Se negli ultimi tempi Roma pare essersi un po’ ripresa in quanto a offerta per “un certo tipo” di musica live – almeno rispetto a giorni bui di sole chiusure appena passati – è grazie a un lavoro dal basso che coinvolge i vari Circoli Arci e realtà diverse come Spin Time Labs, La Fine, Evol, ma sicuramente anche grazie a uno spazio giovane e propositivo, la buona nuova di questa stagione. Aperto a novembre, oltre la sua porta rosso neon in una stradina tranquilla di Roma Est, il Klang ha fin da subito mostrato l’ambizione, ma pure l’incredibile solidità e spessore, di un progetto che a molti sarebbe parso folle. Ma che in realtà ha già conquistato una bella fetta di pubblico, grazie a un’attitudine inclusiva, sebbene la proposta artistica sia per orecchie raffinate. Concerti quasi tutte le sere, un’area dedicata al mangiare e al bere (bene), ingresso gratuito, programmazione orientata a elettronica e sperimentazione ma sempre piuttosto trasversale, acustica perfetta corredata da un design curatissimo in ogni angolo delle sale, atmosfera rilassata, zero hype né autoreferenzialità “di quartiere”. Non un club né un ristorante o un pub. Troppo spersonalizzante anche chiamarlo “locale”: un progetto, piuttosto, uno spazio condiviso. Dopo aver varcato spesso la sua porta per un concerto noise o per una birra, ci siamo fatti raccontare la storia di questa bella e nuova realtà romana dal suo fondatore e anima principale, Cristiano Latini. Ovvero il ragazzo sempre sorridente che probabilmente vi ha spillato una birra o accolto all’ingresso del Klang
Cominciamo dalle presentazioni: cosa facevi prima di dare vita al Klang e che tipo di background musicale hai?
Come molte persone della mia generazione, nel corso degli anni mi sono occupato di dozzine di cose diverse – per la maggior parte correlate al mondo della musica. Ho studiato da tecnico del suono e sound designer, ho prodotto un bel po’ di musica elettronica, scritto di musica, fatto radio, lavorato come fonico in diversi studi di registrazione, messo dischi un po’ ovunque e in generale sono sempre stato un vorace consumatore di suoni. Ma ho anche lavorato in diversi locali dedicati alla birra artigianale, dove ho sviluppato il mio gusto e approfondito le conoscenze in merito, nonché il mio modo di stare dietro a un bancone.
Come e quando ha preso forma questo progetto così audace, quale era il concept iniziale e come sei riuscito a dargli concretamente forma?
Il primo embrione di questa “fantasia” è nato circa dieci anni fa, con altre premesse e ambizioni. Si parlava di un posto piccolo, situato in tutt’altra zona di Roma, e le intenzioni iniziali erano molto diverse rispetto a quello a cui siamo arrivati alla fine. Poi ci sono stati vari incidenti di percorso che hanno modificato l’idea iniziale e fatto crescere in me la consapevolezza e il desiderio di realizzare qualcosa di rottura rispetto a quello a cui ero abituato; soprattutto rispetto alla “categorizzazione” dei luoghi in base a come li avrei vissuti: «lì andrò a bere, lì a cena, qui mi incontrerò con gli amici, qui invece sentirò un concerto o andrò a ballare». Essenzialmente mi sono chiesto perché ci fossero barriere così nette nel modo di vivere gli spazi, iniziando a pensare di voler riunire tutte queste esperienze sotto un unico grande tetto. Detto questo, so bene che l’idea di creare uno spazio per la musica live simile al Klang possa essere il sogno di molti ma che servano premesse “solide”, che non tutti ne hanno le possibilità – per quanto so pure per esperienza personale che spesso non si ha idea di cosa significhi davvero portare avanti poi un luogo del genere. Io ho avuto l’immensa fortuna di avere una persona, ormai scomparsa, con un capitale da investire che credesse ciecamente in me, nelle mie idee, nelle mie capacità e nel mio entusiasmo. A questo ho sommato la folle determinazione di perseguire il progetto, sobbarcandomi un finanziamento bancario piuttosto oneroso, mettendoci dentro ogni risparmio personale e tanta forza di volontà. È stato un percorso lungo e tortuoso, durato quasi un decennio. A un certo punto ho capito che non mi sarei mai accontentato di realizzare qualcosa di “mediocre”, volevo un posto importante, nevralgico e di riferimento sotto tutti i punti di vista, almeno per me. Senza compromessi. E a mio modesto parere e per quelle che erano le aspettative e i risultati che mi ero prefissato, penso di esserci riuscito. Il concept musicale, così come quello estetico, brassicolo, gastronomico e il format nella sua interezza, sono il frutto del mio gusto e di quello che volevo realizzare, senza alcun tipo di vincolo o masturbazione mentale di sorta. La fortuna è stata poi quella di incontrare persone che non solo comprendessero e condividessero la mia visione, ma che sposassero completamente l’ipotesi di ignorare ogni possibile diluizione dell’idea originale. Più del “chi” e del “come”, credo sia comunque importante il fatto che un posto del genere ora esista e sia a disposizione di tutti.
