È capitato di vederlo spillare birre a Terraforma come volontario, di incontrarlo in centropista a ballare al Dude, o di vederlo tra i partecipanti di un corso di bartender e, se siete in confidenza, Marco è in grado di imitare molto bene gli accenti italiani o i modi di parlare dei suoi amici. Nonostante suoni techno profonda Marco aka Wrong Assessment è una persona solare e allegra, curiosa e che ha sempre qualcosa di piacevole da raccontarti. L’entusiasmo che ha nel raccontare le cose è lo stesso che mette nel suo progetto musicale Wrong Assessment che, come dice lui, „è nato per errore“ ma che lo rispecchia profondamente, andando anche a compensare la sua professione diurna di fisioterapista.
Attivo nel campo musicale da circa 15 anni (ha iniziato da adolescente facendosi chiamare „The Selph“), oggi con questo nuovo alias e con la sua nuova label AWRY (dove ritorna l’errore, infatti significa sbagliato, inappropriato) è riuscito a portarsi a casa un tour in sud America, diverse date in Europa e ora è pronto per un tour in Asia. Il Dude gli ha commissionato una serata mensile e lui ha deciso di invitare tutte le persone della sua label. Per il prossimo appuntamento del primo di febbraio, con special guest Ruhig, verrà lanciata anche una compilation corredata da un libro fotografico con le immagini di Louis De Belle, Leonardo Scotti e le grafiche di Domenico Romeo. Non poteva esserci migliore occasione per scambiare due parole.
Zero - Iniziamo dalle presentazioni. Chi sei? Quando e dove sei nato? Cosa fai nella vita? Perché sei qui?
Wrong Assessment – Mi chiamo Marco, sono nato e cresciuto a Milano e mi divido tra la professione di fisioterapista e quella di artista di musica elettronica, due lavori che coincidono anche con due delle mie più grandi passioni.
Wrong Assessment quando nasce? Parlaci di questo progetto.
Dopo il progetto “The Selph”, con cui stampai una decina di EP dai 19 ai 23 anni, mi laureai in Fisioterapia all’Università degli Studi di Milano e andai per un anno a Berlino, ospitato a casa di un caro amico, il fotografo Louis De Belle, che viveva già lì da diversi mesi. Era il 2011 e le esperienze che feci quell’anno segnarono tutto ciò che avvenne per me dopo.
Conobbi una realtà totalmente compatibile con la mia personalità, dove si respirava un’aria di sperimentazione totale, sotto diverse forme, che mi aiutò a conoscere meglio me stesso. Tornai a Milano dopo circa un anno e cominciai la mia esperienza di fisioterapista in clinica: uno shock totale ma anche un percorso formativo essenziale per definire ciò che sono ora.
Ho sempre continuato a fare musica anche se ormai l’idea della carriera artistica era stata abbandonata. Ma due cari amici, Thomas e Francesco, fondarono la label Parachute e mi dissero che alcune di quelle tracce sarebbero state perfette per una release. C’era la musica ma non il nome, che venne fuori durante una chiacchierata con Thomas. Tra le varie idee spuntò “Wrong Assessment” e fu proprio lui a consigliarmi di chiamare il nuovo progetto così. Sembrava un’idea geniale che un fisioterapista che fa valutazioni (assessments) tutti i giorni definisca il suo progetto artistico “Valutazione Sbagliata”.
In quello stesso periodo conobbi Max_M, label manager di M_REC, una delle etichette più rispettate nel panorama techno internazionale e così decisi di mandargli una demo. Era il 2014. Da lì iniziò la relazione interpersonale e di condivisione artistica più importante della mia vita. Facevamo musica assieme quotidianamente, fondammo il progetto “Overall Severity” con il quale rilasciammo diversi EP sulla stessa M_REC o su Key, label del noto Freddy K. Purtroppo il destino ha allontanato Max dal mondo fisico troppo presto, mentre era all’apice del suo percorso. Dopo una menzione come Label of the Month su RA, il Berghain gli chiese di curare un’intera line up per quello che fu un leggendario M_REC showcase all’interno di una delle più iconiche strutture che questo genere abbia a livello mondiale.
Max era un tipo abbastanza criptico ma ricordo nitidamente la gioia nei suoi occhi, nella sua voce e nei suoi gesti quando arrivò la notizia. Sono contento che la scena lo consideri una leggenda e che, nonostante avesse ancora molto da dire, sia riuscito a raggiungere degli obiettivi così importanti, senza mai scoraggiarsi davanti agli ostacoli e mantenendo una coerenza che non ho mai incontrato in nessun altro durante questi anni. Una personalità che manca a chiunque abbia avuto la fortuna di incrociarlo nel proprio percorso di vita.
Com'è nata e cos'è AWRY? Raccontaci la tua label.
