Una delle tante storie, delle tante linee della storia, che a Milano hanno avuto un’importanza decisiva è quella del punk. Probabilmente lo sapete: ci sono stati e ci sono decine e decine di luoghi in città. E forse conoscete anche le complicità e le conflittualità che la scena ha avuto con i femminismi e il movimento queer. Bene, abbiamo parlato con Giulia Vallicelli del suo Compulsive Archive, che raccoglie fanze da più di vent’anni proprio su questi temi caldi.
Cos’è Compulsive Archive?
Compulsive è innanzitutto un archivio personale: conserva fanzine, dischi e materiali attinenti a quella che è stata la mia attività nella scena punk. Ho cominciato da adolescente, ovviamente, facendo circolare materiali cartacei informativi, di controcultura (usiamo un termine dei decenni precedenti), e avevo anche un’etichetta di dischi, Vida Loca Records, focalizzata su gruppi con donne. Quello che ho provato a fare a metà anni Novanta è stato creare un punto di riferimento italiano rispetto a queste intersezioni, tra femminismo e scena punk. Ho cominciato a distribuire e importare fanzine dall’estero, facendone anche di mie: sia la label che il resto erano su un catalogo postale. Internet all’epoca non era ancora uno spazio in cui comprare, ma un luogo per scambiare informazioni e condividere saperi.
Per esempio, confrontando i materiali si vede benissimo il passaggio dalla carta al digitale nei layout: nelle grafiche, nell’uso dei primissimi software di impaginazione che andavano sostituendosi al collage e alla scrittura a mano.
Gli anni tra i Novanta e i Duemila, che sono poi quelli su cui si focalizza l’archivio, sono anni di transizione. Importanti e non ancora digeriti: è storia del presente, ci sono temi caldi tornati all’ordine del giorno, che lo studio di questi materiali può aiutare a riattualizzare. È anche per questo che negli ultimi tre anni ho tenuto lectures in diverse accademie e ho aperto l’archivio a residenze con giovani zinesters, artisti e artiste emergenti, con cui abbiamo fatto consultazioni e ricerche intense. Notavo una certa simpatia verso chi scriveva fanzine, i loro coetanei di vent’anni fa.
Come si costruisce questo legame tra femminismo e scena punk?
Bisogna sottolineare che Compulsive non è l’archivio del punk, piuttosto uno dei possibili archivi di persona che possono generarsi. Essendo molto legato allo sviluppo della mia identità e degli interessi mantenuti negli anni, qui dentro ci sono documenti unici, in particolare su quello che negli anni Novanta era il movimento Riot Grrrl. Una corrente del punk nata durante la terza ondata del femminismo, che rivendicava una posizione e un ruolo all’interno di una scena punk, che non era sempre così accomodante verso le ragazze, anzi. Aveva spesso dei caratteri machisti, soprattutto nell’ambiente hardcore, che era molto diverso dal punk degli anni Settanta. Se guardi i documentari o sfogli libri fotografici di quegli anni, ti rendi subito conto che c’era un pubblico molto vario e una maniera abbastanza naive di vivere quell’ambiente. È dagli anni Ottanta che nel punk comincia un processo di omologazione. Trovi sempre più spesso immagini di ragazzi bianchi che hanno bisogno di sfogare la propria aggressività. Non fu un passaggio facile, te lo assicuro, perché l’ho vissuto personalmente, e a me il punk-hardcore piace.
Stai solleticando tutta la mia attenzione. Mi fai qualche nome di rivista che hai e consideri importante?
Eh, qui ce ne sono migliaia! Ma dovendo scegliere, tengo in particolare a una fanzine su cui sto lavorando in questo momento: Speed Demon, che è stata la prima e principale fanzine queer italiana, ed è di Milano. Pensa che due redattori abitano qua in zona. È un progetto che è andato avanti per parecchi anni, la prima uscita è del ‘92 e l’ultima tra il 2007 e il 2008. È stata anche abbastanza riconosciuta internazionalmente, e ora la sto digitalizzando e valorizzando.
