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Andrea Fofi presenta la prima edizione del Roma Bar Show

La fulminea rivoluzione che ha portato Roma al centro della miscelazione nazionale sta per toccare il suo apice con il primo grande bar show in Italia. Ne abbiamo parlato in questa intervista con uno dei fondatori.

Written by Nicola Gerundino il 29 August 2019
Aggiornato il 10 September 2019

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Andare in giro per l’Europa rincorrendo i festival musicali è ormai un’attività di routine. Vi siete abituati anche a seguire il design – vedi il Salone del Mobile di Milano – o la moda – non solo le varie settimane con le sfilate, ma anche fiere come il Bread & Butter – per tutto il corollario di eventi che portano con sé. La prossima tappa potrebbero essere gli show dedicati al mondo del beverage, che già per gli addetti ai lavori sono appuntamenti fissi e imprescindibili. Abituatevi quindi ad avere familiarità con l’Athens Bar Show, Imbibe a Londra, con il Bar Convent Berlin e, da settembre 2019, anche con il Roma Bar Show. Ci siamo fatti raccontare tutto sulla prima edizione di questo evento direttamente da uno dei fondatori: Andrea Fofi – già dietro le quinte del Roma Whisky Festival. Appuntamento il 23 e 24 settembre al Palazzo dei Congressi.

 

Iniziamo con due domande, solo in apparenza facili. La prima è questa: che cos'è un bar show?

È un evento nel quale si incontrano offerta e domanda di uno dei comparti più importanti del consumo fuori casa e dell’ospitalità: il beverage, che ormai è un ingrediente integrante del più vasto panorama food, con il quale si coniuga in modalità sempre diverse e nuove. Ci sono operatori del settore, consumatori, produttori e distributori, che si confrontano su tematiche che esulano anche dal puro consumo come tradizione, sostenibilità, cultura: tutti valori che la spirit industry ha fatto propri e con i quali veicola nuova consapevolezza ed esperienze di consumo. A differenza delle prime forme di bar show in cui semplicemente si comparavano tra loro i vari prodotti.

La seconda è: che cos'è il Roma Bar Show?

Una piattaforma globale e onnicomprensiva – la prima realizzata in Italia – grazie alla quale la grande tradizione liquoristica nazionale, tra le più importanti al mondo, avrà finalmente una palcoscenico dove presentarsi in una nuova veste a operatori e consumatori. Questi ultimi saranno i veri protagonisti, coinvolti in percorsi sensoriali ed esperienziali alla scoperta di una cultura che affonda le radici in tradizioni e valori che appartengono al territorio e alla sua storia. I grandi liquori e distillati hanno storie simili a quelle dei grandi vini e meritano di essere raccontate e riconosciute. Inoltre, il RBS coinvolgerà tutta la città con eventi “fuori salone”, con appuntamenti nei quali si fonderanno beverage di qualità, musica, socialità e divertimento: storie di uomini, bar, liquori e spiriti. Questo in corso, inoltre, è l’anno del Negroni, ambasciatore italiano della cocktail culture nel mondo, e tutta la spirit industry ha deciso di celebrarlo partecipando al RBS: un grande bar che diventerà un momento di “ricreazione sociale” per adulti.

Dal tuo punto di vista, un bar show deve avvicinarsi più a una fiera o a un festival?

La risposta potrà sembrare scontata, ma mi viene naturale pensare che sia un insieme delle due cose. La stessa parola “show” in qualche modo ci riporta subito al concetto di festival, a un momento di intrattenimento, anche un po’ ludico se vogliamo. In fin dei conti, quello che si vuole far vivere ai visitatori, siano essi operatori del settore o semplici amatori o curiosi, è un’esperienza, intesa nella sua massima accezione. Ovviamente non manca l’aspetto prettamente “fieristico”, dove aziende e operatori si ritrovano con l’obiettivo di parlare di prodotti, testarli e fare business.

Quello dei bar show è un fenomeno che negli ultimi anni ha preso decisamente piede in Europa, a partire dalle capitali dei vari Stati. Tu a quali hai partecipato?

