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Memorie dal sottosuolo: otto anni di DalVerme

Dopo otto gloriosi anni di attività, chiude (forzatamente) il Circolo DalVerme. Addetti ai lavori, musicisti, penne di Zero e persone che hanno contribuito alla causa da dietro le quinte raccontano il 'proprio' DalVerme attraverso ricordi, concerti e serate memorabili.

Scritto da Chiara Colli il 17 marzo 2017
Aggiornato il 12 marzo 2020

Foto di Simone Tso

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STEFANO RÖSTI

È metà dello studio/laboratorio di grafica Legno e pubblica dischi con la sua etichetta Holidays. Formalmente con residenza a Milano, lo trovate spesso davanti (o di lato, o dietro come “jolly”) al bancone del DalVerme. (foto di Valentina Pascarella)

 

 

Quando, ne Il ritorno dello Jedi, lo spietato cacciatore di taglie Boba Fett consegna a Jabba the Hutt il corpo congelato di Han Solo affinché venga esposto nella sua sala del trono, ognuno nel pubblico sa benissimo che in un modo o nell’altro il nostro eroe se la caverà mentre la “disgustosa massa putrescente verminosa” andrà incontro alla fine che si merita. Nonostante questo, noi che assistiamo alla narrazione veniamo gettati in uno stato di spasmodica tensione dal quale riusciamo a uscire solo quando vediamo la bella Leila strangolare la grossa lumaca con le sue stesse catene.
Oggi a Roma, in una galassia vicina vicina, ci troviamo in una situazione molto simile, solo che per ovvie ragioni questa volta stiamo dalla parte del Verme che – vittima di una altrettanto putrescente ingiustizia – si trova costretto a una scomoda ibernazione che lascia noi tutti orfani del più valido e valoroso circolo della Capitale. Quale sia stato in questi otto anni il segreto del successo di quel posticino minuscolo, nessuno lo sa. Potrei averlo sfiorato quel lunedì sera in cui Joe McPhee suonò in duo con Chris Corsano davanti a sessanta persone, disposte in formazione compatta per potersi godere il concerto e allo stesso tempo sfuggire dalla nube rancida emessa dalla sua trombetta. Potrei averlo poi riavvistato nell’entusiasmo con cui Evan Parker misurava con i passi la brevissima distanza tra la piccola sala dove si sarebbe esibito per due volte in una sera e il bancone dove i sapienti druidi erano intenti a preparare deliziosi intrugli. Di sicuro l’ho rivisto sulla faccia meravigliata di Lino Capra Vaccina che – la sera del suo primo live dopo una pausa di almeno vent’anni – si rendeva conto di «aver fatto le tre del mattino». Anche se forse, l’unico vero segreto alla base di tutto questo va semplicemente trovato nella caratteristica che più accomuna i mattissimi gestori del DalVerme: la loro eroica incoscienza. Motivo per cui dobbiamo tenerci pronti ed esercitarci ogni giorno, preparando l’esultanza sfrenata con cui accoglieremo la notizia che il nostro strisciante baretto si è finalmente liberato dall’ottusa zavorra giudiziaria per tornare a essere il miglior locale dell’universo (e non solo dell’alleanza ribelle).

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