Altre fanzine che conservo e che posso nominarti così su due piedi, sono Punto-G, Sister ‚zine, Whoooyeah!, Clit Rocket…. titoli indicativi di autrici molto giovani. In certi casi sono diventate artiste con un loro percorso e una loro notorietà. Alcune sono state molto contente della fondazione di quest’archivio, mentre altre si sono preoccupate di non rendere pubblico ciò avevano fatto nella propria adolescenza. È anche per questo che sto molto attenta alla privacy. Conoscendo molte di loro o rintracciandole, chiedo a ognuna cosa preferiscano venga esposto e cosa no: anche per questo, per ora, online non c’è nulla.
Alt! Ci dici qualcosa in più di Speed Demon, visto che siamo a Milano e il movimento queer sta sollevando istanze decisamente importanti?
Speed Demon ha raccontato una scena, quella QueerCore, che negli anni Novanta in italia non esisteva proprio. Ci trovavi dagli articoli con storie personali alle interviste ad artiste e artisti internazionali, facendo un lavoro di traduzione piuttosto importante rispetto a ciò che accadeva da altre parti del mondo. Fu Speed Demon infatti che organizzò le prime serate homo/dyke a S.Q.O.T.T. (che si pronuncia come si legge: “Scuotiti”), uno spazio occupato che si trovava dove ora c’è la Bocconi, poi proiezioni di film e cene sociali in Cox18… Se leggi alcuni articoli capisci la maniera di vivere la città in quegli anni per le persone LGBTQI+. Dal problema di essere beccati mentre si faceva battuage in Porta Venezia ai racconti di costume, molto autoironici, che fanno trasparire una sessualità che non era ancora normalizzata, ma abbastanza selvaggia, diciamo. Insomma non era così tranquillo essere “out” durante i Novanta, seppur Milano in questo senso fosse il posto migliore, almeno in Italia. Dentro alla fanzine ci sono riproduzioni dei vari volantini delle serate, e si vede come nel tempo la cultura queer si faccia conoscere, si diffonda e divenga parte integrante dei centri sociali. Fino agli anni Novanta erano decisamente a digiuno rispetto a un immaginario del genere. Non che non esistesse un ambito LGBTQI+ ma il punk era diviso da quella scena.
Ti faccio un esempio: nel 1996, quando le Bikini Kill sono venute in tour in Italia assieme alle Team Dresch, che erano musiciste eccezionali attive nella scena queer, si scatenarono diverse polemiche. La cantante delle Bikini Kill chiamò tutte le ragazze sotto al palco, e a molti non andò giù questo ribaltamento, insomma non erano cose prese alla leggera.
Com’è successo invece che hai aperto l’archivio proprio qui a NoLo?
Pur non essendo cresciuta a Milano, frequentavo già questa zona. Avevo amicizie tra il Trotter e Turro e andavo a comprare dischi da Riot Records, il negozio fondato da Corrado “Riot” Gioia che aveva anche un’etichetta omonima, all’inizio di viale Monza, che ha chiuso da tempo. Poi dal 2006 ho sempre avuto lavori qui nei dintorni, per cui sono quindici anni che mi muovo tra via Padova e viale Monza, e ne ho visto tutta la trasformazione. Ti confesso che continuo a chiamare questa zona Loreto, perché è un luogo carico di significati. Basta guardarsi intorno: i monumenti, le targhe e le corone ai partigiani. Al di là del mio legame con questa parte della città, mi piace che l’archivio sia qui, assieme ad altri progetti culturali che stanno nascendo. Tolte le attenzioni che sta ricevendo il quartiere negli ultimi anni, restano fondamentali le attività e i servizi a beneficio di tutti: librerie indipendenti, cinema, associazioni, spazi comunitari sempre più condivisi, salvaguardando quelli già esistenti.