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Antonio Marino

Se a Roma avete voglia di assaggiare una bottiglia di vino naturale o farvi dare qualche delucidazione in merito c'è un nome sicuro su cui potete contare: Antonio Marino dell'enoteca Les Vignerons. In questa intervista ci siamo fatti raccontare la sua storia e la sua passione.

Written by Roberto Contini il 24 May 2017
Aggiornato il 27 June 2017

Date of birth

30 September 1974 (50 anni)

Place of birth

Benevento

Place of residence

Roma

Anche se non siete appassionati di vino e viticultura, negli ultimi anni vi sarà capito di sentir parlare di vino naturale. Seppure in Italia manchi ancora una certificazione per le produzioni di questo tipo, tantissimi produttori si stanno dando da fare, con l’asticella della qualità del prodotto finale che si è alzata di molto. Nello Stivale si fanno ottimi vini naturali e si vendono ottimi vini naturali. Per quest’ultima fase della catena produttiva a Roma c’è un riferimento: l’enoteca Les Vignerons, aperta e tuttora gestita da Antonio Marino, assieme alla compagna Marisa. In questa intervista ci siamo fatti raccontare la storia di questa passione e di questa attività, parlando anche di cosa sia un vino naturale e di quali siano le aziende italiane da tenere d’occhio.

antonio marino 1

 

ZERO: Iniziamo dalle presentazioni, come ti chiami, dove e quando sei nato?
Antonio Marino: Antonio Marino, nato il 30/09/1974 a Benevento.

Quando hai iniziato a interessarti al mondo bere in generale e a quello del vino in particolare?
Intorno ai 21-22 anni ho fatto qualche corso di avvicinamento, sia per il vino che per la birra, fino ad arrivare al 2005, quando ho fatto il corso per sommelier Ais.

Com’è scattata la molla che ha trasformato questa passione in un lavoro?
Nel 2007 mi ero proposto di fare una cosa che in quel momento a Roma non c’era: l’offerta di enoteche era abbastanza limitata, soprattutto per alcuni aspetti “artigianali”, parlando sia di vino che di birra. Quindi ho avviato questo percorso che, assieme all’aiuto fondamentale della mia compagna Marisa, è cresciuto pian piano, fino ad arrivare ad oggi.

Les Vignerons è stata forse la prima enoteca a Roma a puntare fortemente sui vini naturali, parlaci di questa scelta.
Be’, a dirla tutta è stata una scelta abbastanza obbligata, condizionata, se vogliamo, dalle mie preferenze personali. Già in quel periodo ero totalmente concentrato sui vini naturali: è stato un percorso abbastanza netto, che mi ha portato praticamente a bere esclusivamente questa tipologia di vini. Altro non riuscivo e non riesco tutt’ora a bere. Un posto 100% dedicato ai vini naturali non c’era e quindi ho deciso di mettermi in gioco in prima persona.

L'ingresso di Les Vignerons su via Mameli.
L’ingresso di Les Vignerons su via Mameli.

Qual era la situazione delle enoteche e dei wine bar a Roma prima che aprissi Les Vignerons?
Quando ho aperto Les Vignerons la cultura dei wine bar e delle enoteche, come dicevo prima, era piuttosto piatta. Per quanto riguarda i vini naturali, poi, era pressoché inesistente. L’unico posto che aveva una buona scelta per i miei gusti era l’Enoteca Bulzoni: andavo da loro e mi capitava di fare qualche “sbicchierata”, ma non c’era un discorso di somministrazione, era più per la vendita a scaffale. Loro erano e sono tuttora un punto fermo, ma non c’era un’ampia scena a cui fare riferimento.

La prima sede dello shop è stata in via dell’Acqua Bullicante, accanto all’ex cinema Impero. C’è stato un motivo particolare per cui hai scelto quella location?
Molto onestamente, il motivo principale erano i costi limitati della zona, che peraltro è molto popolosa e quindi abbastanza di passaggio: mi sembrava un buon punto di partenza. Sicuramente qualcosa già si muoveva e quindi puntavo sul fatto che si potesse sviluppare con il passare del tempo. Ma all’epoca, circa 10 anni fa, sicuramente non c’era l’abbondanza di posti e locali che c’è ora.