Quali sono state le linee guida principali prima di partire, quello che volevi ma anche quello che non volevi che fosse il Klang?
Non volevo che fosse un posto qualsiasi. Certamente non volevo che divenisse “soltanto” un posto elitario da elucubrazioni mentali, ma un luogo inclusivo e di condivisione, seppur a suo modo sofisticato. Un posto dove sentirsi liberi di esprimere e scambiare idee, esperienze, gusti, o anche semplicemente dove poter bere o mangiare qualcosa in modo rilassato e solitario dopo una giornata pesante. Un posto dove coccolare e sentirsi coccolati: cerchiamo di avere cura dei dettagli in ogni cosa, dalla qualità del suono a quella del cibo, dalla selezione musicale al contenuto di un bicchiere. Così come, e forse soprattutto, nelle “semplici” chiacchiere da bancone. Non mi sento e non vorrei mai essere un venditore di suoni, pietanze e bevande, quanto piuttosto colui che offre prima di tutto un’atmosfera e la piacevolezza del tempo che si trascorre in un posto. Un posto che mi rispecchia, ma dove vorrei poter accogliere tutti e dove vorrei che tutti si sentissero a casa. L’ingresso gratuito penso sia una conseguenza naturale di quanto detto precedentemente. Ciò che mi preme è che ci sia la massima fruizione e condivisione possibile di ciò che amo proporre e diffondere, senza vincoli nè deterrenti.
Da appassionato di musica, insieme al tuo team, cosa sentivi il bisogno di andare a cercare, c'è stata l'esigenza di colmare un vuoto, di evitare assolutamente alcune dinamiche e invece di favorirne altre?
La nostra esigenza primaria è proporre ciò che ci ascolteremmo in camera, sui mezzi o in macchina. Ciò che saremmo corsi a sentire dal vivo ma che troppo spesso non trovavamo in giro, almeno a Roma. E questi ascolti sono molto trasversali, non hanno confini geografici. Valorizzare le scene locali così come i talenti più sommersi è una “missione” molto sentita da tutti noi, sia in maniera istintiva sia più razionale. Penso sia un “nostro” dovere – prima persona plurale intesa come insieme di locali, etichette, crew che ne hanno le facoltà – cercare, dissotterrare e dare spazio a queste realtà, troppe volte penalizzate dalle dinamiche di fruizione, diffusione e mercato. Sono sempre stato affascinato dalle scene e dai movimenti locali, qualunque e dovunque essi fossero. Dall’idea che suggestioni ed esperienze simili o vicine possano dare vita a un linguaggio e una sensibilità comuni, da condividere e accrescere in quanto frutto di uno scambio continuo con l’ecosistema e le persone che lo popolano. Penso che siano realtà uniche e preziose, da incentivare e salvaguardare: nel nostro piccolo e a nostro modo, ci stiamo provando anche con iniziative completamente DIY come Epifonie, Klangers: Residenze Elettroniche e KlangEnsamble. Nello stesso tempo però non mi piacciono i ghetti. Non credo che Klang sia un posto necessariamente collegato alla sua localizzazione geografica. Non lo penso come tale e non vorrei che lo fosse. La nostra programmazione spazia liberamente senza regimi di terroir: un artista di quartiere il giorno prima e uno proveniente dall’altra parte del globo il giorno dopo, accomunati da sensibilità artistiche magari opposte, ma che ci sorprendono e entusiasmano nello stesso modo. Detto questo, Roma sta certamente vivendo un momento di lenta rinascita. E prima ancora che dalle proposte dei locali, penso si percepisca da una sorta di fermento tangibile fra le persone e nel pubblico, al di là degli addetti ai lavori. Il Klang è solo l’ultimo tassello di questo lungo percorso, che giova certamente di un terreno fertile concimato negli anni da chi ha veramente combattuto per salvaguardare la cultura, soprattutto la sotto/contro cultura, di questa città. Se a oggi il Klang è incluso in questa rosa di luoghi illuminati, per me è davvero un onore gigante. Poi ovviamente nelle scelte entra in gioco il gusto personale, e nel mio caso qui si va nella direzione di un certo tipo di elettronica, salvo rari casi ho sempre riscontrato difficoltà a trovare situazioni live che respirassero al di fuori dei paletti del clubbing. E l’ho sempre considerato squalificante e un po’ frustrante. Come già detto, più che studiare le dinamiche o i vuoti e come muoversi all’interno di essi, ho cercato di rispondere a quelle che erano prima di tutto le mie esigenze, ciò che avrei voluto trovare entrando da qualche parte. L’unica dinamica che mi interessa è non avere vincoli nel proporre ciò che mi entusiasma.
