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Lo chiamavano Trinity Skatepark

Quattro anni che hanno fatto la storia dello skate a Milano

quartiere Bovisa

Geschrieben von Martina Larcher il 11 April 2022

Nel cuore del quartiere Bovisa, precisamente in via Cevedale 5, si può camminare lungo le rovine del vecchio Trinity. Parliamo dello skatepark voluto e fondato da Angelo Magni – tra i tanti, della sua generazione, ad aver iniziato a skateare giovanissimo e a non aver mai smesso – con il sostegno dell’UISP (Unione Italiana Sport Per Tutti) e degli sponsor. Qui non tutti ricorderanno che all’epoca i luoghi e gli eventi dedicati allo sport rientravano in Tim Tribù, che possiamo definire a tutti gli effetti come una bizzarra archeologia dei media e della telefonia mobile.

Era il 2007, anno in cui lo skateboarding entra a titolo di sport dimostrativo nei Giochi Olimpici, e il Trinity apriva all’interno di un capannone industriale dismesso, con tanto di bar e skateshop. Un sogno nel cassetto più che un progetto di business per come ne parla Magni, anche perché all’epoca si trattava del primo spazio indoor con strutture street in Italia, in un momento dove il mondo ne era già pieno.

Pro tip: versare una coca-cola nel secchio del moccio e spalmarla ovunque per aumentare il grip.

Basta scambiare due chiacchiere con chi lo bazzicava – gli iscritti toccarono picchi di seimila – per sentirsi raccontare della qualità delle rampe e delle costanti ed esperte opere di manutenzione che avvenivano quotidianamente e talvolta con metodi estremamente empirici, cose di cui solo uno skater può riconoscerne l’arguzia – come versare una coca-cola nel secchio del moccio e spalmarla ovunque, per aumentare il grip delle rampe ed evitare così gli infortuni. Furono anni tutt’altro che docili, per rubare una citazione, quelli del Trinity: immaginate centinaia di adepti dello skate, dei pattini e della bmx riunirsi in session frequentatissime e pazzesche, mentre i giovani neofiti s’allenano tra lezioni e campi estivi. Non per niente la comunità che lo frequentava era estremamente eterogenea, così come la schedule giornaliera: durante il giorno le lezioni per i piccoli, la sera i concerti – jazz e rock, un’alchimia tutta particolare per lo skateboarding – e nei weekend le gare del CIS (Campionato Italiano di Skateboarding), che raccoglieva agonisti da tutto il Paese.

Ci volle davvero poco tempo perché il Trinity divenne una specie di Mecca per lo skate nazionale, con una scena talmente ampia e diversificata che fece da trampolino di lancio per quelli che oggi sono riconosciuti come i grandi nomi dello skateboarding. Oltretutto, come se già queste suggestioni non bastassero, eravamo agli inizi dei magici 2000: più o meno ogni giovane, di ritorno da scuola, se ne stava incollato a MTV,bombardato dagli skatevideo e dai trick “Off the Wall” d’oltreoceano che arrivavano volando tra i tubi catodici. Migliaia di piccoli fan sfegatati impazzivano davanti a un Tony Hawk mercificato al punto che, a una certa, si faticava addirittura a distinguerlo dalla sua versione videoludica. Altrettanti i piccoli skateboard plasticosi e reali venduti e comprati e regalati per le feste, altrettanti i ragazzini che facevano i primi passi sulle bowl e le strutture street del Trinity. Uno tra tutti: un giovanissimo Jacopo Carozzi, attualmente conosciuto – in Italia e all’estero – come il più grande skater italiano. Se guardate i vecchi video di repertorio del Trinity lo riconoscete dal caschetto biondo, dal sorriso smagliante e dalla sua tavola che scheggia. Lo si vede vincere le sue prime gare e rilasciare le prime interviste, una in particolare durante un contest realizzato in occasione dell’uscita di Crash Bandicoot – Il dominio sui mutanti (e via, altro ricordo sbloccato). Naturalmente, in palio c’era una X-Box.

Non sono mancate le iniziative benefiche, una in particolare vince di suggestione, in collaborazione con il programma Le Iene che ne fece anche un servizio: il riutilizzo delle ruote da skate usate per la costruzione di carrellini a rotelle per quegli animali con qualche zampa di meno. Perché anche gli animali possono andare su rotelle, mica soltanto i bipedi. Eventi e iniziative come queste sono state anche piuttosto ricorrenti, a testimoniare come la comunità degli skaters in Bovisa fosse decisamente attenta a tematiche sensibili, così come al proprio posizionamento sul quartiere, seppure poi – come sempre – il vicinato non pensasse altro che lamentarsi della musica alta durante lo svolgimento delle serate, arrivando a minacciare la chiusura dello spazio con le classiche raccolte firme un po’ rancorose. E anche qui la soluzione fu semplice: insonorizzare come si poteva. 

Detto questo, seppur bellissimo e per certi versi innovativo nel panorama delle scene di skaters a Milano e in Italia, il Trinity non è mai riuscito a eclissare “La Centrale”, Piazza Duca d’Aosta davanti alla Stazione, che d’altronde è riconosciuta a livello mondiale come il place-to-skate meneghino. Diciamo che non ne aveva l’intento tantomeno l’ambizione. Forse proprio per questo ha rappresentato una valida alternativa per gli skaters delle tante crew di Centrale, specialmente durante la stagione invernale, quando le lastre in marmo della piazza diventavano inaffrontabili. Per loro il Trinity era il piano B – come d’altronde ogni skatepark, ci viene da dire.

Un posto che è stato più di un luogo qualunque: un innesco per una scena e una miccia per generazioni.

Ma insomma, la storia del Trinity dura quasi cinque anni, fino al 2011, quando l’impegno economico era diventato eccessivamente gravoso perché mancava ancora tutto quell’hype condiviso che avrebbe poi portato il fashion a investire accanitamente sulla scena. Come se non bastasse il lato economico a questa vicenda, c’è anche da dire che il comune non ha mai avuto un reale occhio di riguardo rispetto a queste realtà, ma soprattutto rispetto a uno spazio che stava crescendo, letteralmente, le future generazioni di skaters a pane e street-culture. Si costruiva un futuro là dentro, eppure da fuori pareva non vederlo nessuno, al punto che ci viene da pensare che sia veramente una questione di coolness, e che se questa non c’è l’ha vinta l’invisibilità.

Arriviamo all’epilogo, il 29 maggio 2011: si organizzò un “Funeral Party”, dove ogni partecipante poté letteralmente portarsi a casa un pezzo di ciò che era stato il Trinity in quegli anni. Angelo e il padre si preoccuparono di ricavare delle tavolette dalle rampe in fase di smantellamento, che chiamarono “Memorial Tablets”, su cui venne serigrafato il logo dello skatepark e le date di apertura e chiusura, un vero e proprio epitaffio per un luogo che è stato più di un luogo qualunque: un innesco per una scena e una miccia per generazioni.

A chiunque si vada a chiedere del Trinity, tutti vi diranno che «Era una bellissima storia». Per come ve l’abbiamo raccontata può sembrarvi triste, una di quelle storie che sollecitano la nostalgia, le cartoline souvenir,  memoriale ma qui abbiamo – per una volta – un happy ending – o quantomeno qualche cosa di simile. Perché una volta dismesso lo Skatepark, le vecchie rampe sono state acquistate dalla Skate Farm, una realtà che con il Trinity condivide gli stessi valori, alle porte di Alessandria: un centro multifunzionale e multiprogettuale che si occupa di svariate attività didattiche e sociali e che ha voluto tenere un po’ dello spirito d’una Bovisa incassata in una bowl.