AWRY è un progetto nato durante il 2017. Sentivo la necessità di costruire una famiglia musicale. Avevo creato nel tempo una fitta rete di conoscenze nella scena e avevo un’idea generale di un sound che mi sarebbe piaciuto proporre attraverso un’etichetta discografica. In inglese la parola AWRY significa “lontano dal normale corso degli eventi, inaspettato, inappropriato, storto, sbagliato”. Oltre ad essere un sinonimo di “Wrong” e che le prime due lettere siano lo specchio delle iniziali di Wrong Assessment, il significato della parola racchiude un po’ ciò a cui sono sempre stato affascinato, non solo in ambito musicale ma anche in altre forme d’arte o nella quotidianità. Inoltre, se vogliamo, è un concetto intrinseco nella club culture: i party spesso diventano il luogo di condivisione delle proprie perversioni, dei propri vizi e della messa a nudo della propria intimità, di tutto ciò che la società e la pubblica opinione ritiene “sbagliato”.
Sia negli artisti con cui ho avuto la fortuna di collaborare finora che nelle fotografie del già citato Louis De Belle, curatore dell’estetica del progetto, c’è sempre qualcosa che sembra non tornare. Io e Louis abbiamo sempre lavorato assieme, ognuno interferendo nello spazio dell’altro in maniera costruttiva, cosa che ci riesce piuttosto bene essendo inseparabili amici da più di 15 anni.
E qui a NoLo come ti trovi?
Io vivo qua dal 2012, prima che esistesse il nome NoLo e mi son sempre trovato benissimo, anche se fino a non troppo tempo fa la zona era oggettivamente più hardcore di come è ora. Bisogna dire poi che la necessità di dare una forte identità ai quartieri a Milano è un fenomeno relativamente recente. C’erano le piazze, sicuramente, e alcuni quartieri come i Navigli o Lambrate per esempio, ma non si percepiva la necessità di ufficializzare la presenza di differenti zone. C’è sempre stata un’identità meno definita rispetto a tante altre città, dove il quartiere è quasi una piccola cittadina, un comune a sé stante. E Milano, forse, vuole prendere questa direzione. NoLo ormai identifica un’area ben circoscritta, che si riconosce abitandoci. E’ facile incontrare qualcuno pronto a raccontarti qualcosa di interessante, che sia un malavitoso o una sciura. Piazza Morbegno e Pasteur sono un po’ i centri, dove puoi incontrare dall’aspirante fashion designer asiatica al matto che urla per strada, in totale armonia. Ripeto, io mi son sempre trovato benissimo qua.
A differenze di molti, che si trasferiscono a Berlino (che diventa la loro seconda casa), per te questa città è stata un luogo di passaggio formativo. Ora sei stabile a Milano: oggi potrebbe essere una buona città per emergere a livello di musica elettronica? Cosa manca alla nostra città per essere come le altre capitali elettroniche?
Il motivo principale per cui rimango a Milano è legato al fatto che la mia attività di fisioterapista per pazienti privati mi permette di poter gestire liberamente gli appuntamenti e sarebbe quasi impossibile svolgerla in un’altra città. Qui è dove sono nato e cresciuto, quindi ho una cerchia di pazienti legati al mio giro di conoscenze. Sono fiero di rappresentare la mia città nella scena di cui faccio parte, attraverso il progetto AWRY, essendo una delle poche etichette attive in città.
In ogni caso il luogo in cui vivi non è essenziale per avere un output artistico solido, qualsiasi esso sia, credo invece sia importante guardarsi attorno e non fossilizzarsi su quello che la scena locale offre. Quello che noto di Milano (ma anche di altre città d’Italia) è che c’è poco supporto per chi ha un output artistico che esce fuori dai confini cittadini o statali. Si tende ad essere autoreferenziali, con una malsana competitività che sul lungo termine secondo me ha penalizzato moltissimo la creazione di una concreta scena milanese che si imponga nel resto del mondo. Gli artisti che si impegnano a fare bene vengono spesso screditati, o semplicemente non calcolati da chi ha la possibilità di offrire spazi di espressione. Di contro si tende a promuovere dj locali senza ambizione, spesso senza contenuti da offrire, come acts di supporto al dj internazionale strapagato di turno.
Tendiamo ad essere contenitori piuttosto che generatori di contenuti. Le realtà che si impegnano in un’altra direzione nel territorio sono davvero poche e a loro va tutta la mia stima e il mio supporto. La città è ricca di producer e dj che purtroppo sono costretti ad accettare condizioni pietose o a rimanere a casa: è un vero peccato non poter godere del duro lavoro che tantissimi/e ragazzi/e svolgono in privato, traducendo la loro visione di musica in un progetto artistico. Inoltre la chiusura dei locali così presto e il fatto che la gente generalmente vada a ballare così tardi limita di molto gli slot disponibili per potersi fare ascoltare in città e, credo, anche per far maturare la qualità delle orecchie presenti nei club. Mi auguro che la situazione maturi verso una consapevolezza maggiore delle possibilità assopite che serpeggiano intorno alle circonvallazioni della città.
Prima di essere Wrong Assessment, in molti, soprattutto a Milano, ti conoscono come Selph o ancora meglio Marco Selph. A che periodo della tua vita da dj e producer e appassionato di musica è legato questo nome?