Come costruite la programmazione, ci sono stati degli altri spazi che sono stati d'ispirazione?
Praticamente da quando ho memoria, ogni volta che ho avuto una serata libera sono andato a spulciarmi – molto spesso proprio su queste pagine – quali concerti ci fossero a disposizione. La musica è sempre stata un’esperienza quotidiana imprescindibile, ed è importante che una città come Roma abbia spazi che possano garantirla, per me e per tutti. La scelta di curare una programmazione così fitta anche infrasettimanalmente, così come quella di iniziare i live praticamente in prima serata e proporli sempre gratuitamente, nasce proprio da questo: offrire sempre e a chiunque la possibilità di godere dell’esperienza di un concerto. Per quanto riguarda la selezione artistica, che mi rendo conto essere spesso piuttosto “impegnativa”, il discorso è correlato al rispetto della nostra identità. Identità che deriva genuinamente dai nostri gusti, e non viceversa. Può sembrare un claim a effetto, ma credo fortemente che siamo ciò che ascoltiamo e, molto banalmente, al Klang siamo fatti in questo modo. Non mi interesserebbe spacciare suoni che non mi appassionano e che non potrei proporre con il massimo entusiasmo possibile, magari per avere un maggiore riscontro di pubblico. Sarebbe incoerente e disonesto. Anzi, mi piacerebbe che attraverso questo spazio e alla possibilità di viverlo e frequentarlo a prescindere dai live, si potessero in realtà diffondere sonorità magari distanti a molte persone solo perché non hanno mai avuto occasione di intercettarle. Credo sarebbe il gol definitivo. Nel frattempo pian piano ci siamo resi conto che avremmo potuto alzare un pochino l’asticella, consentendoci di invitare qualche artista più “importante” e che sognavamo di poter sentire dal vivo. Così abbiamo iniziato a sparare anche un pochino in alto, da Kid Millions a Mira Calix, e a quanto pare la cosa sta funzionando. Inutile dire che questo mi renda incredibilmente felice e soddisfatto. Non avrei mai lontanamente immaginato di poter arrivare a ospitare artisti di questo calibro nel giro di neanche mezzo anno di vita! Certo, a volte stiamo anche puntando veramente in altissimo, ma al di là delle varie logiche o considerazioni, in barba un po’ a tutto, diciamo che la prendiamo un po’ come se ci stessimo facendo un regalino. Regalino di cui tutti sono ovviamente invitati a godere insieme a noi. Per quanto riguarda il discorso delle affinità musicali, sia io sia le persone che si occupano della direzione artistica e tecnica, pur venendo da esperienze e background diversi, siamo tutti approdati a un gusto e soprattutto a una visione affine, che ci trova in grande sintonia. È palese che la matrice primaria sia quella dell’elettronica sperimentale, soprattutto quella un pochino più oscura, così come del noise, dell’industrial e di tutte quelle zone orientate alla ricerca. D’altro canto non voglio porre dei paletti o limitare le scelte. Pensando al futuro, senza troppa fretta e senza fare passi troppo azzardati, mi piacerebbe arrivare a una programmazione di sette giorni su sette, magari implementando contenuti non strettamente musicali, ma artistici a 360 gradi. Abbiamo decine di idee in cantiere e voliamo molto sulle ali dell’entusiasmo. Per il momento sto congelando un pochino di cose per non sovraccaricarci e non mettere troppa carne al fuoco, ma di cosine in ballo ce ne sono davvero parecchie.
Sia per l'estetica austera e minimale - ma non impersonale e fredda - sia per l'effettiva qualità dell'esperienza di ascolto, la sala concerti è stato subito un ottimo biglietto da visita e garanzia di serietà, a cui si aggiunge la progettazione del locale tutto, che accentua poi il discorso di separazione/non separazione tra le persone e i diversi piani di fruizione dello spazio. Come ci avete ragionato e quanto ci avete lavorato? Il messaggio sul contenuto ideale dello spazio passa anche attraverso la sua forma?
