzialmente meno competitive, quindi si fa meno caso a loro, ma anche lì secondo me è l’attitudine di ognuno di noi che fa la persona e la differenza, quindi mi sono presa le mie soddisfazioni professionali e anche umane, come tante altre. Il discorso da fare dovrebbe essere indifferente per uomini e donne: bisogna seguire le proprie passioni e inclinazioni e tutto andrà meglio senza troppi vittimismi, mistificazioni o autocastrazioni; spesso siamo i primi nemici di noi stessi e credo che, partendo da sé, sia possibile affrontare tematiche che consentano di far capire anche agli altri come i pregiudizi e le piccolezze mentali debbano essere messi da parte.

 

Un aspetto che state valorizzando sempre di più è quello dei live e delle presentazioni instore. Pensate sia anche questo un modo di fare controcultura in maniera attiva? Quali sono stati gli eventi più significativi che avete ospitato di recente?

Assolutamente sì, anzi è il modo più diretto perché c’è uno scambio immediato tra persone, pubblico, artisti, autori, noi. Senza interazioni c’è il rischio che tutto si riduca al puro collezionismo, vista anche la grande tendenza all’isolamento della contemporaneità. È anche un modo di fare politica: creare momenti di aggregazione è la nostra risposta agli sgomberi, alle chiusure di locali e centri culturali, ai coprifuoco, all’odio e alla diffidenza verso l’altro che caratterizzano questo brutto momento storico che stiamo vivendo, a livello locale ma anche globale. Gli eventi sono tutti importanti in quanto selezionatissimi. Impossibile non citare il recente e bellissimo live degli Inferno sci fi grind and roll per festeggiare l’uscita della ristampa del loro primo disco in vinile, che abbiamo curato insieme a Escape From Today e Shove Records. O la presentazione della ristampa della „Guida Illustrata al frastuono più atroce“ di Simone Lucciola, le continue collaborazioni con Enrico e Giulio di Search and Destroy Radio, curatori della Strummer Night, le presentazioni di libri in collaborazione con Arcana, Path nostro musicista resident, il folle tour con una quantità spropositata di date in tempi record degli Storm{o} – tutti in posti che non fossero locali o posti dove si fanno concerti abitualmente.

Dopo due anni di attività, quali credete che siano le criticità maggiori e quali i punti di forza di Inferno?

La criticità principale, ovviamente, è il fatto di muoverci in un ambito di nicchia e si sa che la cultura in generale, figuriamoci la cultura non “statalizzata”, soffre molto di mancanza di fondi e valorizzazione. Il nostro è un lavoro da operatrici culturali, quindi un ambito dove girano pochi soldi. Avere una piccola attività in Italia ha dei costi abbastanza elevati, sappiamo fare tante cose ma insomma non siamo proprio delle imprenditrici e nemmeno degli squali, quindi è difficile e faticoso muoversi nella burocrazia, nella gestione economica e nei bilanci. Piano piano ci stiamo orientando e stiamo prendendo bene le misure della questione, cercando anche di bilanciare vari aspetti. Il fatto che una di noi spesso si debba allontanare dal progetto per svolgere altri lavori all’inizio ci ha un po’ complicato la vita, ma anche su questo aspetto stiamo cercando di trovare la quadra per ottimizzare al meglio le energie e spingere a mille quando serve, unite e insieme. Un’altra criticità è un po’ la percezione che si ha di una realtà come Inferno: qualcuno pensa che non sia un lavoro serio o un lavoro faticoso, noi non lavoriamo solo nell’orario del negozio, spesso non stacchiamo mai con idee, ordini e così via. Alle volte questa mancanza di percezione pesa e sconforta un po’: in alcuni ambienti più estremi e politicizzati si arriva a pensare, verso un’attività come la nostra, che magari non ci sia un’etica coerente o che si sfruttino tante realtà diverse per arricchirsi; per fortuna lo credono in pochi e parlando con le persone si riesce a far capire che l’impegno di un posto come il nostro fa bene anche ad altro, che è sempre una cosa positiva fare rete. I punti di forza sono certamente l’originalità della gestione, gli eventi, la scelta della proposta che non si trova facilmente e a volte non si trova proprio da altre parti, il fatto che entrambe siamo stimate e sostenute dalla scena di cui facciamo parte. E poi che non ci spaventiamo a sperimentare, ad accogliere idee e progetti nuovi in negozio e che ci muoviamo per sostenere le realtà che ci piacciono. Il fatto che sempre meglio riusciamo a comunicare e spiegare a un nuovo avventore del negozio o non facente parte un certo giro che cosa è Inferno, che vuol dire avere un posto del genere nel 2020 e quale è il suo valore e la sua importanza, il fatto che nessuno voglia diventare ricco ma solo raggiungere una tranquillità economica generale che permetta la sussistenza del posto e delle attività. E poi chiaramente l’affiatamento tra di noi.