Che rapporti c’erano con il vicinato? Quella è una zona di Roma che hai sicuramente visto esplodere negli anni, anche e soprattutto per quel che riguarda l’offerta enogastronomica.
Come dicevo, quando ho aperto non c’era molto. Poi, piano piano, è esploso un po’ tutto il quadrante tra Pigneto e Mandrione, e le attività già presenti hanno fatto una specie di “aggiornamento” per adeguarsi: magari ci sono arrivati dopo un percorso più lungo che li ha portati a offrire anche vini naturali. Spesso le attività che sono venute dopo di me sono state anche miei clienti e sono contento che abbiano dato un seguito alla scelta del vino naturale. Adesso magari è più semplice avere una proposta enologica del genere, anche se c’è ancora un lato molto tradizionale da cui è difficile affrancarsi. Si cominciano ad affiancare i piccoli produttori ai grandi classici – come Pepe od Occhipinti – e c’è un po’ più di riguardo nella scelta delle etichette. Ciò nonostante, rimane comunque difficile comprare vini naturali, a Roma e in Italia in generale, soprattutto rispetto ad altre grandi città europee e statunitensi, dove c’è più attenzione su questo tipo di mercato.

Les Vignerons.
Les Vignerons.

La scelta di trasferirti a Trastevere, nel’attuale sede, come è maturata?
Sicuramente ora che sto in una zona centrale posso essere raggiunto molto più facilmente da tanti clienti, che prima magari dovevano fare una traversata dell’intera città per arrivare ad Acqua Bullicante. C’è anche una maggiore ricettività da parte degli stranieri, che mi conoscono anche grazie alle app o ai siti dedicati e hanno più facilità a venire a Trastevere, che è molto più centrale e raggiungibile anche per chi non è di Roma. Poi si potrebbe parlare del fatto che negli ultimi anni la mobilità è peggiorata e arrivare a Tor Pignattara rischia di essere un vero viaggio: molti quartieri – penso a Centocelle, Montesacro, Monteverde – si stanno attrezzando per avere dei locali di riferimento anche per questo motivo, ma ho fatto questa scelta per non rimanere nella mia nicchia e provare a dare un’opzione di qualità al centro di Roma.

Che tipo di clientela è quella di Les Vignerons?
Chiaramente c’è una grande componente di appassionati e clienti fidelizzati che sanno di poter trovare determinate etichette, o che magari vengono per farsi consigliare e conoscere cose nuove. Devo dirti la verità, c’è una cosa che mi ha stupito: prima di aprire qui a Trastevere non immaginavo che ci fosse una tale cultura turistica legata al bere (e al mangiare). Chiaro, gli stranieri non vengono qui solo per questo motivi, ma molti turisti, una volta che sono qui, abbinano il lato storico-artistico alla possibilità di godersi cucina e vino italiano. E da parte degli stranieri, americani e nordeuropei in particolare, ho trovato molta più apertura verso i vini naturali, specie quando trovano una bottiglia diversa dalla massa. L’italiano, invece, può rimanere più scettico, trova un gusto diverso e rimane con i dubbi, anche se magari apprezza la qualità del prodotto.

Per chi non è appassionato di vini non è sempre chiaro cosa sia un vino naturale e quale sia la differenza con un vino “standard”. C’è anche molta confusione a livello di certificazioni e un po’ di sovrapposizione con il mondo del vino biologico. Se dovessi spiegare cos’è il vino naturale in poche parole?
Io mi rifaccio a quella che è l’attuale classificazione francese del vino naturale: è un vino che viene al 100% da un’agricoltura totalmente sostenibile, al di là di quelle che sono le certificazioni. Quindi una vera agricoltura biologica, con raccolta manuale e fermentazione spontanea, senza alcun ricorso ai lieviti e senza alcun tipo di addizione esterna, neanche di solforosa. Chiaramente è un tipo di discorso strettamente legato ai piccoli produttori, chi produce in maniera industriale difficilmente riesce a fare del vino naturale…