Che la qualità dell’ascolto dovesse essere eccelsa è stata una delle premesse a monte di tutto. Si potrebbe quasi dire che il locale sia nato e abbia preso forma intorno a questa intenzione. Purtroppo i luoghi che a Roma propongono un certo tipo musica – e intendo quella un pochino più “difficile” -, sono spesso penalizzati da un’acustica e un impianto di diffusione limitanti, vuoi per ragioni strutturali e di progettazione, vuoi per esigenze di altra natura. Nel mio piccolo volevo che Klang fosse un gioiellino devoto all’esperienza sonora. Volevo che si potesse sentire alla perfezione qualsiasi tipo di proposta, che si potesse godere a pieno di ogni sfaccettatura e di ogni dettaglio. Nello stesso tempo però, proprio perché, come dicevo prima, non volevo che fosse un posto esclusivamente votato all’anima live, ma un luogo di riferimento sotto molteplici punti di vista, esisteva la necessità di poter frammentare lo spazio e dare la possibilità alle varie anime del locale di coesistere in equilibrio. Il live è sempre a disposizione di tutti, ma qualora non fosse di proprio gradimento o non si fosse del giusto umore per apprezzarlo, l’altra sala è in grado di accogliere contemporaneamente qualsiasi tipo di persona e di serata. Credo che sia un po’ la chiave di volta dell’insieme: qualsiasi cosa tu abbia intenzione di fare e qualsiasi serata tu abbia intenzione di passare, Klang è un luogo pronto ad accoglierti con quello che cerchi. Ovviamente per rendere tutto efficace c’è stato un bel lavoro di progettazione, sia a livello di logistica sia a livello acustico e di design. A oggi molte persone vengono per cena o per prendersi una birra senza nemmeno sapere se ci sia un live o di cosa si tratti. E poi magari si lasciano incuriosire prima e coinvolgere poi, non staccandosi un solo secondo dal palco. Così come, viceversa, chi pensa di vedere il live e poi correre altrove, si ritrova spesso al bancone fino a chiusura. E magari gli uni e gli altri finiscono per far serata insieme. E per me questo è davvero il massimo risultato che potessi immaginare.
Come è composta la squadra che lavora al Klang - e quanto vi scannate per tenere tutto “sotto controllo”?
Da parte mia cerco di tenere insieme un po’ tutto, ma se non ci fosse chi mi sostiene e aiuta in ogni singolo ambito della questione, sarei un uomo morto. O – molto peggio – in un mare di casini inenarrabili. Della direzione artistica si occupano Marco Bonini e Gianclaudio Moniri, di quella tecnica Michele Papa. E poi ci sono i ragazzi al banco, in cucina e in sala, che sono decisamente la mia salvezza, ho avuto l’enorme fortuna di trovare tutte persone non solo valide e competenti, ma anche perfettamente in grado di lavorare in team, senza necessità di gerarchie soverchianti, ma più che altro in una sorta di grande tavola rotonda di teste che collaborano. Con alcuni esiste un rapporto di amicizia sincera e sono persone con cui collaboro da una vita, altri sono stati semplicemente una manna dal cielo.
Questione inclusività/ingresso gratuito: è sicuramente una gran scommessa non far pagare il biglietto mantenendo una linea artistica di ricerca e senza essere un'associazione o un Circolo Arci, diciamo un messaggio forte che non tutti – anche magari avendone i mezzi – decidono di accettare. Ma suppongo ci siano anche delle controindicazioni, l'inclusività, il non mettere un filtro, implicano che in sala si affaccino anche persone non interessate o che al Klang capiti qualsiasi tipo di target anche solo a bere una cosa. Ho letto un tuo post dove raccontavi proprio del poco rispetto di una parte del pubblico casuale del Klang, parlaci quindi dei lati positivi e propositivi del non far pagare “la cultura” e di quelli, diciamo così, se non negativi quantomeno più rischiosi.
