Michael Stipe ha sempre scattato fotografie. Lo fa da quando era ragazzino, ai concerti dei Ramones o delle Runaways, ma soprattutto dopo. Parallelamente alla musica, ma pure dentro alla musica. Storie di “mappe e leggende” e “nuotate notturne”, “Fiori del Guatemala” o pensieri sparsi che prendono le sembianze di “Feedback di campagna”: tutta la discografia dei R.E.M. è segnata da un’alchimia sonora inconfondibile, ma altrettanto dalla scrittura misteriosa, a tratti magica, e profondamente visiva di Stipe. Un artista che ha sempre parlato – a suo modo, spesso criptico – della politica e della società in cui viveva. Osservandola da vicino, e magari riportando quella potenza delle immagini dentro un videoclip – tra i più memorabili dei Novanta e oltre, da “Orange Crush” a “Imitation of Life”.
A sentir lui, la macchina fotografica è stata un’amica più presente e meno ingombrante della parola e del microfono. Non stupisce che tra foto di Kurt Cobain, corpi nudi maschili, frammenti di tour e di una vita intera, per il suo primo libro fotografico Micheal Stipe si sia trovato a selezionare fra qualcosa come 37.000 scatti, con 35 prescelti finiti in “Volume I”, riflessione personale sull’omosessualità edito nel 2018 dall’italianissima Damiani Editore. Sempre nel solco del triangolo tra immagine, suono e società contemporanea, arriva (prima in Italia e in autunno all’estero) “Our Interference Times: A Visual Record”: una raccolta di immagini dove l’autore, insieme allo scrittore e artista Douglas Coupland, si interroga su come la cultura analogica, che rappresenta il nostro passato, interagisca con quella digitale, il nostro presente e futuro. Stasera preparatevi a incontrare un artista incredibilmente umano e visionario, ai limiti dello sciamanico. Ma non chiedetegli di una reunion dei R.E.M. (ché tanto la risposta è NO).
Written by Chiara Colli