La mia prima esperienza nel mondo dei trade show legati a questo settore risale a quasi un decennio fa. Pur non trattandosi di un vero e proprio bar show, ritengo che il Whisky Live di Parigi sia in assoluto una delle manifestazioni – o festival – di maggior successo e, soprattutto, di qualità, che negli anni è stata sempre capace di evolversi e migliorarsi. Poi ho avuto il piacere di visitare il Bar Convent di Berlino, forse oggi il più importante bar show al mondo, e ancora il Bar Show di Atene, Imbibe a Londra etc. Tutte manifestazioni caratterizzate da una forte identità, dalle quali ho preso sempre spunto. Indubbiamente ogni tappa è stata un importante arricchimento professionale.

Cos'hai pensato la prima volta che sei entrato in un bar show?

Come dicevo, la mia prima esperienze con un bar show “vero e proprio” è stata al Bar Convent di Berlino, forse oggi l’evento di settore più importante e atteso al mondo – e che, tra l’altro, si è allargato oltre oceano con appuntamenti a Brooklyn e in Brasile. Stiamo dunque parlando di una macchina incredibile che racchiude in una tre giorni oltre 400 aziende espositrici e circa 15.000 visitatori internazionali. Tornando alla domanda: cosa ho pensato al primo impatto? Imponente, a partire dalla location, passando per stand e brand presenti. Spazi curati e personalizzati nei minimi dettagli da ciascuna azienda – chi più e chi meno, naturalmente, ma questo dipende dai budget e dalla fantasia creativa delle agenzie che ci sono alle spalle -, aree tematiche e momenti di entertainment per il pubblico a mio avviso incredibili. Faccio un esempio con l’area dedicata a Hendrick’S Gin che proponeva un viaggio esperienziale al suo interno e una macchina che preparava meccanicamente il Negroni.

Parliamo in maniera più approfondita del RBS, iniziando dai compagni di avventura. Chi sono? Quando e come avete deciso di dar vita a questo evento? 

I miei compagni me li sono scelti uno a uno, consapevole del fatto che metterli tutti insieme non sarebbe stato semplice – tant’è che ancora oggi c’è chi non ci crede, ma che ha pagato e sta continuando a pagare scommesse! Ovviamente l’organizzazione di una manifestazione del genere richiedeva il coinvolgimento di persone che fossero in questo settore da molti più anni di me, ma che fossero soprattutto internazionalmente riconosciuti e fortemente credibili, ognuno a proprio modo e per propri meriti. Questo credo che sia stato il nostro punto di forza quando ci siamo rivolti e presentati ai vari brand. Ovviamente non possiamo non citarli a partire dal “Presidentissimo” Fabio Bacchi, forse uno dei professionisti più completi che io conosca, con il quale ho iniziato a lavorare da qualche anno, avendo avuto da lui sempre risposte importanti – una vera sicurezza. Dopo vengono i ragazzi del Jerry Thomas di Roma, che naturalmente non necessitano di presentazioni. Ho un rapporto ottimo con tutti e quattro, ma non nego di avere un certo feeling sul modo di pensare e vedere certe cose con Leonardo Leuci che, pur essendo sempre in giro per il mondo, paradossalmente è quello che negli ultimi due anni ho visto di più. Ovviamente Alessandro, Antonio e Roberto sono insieme a Leo l’anima dell’immenso successo del progetto Jerry Thomas, come lo sono e lo saranno – ce lo auguriamo – per il successo del RBS. Infine Giuseppe Gallo, anche lui un nome illustre nel settore, soprattutto internazionale, che conoscevo meno, ma che, vivendo a Londra, ho avuto modo di frequentare di più scoprendone le grandi doti imprenditoriali e le tante conoscenze nel settore. Insomma, una squadra bella assortita che, mese dopo mese, si è arricchita di tanti collaboratori oggi tutti indispensabili.

C'è stato un momento in cui avete capito che il RBS si sarebbe fatto veramente?