Proprio perché sono consapevole di non scegliere musica “facile”, non vorrei in alcun modo che qualcuno potesse sentirsi frenato dal costo di un biglietto per venire ad ascoltare. È un po’ come passare la cuffietta a un amico per fargli sentire l’ultimo pezzo di un artista sconosciuto che mi ha fatto impazzire. Il discorso sembra reggere e funzionare, quindi perché porsi il problema? Per me è più gratificante che qualcuno venga a ringraziarmi a fine serata per aver scoperto un artista che lo ha fatto emozionare, piuttosto che trovare un paio di centinaia di euro in più in cassa. Poi, certo: molte persone – e sono molto meno casuali di quanto si possa pensare – sono abituate a vivere un certo tipo di musica e di socialità in un determinato tipo di realtà, modi e di spazi, e fanno fatica ad accettare che un locale pubblico, che ospita oltretutto una situazione gastronomica e brassicola di una certo tipo, implichi delle differenze oggettive. E purtroppo, ahimè, non credo proprio che sia nella gratuità dell’ingresso che risieda l’origine della questione. Fortunatamente si tratta di una piccola percentuale della comunità che popola quotidianamente il Klang.
Come giovane progetto che nasce in uno dei quartieri della “cultura dal basso” di Roma, ci sono delle altre realtà con cui creerete/vi piacerebbe creare una sinergia in futuro? Vedendo quanto fatto finora, mi vengono in mente etichette (Lady Sometimes), ma anche collettivi (Misto Mame) che magari al Klang hanno trovato un'alternativa ottima che prima non c'era. C'è (azzardo) una sorta di collaborazione/coordinazione reciproca con gli altri spazi “alternativi” per la musica – nel quadrante Est ma in generale a Roma - o la differenza di linea artistica crea già le premesse per non accavallarsi e farsi troppo, se così possiamo dire, “concorrenza”?
Non sono mai stato particolarmente legato alle “logiche di quartiere”, forse perché in quello da cui provengo non mi sono mai sentito particolarmente a mio agio. Certamente, cercando sempre suoni che fossero interessanti per me come fruitore, sono approdato molto velocemente a Roma Est e mi sono innamorato del Pigneto e delle persone che lo vivono ogni giorno e ogni notte. Fino a sentirmi timidamente a casa, culturalmente e umanamente. È quindi stato naturale che Klang germogliasse in una situazione che fosse per me tanto accogliente, stimolante e familiare. Le sinergie con realtà e collettivi già presenti su questo territorio sono state una conseguenza spontanea. L’idea di aver dato una nuova casa – o meglio, una casa in più – a situazioni che già stimavo e sostenevo, fa parte di un sentimento di collettività e interscambio che spero si percepisca come alla base del mio pensiero e quindi delle intenzioni di Klang. Salvo il fatto che, ciascuno seguendo il proprio gusto e le proprie inclinazioni, le programmazioni musicali creino già di per sé un carattere e una distinzione fra i vari spazi culturali di Roma Est – così come di Roma nella sua interezza. Sono dell’idea che tanti più spazi – ciascuno con i propri mezzi e le proprie idee – esistano a sostegno della cultura e in particolare della musica, tanto più quest’ultima può circolare e creare uno “scenario” ampio e florido. E sarebbe davvero meraviglioso se questo fosse veicolato da una collaborazione costante e una visione comune. Mi piacerebbe molto proporre iniziative e progetti che vedano coinvolti quanti più attori possibili nel campo musicale, e non escludo affatto che possa avvenire nel prossimo futuro.
Altro aspetto caratterizzante è l'orario di inizio dei concerti, non ci sono partite della AS Roma che tengano, al Klang non si comincia oltre le 22:30. Che il proposito sia ottimo non ci sono dubbi, ma quale è stato l'espediente per renderlo realizzabile, ovvero per comunicare questa abitudine alle persone, per farla recepire e riuscire a farla rispettare? Era tra le “mission” dello spazio? In realtà avete scoperto che la maggior parte delle persone apprezza e collabora a questa scelta? È forse anche un discorso di target, almeno quello dei concerti, che perlopiù visto il taglio sperimentale sono rivolti a un pubblico più adulto?
Non ti nego che è stato uno dei grandi dubbi che ci attanagliavano prima dell’apertura. In una città dove è sempre tutto spostato verso notte fonda, tentare di abituare le persone a vivere i concerti praticamente in prima serata era un obiettivo piuttosto ambizioso. Abbiamo solamente deciso di provare, cercando di comunicare in modo chiaro quali sarebbero stati i nostri orari, e abbiamo sorprendentemente visto che la risposta è stata più che positiva. Non esiste un target preciso a cui ci rivolgiamo, né per età né per appartenenza a circuiti particolari: il pubblico è molto eterogeneo, penso che l’interesse e la curiosità per la musica proposta superino le abitudini nottambule dei nostri avventori. La priorità era di valorizzare al massimo il contenuto musicale, senza scadere nell’idea di clubbing, cosa che sarebbe facilmente potuta accadere fissando i live in piena notte e che, a mio avviso, avrebbe potuto facilmente sminuire l’importanza che vogliamo dare a ciò che selezioniamo. Inoltre molte persone hanno impegni lavorativi o di studio che gli impediscono di far tardi, quantomeno infrasettimanalmente, e credo sia fondamentale, invece, poter dare l’opportunità di godersi un concerto in qualsiasi momento anche a chi abbia questo tipo di esigenza.