Eravamo giovanissimi e pieni di sogni nel cassetto, oltre che con tutti i capelli in testa! A 16 anni ascoltavo principalmente punk, ska e reggae, suonavo la batteria in un gruppetto squallido e andavo a decine di concerti nei centri sociali, che erano estremamente attivi in città in quel periodo. Quindi puoi immaginarti quando ascoltai la prima volta Aphex Twin, Squarepusher, Amon Tobin, Mouse On Mars… Un fulmine a ciel sereno che mi fece immediatamente capire che avrei dovuto approfondire questa cosa. Ne diventai letteralmente dipendente.
Mi avvicinai al djing grazie a mio fratello che mi aiutò a trovare due cdj100s e il mio primo giradischi Technics. Più o meno parallelamente scoprii il mondo dei software e della possibilità di far musica elettronica DIY a casa. Fu il ragazzo dietro al progetto “il deboscio” (Davide Colombo, n.d.r.) a darmi una copia di Reason 2.0 con la quale cominciai a sperimentare in maniera empirica con un sequencer per la prima volta.
Poco dopo, assieme al mio compagno di avventure Louis De Belle (ai tempi era dj e si faceva chiamare Dibe), conobbi Tobia Coffa, il quale voleva organizzare una serie di eventi in città sotto il nome di “minima.mi”. Ci fece conoscere delle sonorità a noi nuove ed è stato una figura importante per il bagaglio di influenze che si possono percepire tuttora nella mia musica. Eravamo dei ragazzini ma non per questo poco motivati a fare bene e a imparare a fare questa cosa con estrema professionalità.
Tobia era chirurgico nella tecnica di mixaggio, io e Dibe non eravamo da meno e, avendo un sound complementare oltre che un’empatia mai assopita, ci capitava più spesso di condividere il booth in diversi locali di Milano, come i Magazzini Generali, il Black Hole, il Bitte, il Sottomarino Giallo, il Pulp… era tipo il 2006. Purtroppo, essendo così giovani e inesperti eravamo anche ingenui, così Tobia fu costretto chiudere il progetto perché venne truffato da alcuni infidi soggetti della notte. Un vero peccato considerando il successo che avevamo avuto con i pochi ma indimenticabili eventi che siamo riusciti a realizzare nonostante gli ostacoli. Come spesso accade, ad alcune porte chiuse sono corrisposte nuove esperienze e ora siamo qui a parlarne ricordando soprattutto le grasse risate che ci siamo fatti in quegli anni.
Hanno stravolto tutto, anche il mondo del clubbing duro e puro: tu che rapporto hai con i social?
Io sto spesso sui social devo dire, trovo che gli aspetti positivi siano molteplici, uno su tutti la possibilità di creare reti distanti e di poter far conoscere il tuo lavoro rapidamente ovunque.
Ovviamente l’abuso dei social, la follia narcisistica, la necessità di apparire a tutti i costi come non si è ma come si vorrebbe essere ha creato danni in alcuni casi irreversibili nella società. Non posso che essere dispiaciuto per i tanti scoppiati che popolano le varie piattaforme. Mi diverto molto a fare storie bizzarre su Instagram, utilizzando le emoticon per creare situazioni impossibili o inusuali. La possibilità che hai di presentarti non solo attraverso la necessaria formalità dei post è una cosa che mi fa divertire moltissimo. L’effimera natura delle stories permette di essere più punk rispetto ai post inerenti al lavoro che stai svolgendo.
Parlaci del tuo alter ego, nel senso di Marco come fisioterapista: è stato faticoso terminare gli studi? Marco fisioterapista e Wrong Assessment sono due entità a parte o ogni tanto si mischiano?
Nonostante l’enorme differenza sono sempre riuscito a bilanciare in qualche modo queste due vite. Probabilmente il fatto di essere bi-tripolare ha aiutato! Quando ero all’università non avevo immaginato la carriera musicale come una professione, semplicemente non riuscivo a non stare diverse ore a settimana a scoprire nuovi elementi del mondo della produzione o a non stare al passo con le uscite della musica che mi piaceva. Wrong Assessment è stato un errore di percorso e come tanti errori ha dato una svolta decisiva a definire ciò che sono ora.
È stato più difficile conciliare le due vite negli ultimi anni, dato che i booking, anche se moderatamente, stanno aumentando in maniera costante.
Marco e Wrong Assessment coincidono al 100% e, fortunatamente, la professione di fisioterapista non è affatto monotona e, come per l’arte, richiede una buona dose di tecnica ma necessita anche tanto estro, quindi la distanza che è sì reale tra i due campi è, secondo me, meno netta di quello che si possa credere.
Collezioni qualcosa?
Film estremi, di qualsiasi decade. Adoro collezionare copie fisiche di grandi classici dell’orrore oppure supportare direttamente fantastici film low budget con l’acquisto del DVD/Blu Ray.
Chi è il tuo eroe?
Sono molteplici le persone che han lasciato un segno indelebile sulla Terra e che stimo ad un livello viscerale. Per citarne alcuni in diversi settori: Mario Bava, Philip K. Dick, Richard Turner e Bill Hicks.