Marcel Proust cercò di viaggiare nel tempo, di ritrovarlo attraverso la memoria e di ricreare costantemente la vita attraverso il ricordo, volontario o involontario che sia. Questa, in maniera molto grossolana, era per lui l’essenza del tutto. Difficilmente avrebbe immaginato che sarebbe diventato un simbolo della gastronomia – galeotto fu quel dolce inzuppato nel tè in “Dalla parte di Swann” -, come difficilmente avrebbe immaginato che a lui la toponomastica romana avrebbe riservato un piccolo vicolo tra la Colombo e via di Tor Pagnotta – è comunque in buona compagnia di Camus e Gide. D’altra parte, a leggere bene le sue pagine, non dovrebbe stupire l’importanza che ha il ricordo di un sapore familiare oggi, epoca in cui si macinano quotidianamente migliaia di contenuti e i ricordi sono un’ancora di stabilità. Madeleine piacerà a chi ricorda gli arredi nouveau, a chi ricorda il Caffè Propaganda – la brigata è quella – a chi ricorda la cucina dello chef Riccardo Di Giacinto, la pasticceria di Dario Nuti o i cocktail di Patrick Pistolesi, che hanno firmato le consulenze di partenza. Il bancone del bar si trova in fondo. Subito all’ingresso, sulla sinistra, la cucina a (semi) vista, poi la sala con i coperti, poi ancora gli sgabelli, le bottiglie e il boston. Sempre validi i grandi classici – Sazerac, Vieux Carré, Boulevardier – ognuno con il suo personale twist e da provare tutte le ricette della casa. Da segnalare anche la selezioni di rum, tequila e, soprattutto, gin. Aperto da colazione a cena, con il pomeriggio inevitabilmente dedicato alla degustazione di tè e delle madeleine del maître pâtissier.
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Madeleine
ZERO here: mangia dolci e beve cocktail proustianamente.
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