Quando andavo a scuola odiavo le poesie di Pascoli. Odiavo il “fanciullino”, l’utilizzo delle sinestesie e quella visione della natura un po’ naif, idealizzata e rassicurante.
I primi secondi di Architecton iniziano con una frase che appare lentamente sullo schermo: “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico”. Per la prima volta ho compreso davvero un verso del buon vecchio Pascoli, quell’apparente paradosso tra il presente odierno e un passato eterno. È lo stesso paradosso che cerca di raccontare Kossakovsky, senza spiegartelo, senza dirtelo. Lascia che siano i paesaggi, le strutture e le macerie a parlare. Ciò che emerge è un canto corale, una sinfonia di voci diverse unite da un comune desiderio: costruire un futuro più giusto e rispettoso dei ritmi naturali.
E se ci fermassimo un attimo? Questo futuro più giusto e naturale è una meta condivisa? Oppure è diventato ormai un argomento che sfugge tra i feed dei social, qualcosa di cui si parla solo quando fa scalpore, quando non possiamo farne a meno?
A giudicare dai dati, sembra che la crisi climatica interessi sempre meno, anche ai più giovani. Uno studio del 2023 condotto da Ipsos ha rilevato come solo il 38% della Gen Z consideri il cambiamento climatico una delle principali priorità globali. Questo dato segnala un distacco crescente, una disconnessione dalle questioni ambientali, in parte perché il tema viene spesso raccontato in modo catastrofico, senza lasciare spazio alla speranza o all’azione concreta.
Sì, insomma, è che la narrazione intorno al cambiamento climatico tende a colpevolizzare il singolo individuo.
Ti chiedono di fare la raccolta differenziata, di evitare le cannucce di plastica e ridurre il consumo di carne. E tutto ciò ha un valore, ma c’è una narrazione parallela che viene spesso ignorata: quella delle grandi aziende e dei brand che continuano a inquinare e sfruttare risorse senza essere chiamati realmente a rispondere delle proprie azioni. Le responsabilità collettive vengono scaricate su di noi, sui consumatori, e questo crea una frattura tra l’azione individuale e quella sistemica.
Ve lo ricordate l’uragano Milton? È successo solo pochi giorni fa ma potrebbe essere già svanito dal vostro feed.
Molti creator su TikTok, come Alessandro Della Giusta, hanno scelto di raccontare questo evento climatico estremo attraverso video sensazionalistici, puntando tutto sull’eccezionalità del fenomeno. Il problema è che questi racconti, spesso influenzati dalla necessità di fare views, contribuiscono a una narrazione del cambiamento climatico come qualcosa di distante e spettacolare, un cataclisma lontano che possiamo osservare comodamente dallo schermo del nostro smartphone. Ma il cambiamento climatico non è intrattenimento. È qui, adesso, tra noi, e ci sta già trasformando. Lo vediamo ogni giorno, dalle estati sempre più torride agli eventi atmosferici imprevedibili che devastano intere comunità.
Eppure, anche il racconto del cambiamento climatico sui social riflette una dinamica più profonda e strutturale: quella del narcisismo patologico che domina la nostra società. In una cultura che premia l’azione individuale, la performance narcisistica e la visibilità sui social, l’attivismo perde il suo radicamento territoriale e comunitario. Deve radicarsi in una comunità di cittadini consapevoli, che agiscono insieme per preservare il territorio e richiedere interventi concreti da parte delle istituzioni e delle grandi aziende.
La sostenibilità deve essere un diritto per tutti, e la lotta di classe deve continuare a essere il faro che guida questa battaglia.
E questo è il vero messaggio che Architecton riesce a trasmettere senza bisogno di proclami. Le immagini del documentario ci mostrano la distruzione di edifici brutti, costruiti in fretta e male, spesso abitati dalle persone più povere, quelle che subiscono maggiormente le conseguenze del degrado ambientale.
Questo aspetto ci riporta a un tema fondamentale: la lotta contro il cambiamento climatico non può essere una questione esclusivamente per ricchi. Non può trattarsi solo di scegliere abitazioni ecologiche o automobili elettriche. La sostenibilità deve essere un diritto per tutti, e la lotta di classe deve continuare a essere il faro che guida questa battaglia, affinché le persone non siano lasciate sole a combattere per un ambiente migliore.
Nell’ultima parte del film, Michele De Lucchi costruisce un cerchio di pietre nel suo giardino, un simbolo di eternità e purezza, accessibile solo al cane della famiglia. Questo gesto simbolico, quasi mistico, ci ricorda che l’architettura non è solo un atto funzionale, ma qualcosa che connette l’essere umano al suo ambiente, al suo passato e al suo futuro. Ma la costruzione, per essere sostenibile, deve rispecchiare questi valori anche nelle abitazioni delle persone comuni, non solo in opere d’arte architettoniche. Deve essere bella, significativa, e soprattutto accessibile a tutti.
Alla fine di questo percorso visivo e riflessivo, la domanda è: come possiamo ricollegarci realmente alla Terra? Non possiamo permetterci di continuare a guardare il cambiamento climatico come qualcosa che accade altrove. Il primo passo per affrontare la crisi climatica è riconnetterci ai luoghi che abitiamo e alle comunità a cui apparteniamo. Solo così possiamo sperare di costruire, insieme, un futuro migliore.
Questi temi attraversano in modo potente tutto il lavoro di regista di Victor Kossakovsky, che lo riporta al pubblico attraverso documentari intensi che si raccontano con immagini importanti. Per questo per approfondire la riflessione non perdetevi l’occasione di ascoltare il suo talk al Cinema Godard, a seguito della proiezione del film Architecton, il 26 novembre 2024 dalle ore 20.
Written by Sofia Bettio