Quante volte siamo partiti DA ZERO?
Quante volte eravamo lì, abbiamo visto cambiare tutto ma ce ne siamo resi conto solo dopo, come se fosse successo per magia? Qual è il segreto?
Zero riparte dalla città, in un viaggio avanti e indietro sulla linea del tempo. Dagli ultimi 30 anni del passato, da cui sembriamo lontanissimi e da cui prendere il meglio. Dal presente in cui è impossibile andare avanti, è impossibile tornare indietro, in cui siamo immobili e soffriamo. Dal futuro che pretende immaginazione.
All’inizio del 2020, quando ancora l’emergenza Covid era un’eco lontana proveniente dalla Cina e gli scenari virologici tra il catastrofico e il fantascientifico non erano altro che una sottocategoria cinematografica, The Guardian ha lanciato un articolo che ha fatto il giro del web – capitolino in prima istanza, poi anche italiano – dove ha elencato i suoi dieci quartieri “cool” in Europa – “10 of the coolest neighbourhood in Europe”, il titolo. Nello stupore generale, tra questi dieci quartieri non compariva nessuna zona della sempre più mitteleuropea Milano, bensì Ostiense. È vero, negli ultimi cinque anni questa è stata una delle zone di Roma caratterizzata da più aperture, soprattutto – anzi, esclusivamente – per quel che riguarda il comparto food & beverage, spinte da un grande catalizzatore qual è stata l’enorme struttura del vecchio Air Terminal (Mondiali di Italia 90) rimessa in sesto da Eataly e dal suo patron Oscar Farinetti. Il resto dell’appeal deriva molto dalle tante opere di arte urbana disseminate per le strade del quartiere, a partire da quella meravigliosa realizzata da Blu sui muri del Porto Fluviale Occupato, passando per il murale ecologico di Iena Cruz, fino ai tanti preziosi lasciti delle prime edizioni della rassegna Outdoor.
Questo attestato di “coolness”, però, meritava di essere assegnato – e ancora più legittimamente – già anni fa, quando lungo l’asse di Via Ostiense si sono sviluppate una quantità inimmaginabile di realtà che hanno segnato la seconda metà dei 90 e i primissimi anni 2000. Due chilometri in linea d’aria che hanno fatto da supporto a suoni e “sovversioni” culturali di ogni tipo. A metà anni 90 la techno aveva ribaltato il tavolo da gioco: prima l’esplosione e la nascita di un movimento – e di un suono – tutto romano, fatto di produttori, dj, etichette, negozi di dischi, studi e party (rave); poi l’assimilazione di questi linguaggi da parte delle realtà occupate, che a Roma stavano crescendo in numero di anno in anno e avevano iniziato una battaglia molto forte per il proprio riconoscimento, tutta incentrata attorno alla famosa delibera comunale n. 26 del 1995 firmata da Rutelli. Dopo queste prime due fasi, all’incirca nel ’96, se ne aprì una terza, dove lo spazio assumeva le forme del club, con vocazione sempre underground e alternativa, ma non sempre inserito all’interno di un’idea d’autogestione. È qui che ci si inizia a muovere non più per blocchi compatti e numerosi, ma si moltiplicano e contaminano esperienze e narrazioni, ognuna raccolta in un microcosmo che si nasconde dietro ogni singola porta d’ingresso.
Volendo piazzare un’ipotetica prima bandierina, si potrebbe iniziare da quella piantata dal Goa in Via Libetta nel 1996, all’interno di un vecchio complesso produttivo fatto di piccole fabbriche e officine:
“Il Goa è nato il 29 ottobre del 1996 con altri tre cari amici: Danilo Proietti, Fabrizio Caccetta e Pierluigi di Filippo. In quel periodo gestivamo serate all’Akab, che aveva solo il primo piano, Caffè Latino, sempre a Testaccio, e da poco avevamo trasformato l’Horus Club da sala biliardi in club per concerti, per cui eravamo molto impegnati. Pierlugi, tramite un amico, ci dice che c’è un ex officina di motorini nascosta dietro i Mercati Generali di Ostiense, che era stata trasformata in un locale, ma non aveva funzionato e il proprietario delle mura cercava di rivenderla. In un primo momento il posto mi aveva spaventato: era tutto abbandonato, non ci stava nulla, da poco aveva anche chiuso il primo Classico – uno spazio solo per concerti. D’altra parte mi aveva colpito proprio perché era così isolato e molto dark. Nel 1996 eravamo in piena esplosione di suoni acid jazz, trip hop, jungle e dub<. […] Non c’era uno stile unico, ma tanti suoni diversi che si univano e veramente si facevano dei viaggi musicali unici, dal rare groove al trip hop fino ad arrivare alla techno, oppure delle vere e proprie jam con i musicisti che ci passavano a trovare. I dj ospiti erano Howie B, Tom Middleton, Gilles Peterson, James Lavelle, Kruder & Dorfmeister, Claudio Coccoluto, Francesco Farfa e tanti altri ancora. Sicuramente c’era molta ricerca da parte di tutti questi artisti: si respirava l’aria della club culture. Dal 1996, in pochi anni, è nato Libetta Village e abbiamo anche fondato un consorzio che ci rappresenta con il nostro municipio e con il comitato di quartiere”. *
Nel 1996 eravamo in piena esplosione di suoni acid jazz, trip hop, jungle e dub. […] Non c’era uno stile unico, ma tanti suoni diversi che si univano e veramente si facevano dei viaggi musicali unici, dal rare groove al trip hop fino ad arrivare alla techno, oppure delle vere e proprie jam con i musicisti che ci passavano a trovare
Qualche centinaio di metri più in là, a ridosso di quella che poi sarebbe diventata l’arcinota Via del Porto Fluiviale, Lory D ricominciava a riaffacciarsi sulla scena capitolina dopo qualche anno di pausa, con una residenza agli Ex Magazzini, un club da poche centinaia di persone, agli antipodi delle folle oceaniche dei rave che lo avevano visto primo protagonista. Sempre nello stesso locale prenderanno vita all’incirca nel ’98 le serate Hot 4 Tandori, caratterizzate da un approccio global al dancefloor che è rimasto sottotraccia parecchi anni, per poi (ri)esplodere solo ultimamente.
