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Memorie dal sottosuolo: otto anni di DalVerme

Dopo otto gloriosi anni di attività, chiude (forzatamente) il Circolo DalVerme. Addetti ai lavori, musicisti, penne di Zero e persone che hanno contribuito alla causa da dietro le quinte raccontano il 'proprio' DalVerme attraverso ricordi, concerti e serate memorabili.

Scritto da Chiara Colli il 17 marzo 2017
Aggiornato il 12 marzo 2020

Foto di Simone Tso

carlo-cimmino

CARLO CIMMINO

È la memoria sonora dei concerti capitolini. Stoico, praticamente una certezza, se il concerto merita (e l’impianto pure) lo trovate da un lato, sottopalco, col suo registratore. Plausibilmente una delle persone che ha visto più concerti in tutta Roma.

 

 

Non sono una firma di Zero, non mi conoscete. In genere sto nell’ombra, ma per loro sono uscito allo scoperto. Sono uno dei 53. Quelli dell’art. 100. Ci ho messo la faccia, ho indossato la maglietta #riapriamoildalverme, la mia foto è stata appesa per mesi sulle pareti del Circolo. Ma non sono qui per questo. Il mio DalVerme non è quello che affaccia sulla strada, con il suo bancone ben fornito, i vini di qualità, le birre artigianali, i cocktail preparati da abilissimi alchimisti. Non è quello degli incontri fra amici, delle grandi bevute, delle chiacchiere fino all’alba. Il mio DalVerme iniziava un po’ più in là, dopo la cassettina rossa sul limitare delle scale che portavano al piano interrato. Al magazzino della salsamenteria. Di quella stanza avvolta dall’oscurità sono la memoria storica, la memoria solida potrei dire. L’archivista, il conservatore di suoni e visioni, il collezionista di ricordi. Dal mio angoletto proteso sul palco ho scattato foto, fatto video, registrato concerti. Molti concerti, oltre cento. Sì, perché sulle tavole di legno di quel palco poco più alto del resto del pavimento sono passati nomi che hanno fatto la storia della musica e perfetti sconosciuti. Padri del free jazz ed i loro discepoli. Vecchi compositori di musica elettronica e nuovi torturatori di manopole. Fricchettoni tedeschi provenienti da un’epoca ormai lontana e giovani psichedelici occulti nostrani. Fra sperimentazioni elettroacustiche e droni infiniti ho visto amplificatori prendere fuoco, musicisti incappucciati, giapponesi urlanti e suonatori di liuto. Ora le politiche cittadine impongono la chiusura, ma tutto questo non finirà. Perché non può finire. Per ora non resta che dire grazie ai ragazzi del DalVerme, a Toni, Marzia, Claudia, Andrea e a tutti gli altri. Non è un addio ma un arrivederci. E per adesso ho ore di ascolto garantite. REC. STOP. PLAY.

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