Non saprei dire se ci sia stato o meno un momento decisivo, ma i sentori sono stati diversi lungo tutto il brevissimo arco di tempo in cui ci siamo messi all’opera. Certamente avere il sostegno delle aziende sin dall’inizio – seppur nello scetticismo generale, visto soprattutto il poco tempo a disposizione, il calendario nazionale e internazionale già ricco di appuntamenti e gran parte dei budget annuali già allocati – ci ha confortati e ci ha spinto a lavorare al massimo come stiamo continuando a fare senza sosta. Le prime adesioni ci hanno poi ulteriormente caricato, ma quello che ha trasformato il possibile in reale è stato l’ambiente, da Nord a Sud: tutti uniti nell’obiettivo comune di realizzare un grande evento per tutti.

La maggiore difficoltà che avete avuto fin'ora e invece l'aspetto che più vi ha sorpreso in positivo?

Inizio rispondendo alla seconda parte della domanda, perché è giusto plaudere a tutte le aziende che hanno aderito e dunque hanno deciso di credere nel RBS. In fin dei conti sono loro le vere protagoniste di questo meraviglioso mondo in cui anche noi, a nostro modo, operiamo. Ognuna, piccola o grande che sia, storica, famosa, iconica o semplice start-up, rappresenta questa industry e va rispettata, celebrata e messa nelle condizioni di essere vissuta. Ecco, noi vogliamo, senza presunzione, essere lo strumento attraverso il quale le aziende possono comunicare verso l’esterno quello che sono, rappresentano e offrono con i loro prodotti, la loro storia, la loro tradizione e, perché no, la loro voglia di innovazione. Passando alla prima parte della domanda, posso senz’altro rispondere che, almeno a oggi, la maggiore difficoltà l’abbiamo avuta nel tamponare le richieste: sono arrivate di continuo da molte, molte aziende. Da una parte siamo dispiaciuti per non poter accogliere tutti quelli che volevano esserci, ma dall’altra siamo molto soddisfatti perché siamo riusciti a riempire uno spazio di oltre 6.000 metri quadri nei tre piani. Se tutto va bene il prossimo anno traslochiamo: magari alla Nuvola!

Parlando dell'evento in sé: cosa vedremo al RBS?

Ne vedrete delle belle, ma sopratutto vedrete tante cose, tanti momenti e iniziative promosse sia da noi che dalle aziende. Il RBS vuole essere un’ “experience”: è questo che abbiamo chiesto alle aziende quando gli abbiamo presentato il progetto. Ci saranno delle aree tematiche – Mexico Village e Gin House – un grande spazio dedicato alla liquoristica e alla distillazione italiana, e ancora una terrazza dove vivere l’aperitivo al tramonto, così come tanti momenti – seminari, masterclass, tasting, academy – con ospiti internazionali a condurli. Sono previste competition, ospiteremo la Classica by Martini che vedrà l’arrivo in bicicletta a Roma di oltre 50 bartender da tutto il mondo e tanto altro ancora.

 

Facciamo una sorta di gioco: cosa consiglieresti di non perdere assolutamente a un addetto ai lavori? E cosa invece a un semplice visitatore che verrà al RBS per curiosità?

Agli addetti ai lavori sicuramente l’offerta proposta che, in termini di prodotti, sarà veramente vasta e diversificata, dagli spiriti ai soft drink, dalla birra al caffè, dal ghiaccio all’attrezzatura. In poche parole, non devono perdere l’opportunità di esserci e confrontarsi con gli addetti del settore che saranno lì per loro. Se volessi trovare un altro motivo, mi verrebbe da dire i Main Seminars: un auditorium con 800 posti a sedere, totalmente accessibile ai visitatori sino all’ultima poltrona, con un calendario ricco di temi affrontati e di speaker di fama internazionale, non credo lo abbia nessun bar show al mondo. Il RBS deve essere un incontro con persone con cui si lavora tutto l’anno, ma quasi sempre di corsa, spesso senza nemmeno riuscirsi a incrociare nella stessa città. Vogliamo essere un luogo dove fare il punto su quello che è trend oggi o lo sarà presto. Ai visitatori curiosi o semplici amatori e bevitori (responsabili) consiglio di viversi l’atmosfera della manifestazione, tanto in fiera quanto in città. Non vogliamo essere un classico appuntamento trade, una fiera unicamente per “quelli del settore”, ma qualcosa di più sociale, di più trasversale e popolare.