Proseguendo ancora lungo via Ostiense si arriva a un altro distretto, assolutamente lisergico per natura e contenuti ospitati: Testaccio. La guida del Guardian oggi lo cita per il solo Cimitero Acattolico e in tanti lo continuano a frequentare solo per il tour gastronomico che offre il nuovo mercato, ma, sempre nel periodo in cui i due millenni si sono dati il testimone, si è rivelato essere un laboratorio permanente di eventi, organizzazioni e nuove sonorità. Fondamentale è stato l’Ex Bocciodromo, una delle tante reincarnazioni post-lavorative degli enormi spazi testaccini destinate alla macellazione carni. Qui, ad esempio, spesso e volentieri si è affacciata la famiglia Final Frontier, che già aveva ripreso le attività tra IT (pieno centro, Via degli Avignones) e Velvet e aveva un gancio radiofonico sull’FM di Radio Città Futura con la trasmissione “Frequency”. E, a dirla tutta, era stato proprio il movimento techno romano della primissima ora a fare da apripista in zona con l’Atom, piccolo club nato intorno al 1993 e tutto dedicato a quelle sonorità.
Ma l’esperienza dell’Ex Bocciodromo non sarebbe esistita senza quella del collettivo Blue Cheese, che lo prese e rimise in sesto da cima a fondo, e che successivamente avrà la sua sede più iconica in un’ex falegnameria di Via Caio Cestio, spazio antistante proprio all’Acattolico: una vecchia officina dominata da un bulldozer – sì, esatto, un bulldozer – da cui partivano le bassline e con una dimensione video in cui la creatività dei vj si fondeva nell’attivismo informatico, andando in profondità fino ai codici e alla programmazione – così come accadeva in maniera ancora più marcata nel glorioso Linux Club situato anch’esso in zona. Un’eredità ancora attuale che vive nei progetti FlxER, Live Performers Meeting, Live Cinema Festival e Fotonica. L’Ex Bocciodromo ha plasmato anche il progetto MinimalRome, vero e proprio canale cittadino di connessione con la scuola elettronica olandese, che poi si sposterà dall’altro lato della strada, al Metaverso, altro club che ne ha viste di tutto i colori e dove ha avuto i natali una tessera fondamentale del puzzle queer romano: Phag Off, degenero weirdo e trasversale di suoni e corpi, discendente dalle esperienza dei rave e delle riviste “Torazine” e “Catastrophe” e il cui spirito avrà risonanza a lungo nella scena di Roma Est dei secondi 2000.
Una vecchia officina dominata da un bulldozer – sì, esatto, un bulldozer – da cui partivano le bassline e con una dimensione video in cui la creatività dei vj si fondeva nell’attivisimo informatico, andando in profondità fino ai codici e alla programmazione
I cunicoli del Monte dei Cocci vedono nascere nel 2002 anche L-Ektrica, all’Akab, non solo ponte tra il modo del clubbing elettronico e quello “indie” di nuova generazione, ma anche decisivo per “sdoganare” le deambulazioni notturne alla piena infrasettimanalità (il martedì!) e ora erede cittadino del testimone “festival” con il progetto Spring Attitude. Con in mano un ipotetico biglietto di andata e ritorno, passato il 2005 si ripercorrono all’indietro i due chilometri di via Ostiense e si ritorna nel distretto di Libetta. Prima tappa al Sinister Noise (Porto Fluviale), che con l’elettronica non c’entra niente, ma che ha avuto una sua profonda importanza per il recupero del live nella sua dimensione fisica, primitiva, tale da rendere un concerto ascrivibile al mondo delle arti performative; seconda tappa all’ombra di una ciminiera sbilenca in Via degli Argonauti, lì dove nasce il Rashomon Club, che rilancia in qualche modo l’idea primigenia di rave come dimensione senza barriere – a partire dal pubblico – dilatando gli orari e annullando i confini tra giorno e notte – Loaded e Tune! le prime serate più significative.
* Dall’intervista a Giancarlino