Da quando hai aperto a oggi hai notato qualche cambiamento, in meglio o in peggio, nel mondo del vino naturale? E la situazione laziale com’è su questo fronte?
Cambiamenti ce ne sono stati molti, come è normale che sia, visto che si tratta di un movimento molto dinamico. In meglio, sono emerse nuove generazioni di vignaioli, più attente a questo tipo di produzione. Anche nei Castelli abbiamo visto questa crescita: prima il vino naturale era molto poco diffuso, al massimo c’era un po’ di produzione biologica in una mare di produzioni industriali. Ora invece si stanno affermando ottimi produttori, come la Cantina Ribelà a Monte Porzio, anche in zone vinicole meno vocate o battute, come la provincia di Viterbo. In peggio… Be’, siccome siamo in Italia – ma succede anche altrove, non solo da noi – c’è il rischio che il vino naturale diventi una moda e molti produttori cerchino di approfittare dell’onda senza metterci la dovuta attenzione o la stessa cura che hanno i produttori più radicati in questo ambiente. Anche da parte dei clienti, ho notato sicuramente un incremento della curiosità – e quindi della conoscenza del vino naturale – che però, a volte, rischia di sfociare in un estremismo che non è positivo.

E nel tuo modo di lavorare invece? Oltre ad allargare la proposta anche verso birra e distillati, c’è stata qualche novità sul metodo di scelta?
All’inizio era richiesto un lavoro un po’ più da talent scout, visto che si trattava di un mercato di nicchia. C’era più rapporto diretto con i produttori, mentre ora la ricerca si è spostata sulla fase di distribuzione: cerco di andare a scovare agenti che possano propormi cose fuori dai circuiti più diffusi.

I vini di quali cantine non possono mai mancare da Les Vignerons?
Per elencare qualche nome, ma chiaramente ce ne sono molti che si potrebbero citare: Cantina Giardino (Ariano Irpino), Le Coste (Gradoli) – che è uno dei prodotti laziali di punta, basti pensare al loro Litrozzo – l’Azienda Panevino (Nurri) e gli emiliani dell’azienda Ca’de Noci. E poi una menzione speciale per Canlibero che, oltre ad essere delle mie parti, ha anche imbottigliato “per noi” Bullican, un Fiano/Trebbiano frizzante che richiama la vecchia location dello shop, in via dell’Acqua Bullicante.

L'azienda Canlibero.
L’azienda Canlibero.

Visto che hai citato Cantina Ribelà e Le Coste, quali altre cantine pensi stiano facendo un lavoro di qualità sul fronte del vino naturale nel Lazio?
Come dicevo prima, nel Lazio ce ne sono parecchie che stanno emergendo e facendo un buon lavoro, anche tra le nuove leve. Nel frusinate c’è Macciocca, col suo ottimo Cesanese, che sta venendo fuori in maniera importante. Ottimi vini sono venuti anche dall’Azienda Ajola di Orvieto, che non è proprio nel Lazio, ma a livello di territorio si può assimilare sicuramente ai vini del viterbese.

Ho sempre apprezzato nel tuo shop la grande attenzione per i vini non italiani. All’estero com’è la situazione?
Tra i paesi vinicoli emergenti, ci sono la Spagna e l’Austria che si stanno muovendo benissimo. Cominciano ad arrivare anche ottimi vini da posti sorprendenti come la Slovacchia. Slovenia, Georgia e Armenia sono ormai realtà consolidate. Discorso più lungo merita la Francia, che sul vino naturale è molto più avanti di noi, anche perché sono facilitati da alcune zone molto vocate, penso all’Ardèche per esempio. Ma la produzione naturale è ormai ben consolidata in molte altre regioni, dall’Alsazia alla Languedoc, tutte ben rappresentate. È un peccato che in Italia questo tipo di discorso fatichi a prendere piede, anche perché darebbe vita a un mercato davvero interessante: abbiamo molta più diversità di vitigni e una diffusione regionale che in Francia non c’è, per motivi territoriali e climatici. I produttori francesi sono sì partiti con anticipo, ma c’è soprattutto molta collaborazione e cooperazione, senza considerare che il vino, naturale o meno, fa molto più parte del dna culturale del francese medio, mentre qui per tanti anni è stato visto o come un prodotto di élite o come vino scadente da osteria, basti pensare a cosa succedeva ai Castelli fino a qualche decennio fa… Ultimo punto a favore della Francia, il loro vino costa tendenzialmente meno rispetto ai pari fascia italiani e alla fine questo porta ad avere una maggiore diffusione.

Vigneti a Rosières, nell'Ardèche.
Vigneti a Rosières, nell’Ardèche.

Se dovessi citare una regione vinicola, italiana o straniera, che ti è particolarmente a cuore?
Rimaniamo in Francia e ti dico lo Jura, tanto che sto pensando di andare a visitare a breve un po’ di cantine, anche perché non ci sono mai stato ed è ora di rimediare!