Quale sarà, o quale dovrebbe essere dal tuo punto di vista, la specificità del RBS rispetto agli altri bar show internazionali?

Trattandosi di una prima edizione, non è semplice rispondere. Se da una parte vogliamo garantire gli stessi standard di qualità in termini di contenuti e servizi offerti altrove – anche se sappiamo già che la strada sarà lunga e solo a fine evento potremo tirare le somme e capire tutti gli errori – dall’altra abbiamo tanto da dire, soprattutto tramite le storie che le aziende partecipanti avranno da raccontare. Quello che non vogliamo essere è un evento che, seppur trade, si trasformi in una fiera mercato dove si va lì per assaggiare, bere e via. Vogliamo lasciare tanto nelle aziende quanto nei visitatori un qualcosa da raccontare, vogliamo essere un’esperienza da ricordare e da segnare sul calendario ogni anno per quello che è stato in grado di lasciare. Magari non ci riusciremo subito, ma l’intento è quello.

Il RBS non si limiterà solo alle mura del Palazzo dei Congressi, ma si riverserà in città con tutta una serie di eventi. Ci puoi parlare di questa parte della manifestazione? 

Parliamo del Sideshow, del “fuori salone” o come lo vogliamo chiamare. Si tratta di una sezione fondamentale del RBS, fortemente voluta da noi organizzatori e soprattutto dalla comunità del bartending romano. Ricordo ancora il giorno in cui riunimmo per la prima volta una quindicina di loro per presentargli il progetto: partì un applauso alla prima slide che mostrava il logo e dunque svelava l’oggetto di quell’incontro! Il RBS è nato per essere inclusivo, soprattutto nei confronti di locali e bartender. Deve essere soprattutto loro perché loro sono i protagonisti di questo mondo: durante tutto l’anno dietro al proprio bancone o in giro per il mondo a raccontare le loro esperienze e conoscenze. Con questo evento abbiamo voluto dargli un palcoscenico, una piattaforma dove potersi incontrare per scambiare idee, progetti, tendenze: al pari di quanto accade nelle altre capitali europee, ma con la differenza che stavolta siamo noi a ospitare e noi nell’ospitalità siamo i numeri uno. Dunque tanti eventi, oltre 30/40 in tre giorni, sparsi per la città dove brand, locali e guest internazionali regaleranno emozioni e tanto buon bere.

In molti si aspettavano che un evento del genere venisse realizzato a Milano, cosa ha permesso a Roma di fare questo balzo in avanti?

Milano è una città che in questo momento sta calamitando molta attenzione. Con grande merito aggiungerei. Tuttavia Roma esercita un appeal globale che tutte le Capitali del mondo invidiano. Tutti i bar show del mondo sono nati nelle capitali e Roma non poteva essere da meno. La nuova cocktail mania italiana è partita da Roma, il primo “american bar” nacque a Roma, la città è strategica per collegamenti e interesse culturale. Roma meritava questa occasione di diritto.

Nei prossimi anni assisteremo a una collaborazione tra la piazza romana e quella di Milano o sono destinate a competere?

Noi abbiamo immaginato il RBS come una operazione sistemica che coinvolga tutta l’Italia del bar, che in Milano ha un’avanguardia importante, per cui una collaborazione la vedrete già quest’anno. Noi abbiamo chiamato Milano e la sua comunità di bartender ha generosamente risposto, così come Napoli. Il bartending delle tre principali città italiane sarà presente con spazi a loro dedicati, dai quali veicolare i loro messaggi e visioni del settore. Fare sistema, coinvolgere tutto e tutti abbandonando presunti campanilismi locali è stato il nostro primo obiettivo: credo che sia stato raggiunto in pieno e che, in futuro, questa premessa all’origine del RBS sia destinata a rafforzarsi sempre di più.