Il 29 febbraio presenterete la photozine Shv-Shp, in collaborazione con BiZed Photozines. Presentateci lo spirito del progetto, quello che avete in comune con questa etichetta e come si comporrà la presentazione.

BiZed è un’etichetta e realtà indipendente di zine fotografiche, ma soprattutto sono Matias e Michela. Matias è un fotografo e amico di vecchia data, grande frequentatore di concerti. Avevamo ospitato già il loro compleanno l’anno scorso, con la presentazione della zine di Edoardo De Angelis. Abbiamo coprodotto e supportato l’idea di una fanzine dal titolo „Se ho vinto se ho perso“, storico disco dei Kina, anche perché incarna alla perfezione la totale assenza di certezze che ruota intorno al fotografare una “scena” di un concerto punk, hardcore, metal o noise. È un atto di coraggio e allo stesso tempo un gesto incauto. La fanzine uscirà con un’edizione limitata di 60 pezzi, solo foto in bianco e nero, i fotografi sono tutti legati alla scena punk e hardcore italiana, gli scatti realizzati in posti occupati italiani dal nord al sud dell’Italia e le band o musicisti ritratti sono tutti underground. È stata impaginata e curata nei minimi dettagli, nonché rilegata a mano, da Michela e Matias. Il loro messaggio è di prendere in considerazione, per una volta, un aspetto e un punto di vista diverso della comunità e della scena underground: il fotografo che documenta e si getta nel pogo, nello spazio non protetto tra palco e pubblico; non sa come andrà, non sa se tornerà a casa con la macchinetta fotografica intera, ma nonostante tutto comunica la sua etica, il suo ruolo fondamentale, la sua passione che, come una calamita, lo lega al palco – ammesso che ce ne sia uno. SHV-SHP è una fanzine collettiva che vuole portare su carta queste sensazioni. Il 29 festeggeremo anche il terzo compleanno di BiZed: saranno presenti alcuni dei fotografi che hanno preso parte al progetto SHV-SHP, ci sarà una piccola mostra di foto, ci saranno le zine e il dj set afro funk di Jumgal Fever, aka Emanuele dei NOFU e Ivan, due amici di vecchia data che abbiamo già ospitato diverse volte con questo progetto. Sarà una bella festa, con patatine, vino e Fanta, alla quale siete tutti invitati a partecipare!

Ad aprile arriva come al solito il Record Store Day. Hellnation è stato il primo a festeggiarlo qui a Roma, alla sua maniera pioneristica: live instore, sconti, patatine, birra e chinotto Neri. In che maniera interpretate questa “festa”?

Portando avanti la tradizione: anche noi offriamo sconti e qualche bibita e stuzzichino per rifocillare gli avventori e noi stesse, con in più un live o un dj set. Ormai ha perso molto del significato che poteva avere inizialmente ed è diventato un po’ un business – vedi gli isterismi e i prezzi folli legati alle uscite speciali. Diciamo che come “festa” preferiamo quelle tutte nostre, dal compleanno ai release party che gli amici scelgono di fare da noi, ma ha senso comunque festeggiarlo, e anche quest’anno lo faremo in collaborazione con Search & Destroy Radio. Sorprese all’orizzonte, state sintonizzati!

Inferno ha in cantiere dei nuovi progetti, collaborazioni, di uscire dalle proprie mura, di crescere ulteriormente?

Incrementeremo sicuramente le uscite come etichetta, sia di dischi nuovi sia qualche importante ristampa di dischi usciti esclusivamente in cd, parliamo sempre di DIY italiano, soprattutto in ambito punk, grind, hardcore et similia, ma non escludiamo spin off, in collaborazione con tante altre realtà, come l’attesissima uscita del disco dei Godog (risate, ndr). L’idea è di cominciare a creare delle rassegne di concerti in posti come il Klang per la sperimentazione, al Csoa Spartaco per un festival – ci piacerebbe fare una volta l’anno un megafest Inferno – al Trenta Formiche per altre cose, poi continuerà la collaborazione con Enrico di Search and Destroy Radio e stiamo cominciando a collaborare anche con Freddie Koratella e Dead Music. Il lavoro con Rossana Calbi sulle mostre potrebbe uscire ed espandersi in altri luoghi. Prevediamo una ristrutturazione dello spazio e di attivare il prima possibile il piano inferiore, per ampliare le attività anche dentro il negozio e rimodulare gli spazi. Con Leonardo Birindelli di DVI99 abbiamo in cantiere da un po’ l’idea di attivare una web radio / streming tv del negozio e cambiare anche l’aspetto comunicativo di alcuni eventi. In questo senso faremo un primo esperimento con l’EulerRoom Equinoxx 2020, un evento di livecoding in diretta streaming mondiale il 21 marzo dalle 19.30 alle 21.30 presso il nostro Store.