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Memorie dal sottosuolo: otto anni di DalVerme

Dopo otto gloriosi anni di attività, chiude (forzatamente) il Circolo DalVerme. Addetti ai lavori, musicisti, penne di Zero e persone che hanno contribuito alla causa da dietro le quinte raccontano il 'proprio' DalVerme attraverso ricordi, concerti e serate memorabili.

Geschrieben von Chiara Colli il 17 März 2017
Aggiornato il 12 März 2020

Foto di Simone Tso

A Roma è la fine di un’era. Come avrete letto su tutte le testate che contano, il 31 marzo sarà l’ultimo giorno di apertura del Circolo in via Luchino Dal Verme, che insieme a Fanfulla e 30Formiche rappresenta lo „zoccolo duro“ della cultura alternativa del quadrante Est della Capitale. Quasi otto anni di indefessa attività tra musiche sghembe, visionarie, noise e di ricerca, cocktail gourmet, facce più o meno sobrie e ricordi più o meno nitidi che non senza una certa amarezza mi ritrovo a scorrere nella magica dimensione parallela del database di Zero. Una copiosa lista di concerti (a occhio e croce poco sotto il migliaio, senza contare quelli „fuori casa“) che quando il crampo da scroll comincia a farsi sentire è riuscita, mio malgrado, ad appiccicarmi un sorriso sulla faccia. Sì perché è qui che suonarono i Peaking Lights e Jozef Van Wissem quando non li conosceva quasi nessuno; è qui che i Destruction Unit hanno fatto uno dei concerti più memorabili visti – e soprattutto sentiti – a Roma negli ultimi dieci anni; è al DalVerme che i Wolf Eyes sono di casa ed è sempre nel sottoscala della ex salsamenteria che ho gongolato cullata dai droni lisergici di Barn Owl, High Wolf e Sun Araw. Ma la lista dei concerti e dei singoli momenti (seppur indimenticati) lascia quasi il tempo che trova se pensiamo alla visione e al lavoro più ampio che il DalVerme ha fatto sulla musica italiana underground, ben al di là dei generi: creando connessioni, valorizzando progetti emergenti, rappresentando un luogo di fiducia un po‘ come il pusher di dischi di cui ci si fida ciecamente. Da Paolo Spaccamonti agli In Zaire passando per Father Murphy e Lino Capra Vaccina, le eccellenze della musica italiana sono passate tutte da qua, in uno spazio che ha sempre fatto della „misura d’uomo“ un aspetto importante della propria identità.

Per quattro edizioni Thalassa è stato anche una sorta di crocevia per persone provenienti da diverse parti d’Italia e due anni fa il DalVerme finiva proprio col festival „occulto“ dentro il programma del Liverpool International Festival of Psychedelia: per quanto ve ne possa fregare degli attestati di stima degli inglesi, provate a ricordare l’ultima volta che una piccola realtà italiana attiva in ambito culturale (o addirittura musicale) è diventata argomento di interesse all’estero…
A Roma ci sono un bel po‘ di persone che devono qualcosa al DalVerme (e non solo in termini di drink non pagati). Le pagine che seguono sono un saluto collettivo, un ricordo corale – non senza un po‘ di malinconia diffusa, ma soprattutto con quel sorriso – di quello che lo spazio al numero 8 di via Luchino Dal Verme ha rappresentato per molti dalla fine del 2009 a oggi: addetti ai lavori, musicisti, penne di Zero o „personaggi“ che hanno contribuito alla causa da dietro le quinte, ognuno a suo modo legato al Circolo. Il DalVerme e le sue tante anime – Toni, Marzia, Andrea, Claudia, Francesco e tutti gli altri – hanno lasciato un segno indelebile a Roma.

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