A proposito di cantine, come decidi quali vini vendere nel tuo shop? Immagino che ci sia prima di tutto la conoscenza di etichette e bottiglie, ma vai anche direttamente dai produttori?
Ti dico la verità, ultimamente giro molto meno, se non per occasioni particolari o magari per qualche giro turistico in cui ci può scappare anche la visita a un produttore. Quello che capita molto di più, invece, è il percorso “professionale”: si ricevono bottiglie da produttori che propongono cose nuove e sono interessati a farsi conoscere. Poi è normale che ci sia un approfondimento da parte mia prima di mettere in vendita una cosa.

Che rapporto hai, invece, col mondo fieristico? Pensi sia un buon modo per conoscere vignaioli e i loro vini?
Onestamente ho un po’ abbandonato il mondo fieristico, ultimamente lo trovo troppo confusionario per poter approfondire bene o esplorare le novità.

C’è un vino che puoi dire di aver “scoperto” e aver portato alla ribalta?
Diciamo che a suo tempo, circa nel 2010, ho dato parecchio spazio ai vini de Il Quarticello e a quelli di Podere Veneri Vecchio, che erano realtà piccole e poco diffuse e che ora, invece, sono più conosciute. Il merito è ovviamente loro che fanno ottimi vini, ma mi fa piacere averli avuti “in anteprima”, per così dire…

Raffaello Annicchiarico di Podere Veneri Vecchio.
Raffaello Annicchiarico di Podere Veneri Vecchio.

E se invece dovessi indicare le etichette in ascesa?
Con la stessa logica dei due citati in precedenza, Cascina Tavijn (Piemonte) è da qualche anno che fa ottimi vini e poi c’è Lammidia, in Abruzzo, che ha avuto un avvio difficile ma è andato in costante miglioramento. Nel Lazio, invece, i ragazzi di Sete, a Priverno, stanno lavorando molto bene e penso siano assolutamente da citare.

Una regione che ti aspettavi in crescita e che non ha rispettato le aspettative?
In Italia, Puglia e Abruzzo sono quelle che hanno avuto più difficoltà. Anche per le Marche rimane sempre la sensazione di un “vorrei ma non posso”, a parte qualche eccezione, ovviamente, o realtà storiche come Pepe – in Abruzzo per l’appunto. Se devo citare un vitigno che non ha rispettato le attese, devo dire che ho grandi difficoltà a bere un Verdicchio.

Il vino naturale, specie per chi non lo conosce, può essere abbastanza ostico al primo impatto. Ti capita mai che qualcuno riporti indietro una bottiglia pensando che sia andata a male?
Qualcuno sì, capita comunque raramente perché la gente vuole cercare di capire i vini che vendiamo. Io cerco di cullare, in un certo senso, chi viene a comprare da Les Vignerons, provando a fare un percorso assieme al cliente per capire quale vino può essere di suo gradimento. Chiaramente ci vuole una mentalità aperta: «Non mi piace il bianco» o «Non bevo vino frizzante» per me sono frasi che non hanno molto senso. Poi ci sono le eccezioni e capita che ti riportino una bottiglia appena aperta… Ma in quel caso ce la beviamo noi! (ride)

La richiesta più strana che ti hanno mai fatto in negozio?
Una marea, ma la più strana è stata pochi giorni dopo l’apertura qui a Trastevere: «Vorrei un Sassi Caja naturale»! Nella vecchia sede, invece, un cliente, dopo aver comprato una bottiglia da regalare, mi ha chiesto se potevo fare una confezione mettendo la bottiglia in un enorme sacco di iuta che avrei dovuto riempire con prodotti alimentari decisamente scadenti…

Quando non sei dietro al bancone dove ti piace bere?
Ad essere onesto, quando non siamo dietro al bancone, con Marisa beviamo principalmente birra, anche perché a Roma c’è una scena molto interessante e con locali di ottima qualità e innovazione (Ma Che Siete Venuti a Fa’, Barley Wine, So Good etc.). Per il vino c’è anche un aspetto di condivisione e confronto con alcuni colleghi e i posti dove bevo più volentieri sono La Mescita, Epiro, Litro e Taverna Cestia.

La cantina di Les Vignerons.
La cantina di Les Vignerons.