Spesso le cose dall'esterno si vedono con un occhio diverso e migliore. Tu che hai più di un piede a Londra, come vedi la scena di Roma, non solo rispetto alla miscelazione, ma a tutto il mondo dell'accoglienza?

Da questo punto di vista mi ritengo in effetti un privilegiato. Ho avuto la fortuna negli ultimi dieci anni di vivere tra Roma, New York e Londra – in quest’ultima ormai ci sto da cinque anni – che di certo è la capitale mondiale del bere, dei locali, delle nuove tendenze e forse anche dell’hospitality. Quest’ultimo aspetto è in gran parte dovuto al fatto che sono quasi tutti italiani quelli che ci lavorano, quale che sia la posizione. Non ricordo occasione in cui entrando in un locale, ristorante o cocktail bar di un albergo a Londra, non ho trovato dello staff italiano. Detto questo, nonostante Londra sia sempre in fermento e sempre qualche anno in anticipo rispetto al resto del mondo, ritengo che siano stati fatti grandissimo passi in avanti anche in Italia. Basta guardare Milano, che ogni volta che ci vado mi ricorda sempre più una Londra in versione mini. Tanta qualità, tanto servizio in una città in forte crescita in tutti i settori. Crescita che ho notato anche a Roma, con le tantissime e diversissime aperture, con cocktail bar in quartieri storici e centrali come nelle periferie. Il mondo dell’hotellerie a Roma sta vivendo un momento di grande splendore. Non si contano le aperture di terrazze e cocktail bar a “cinque stelle”, con affacci mozzafiato, cortili e giardini d’inverno che ospitano bar super luxury. Non dimentichiamo città come Torino, Firenze, Napoli e tutto il Sud, che è pieno di eccellenze e grandi novità. Ecco, qui manco da un po’ di tempo: mi piacerebbe aver il tempo per poter girare davvero tutta l’Italia.

Cosa manca ancora a Roma e quali dovranno essere i prossimi passi da fare?

Credo che rendere il bartending sempre più consapevole dell’impatto che ha nel comparto ospitalità in una città come Roma sia un processo continuo e senza fine, sul quale non bisogna mai abbassare la guardia. Probabilmente ci vorrà un evoluzione culturale che privilegi aspetti che esulino dal cocktail. Lavorare sull’acquisizione di consapevolezza e responsabilità del ruolo del bartender come ambasciatore di cultura e ospitalità è la grande sfida alla quale il bartending è chiamato. Gli chef lo hanno capito da tempo, i bartender sono un po’ in ritardo, ma ci metteranno meno dei loro colleghi in cucina. È l’evoluzione della figura professionali.

Cosa vi aspettate da questo primo RBS?

Che la città di Roma lo accolga e lo faccia proprio, diventandone protagonista. Con i suoi bar, con i suoi bartender, con i suoi loghi magici, con i suoi visitatori e consumatori. Il RBS deve essere un punto di incontro, un’agorà irrinunciabile per aziende e operatori di tutto il mondo. Le premesse ci sono tutte.

Alla fine della manifestazione sarete contenti se?

Io sarò contento se sarà contento Fabio Bacchi: se è contento lui sono certo che saranno contenti tutti!

Sono sicuro che state già pensando all'edizione 2020.

Non nascondo che ogni volta che ci confrontiamo nascono idee e intuizioni nuove. Tuttavia siamo consci della grandezza e dell’impegno che un evento simile impone. Rimaniamo con i piedi per terra, ben fermi. Alla fine ci riuniremo, analizzeremo e sicuramente ottimizzeremo ogni singolo aspetto senza tralasciare niente. Un evento simile impone un anno di lavoro e ogni cosa va fatta nel momento giusto. L’aspettativa che si è generata è enorme, lo sappiamo e non deluderemo, ma siamo pronti a tutti i correttivi che il progetto imporrà.

Contenuto pubblicato su ZeroRoma - 2019-09-16