Per quanto l'aspetto musicale sia quello, a mio avviso, più “originale” e ardito del progetto Klang, in realtà nell'insieme non possiamo prescindere dalla componente del cibo e del bere. La scelta è sempre quella di trovare una quadra tra l'inclusività, l'essere alla portata di tutti, e la qualità: come siete organizzati in cucina e come è pensato il menù? Quanto incide sull'affluenza del pubblico e sulla “sopravvivenza” del locale stesso? Al di là del finanziamento iniziale, il Klang riesce a sopravvivere grazie alla cucina e alla birreria?
Così come per i suoni, in generale se qualcosa mi conquista e appassiona tendo a diventarne un vorace consumatore, cercando di approfondire quanto più possibile l’argomento. Insomma, mi trasformo in un autentico rompipalle più o meno su tutto quello che mi piace. L’idea di poter raccontare e quindi far appassionare le persone che animano Klang a ciò con cui amo viziarli, è un aspetto fondamentale per me. È anche questo, a mio avviso, diffusione di cultura, di artigianalità e di arte. Ciò che viene scelto e proposto è un racconto di persone e territori, di impellenze creative e guizzi di ingegno così come di tradizioni e meticolosità, prima che il semplice contenuto di un bicchiere o di un piatto. Per quanto riguarda la cucina, come già detto volevo fin dall’inizio che Klang si ponesse come uno spazio da vivere a 360 gradi, quindi anche l’ideazione del menu è stata di centrale importanza, anche se il percorso è stato successivo rispetto alla scelta della parte beverage. Si è venuta a creare una squadra formidabile, a partire dal super chef Fulvio Vitale e via via verso tutti i componenti della brigata – non ultimi Beatrice, Roberta e Andrea come consulenti esterni -, con cui ci siamo messi a tavolino per realizzare un’offerta adeguata a ciò che avevamo in mente. Seguendo il mio mero istinto e gusto, avrei onestamente spinto verso una cucina ben più complessa e creativa, ma di fatto ci interessava formulare una proposta food che fosse accogliente e “smart”, seppur nello stesso tempo impreziosita dal nostro tocco e dalla nostra fantasia. Che fosse soprattutto in grado di differenziarsi dalla maggior parte delle cucine generaliste che sovraffollano Roma, pur rimanendo alla portata dei gusti e delle tasche di tutti. La ricerca delle materie prime, così come di accostamenti curiosi, divertenti e gustosi, dalle mini-pizze ai burger come dalle patate ai dolci, è quello che ci ha spinto a impiantare su ricette tendenzialmente pret-a-porter delle varianti che crediamo possano caratterizzare l’esperienza di mangiare al Klang. Abbiamo inoltre intenzione di perseguire una stagionalità e modificare il menu periodicamente, così da mantenere sempre vivo l’interesse, nostro come di tutti, ed essere in grado di proporre sempre nuove sfiziosità e nuovi sapori. Ad esempio proprio in questo periodo stiamo lavorando su un menu per la stagione estiva, e devo dire che stanno venendo fuori cose davvero molto interessanti. Detto questo, è chiaro, Klang vive e sopravvive proprio grazie alla sua anima votata alle papille gustative, e che il pubblico abbia piacere di vivere questo posto sia dal punto di vista musicale sia da quello “ristorativo” è fondamentale al sostentamento di tutto il meccanismo. A oggi l’equilibrio sembra stabile e funzionante e credo che, al di là di quella che potesse essere la curiosità iniziale, di base ci sia una sincera piacevolezza delle persone nel mangiare e bere ciò che scegliamo e prepariamo con cura ogni giorno. Più in generale: nell’abitare questo spazio nel modo più trasversale possibile. Ovviamente tanto più questa cosa si diffonderà e diventerà abituale per tutti, tanto più salubre e longeva sarà la vita di questo posto, permettendoci di proporre sempre più contenuti artistico-musicali e di sempre maggior qualità.
E quindi passiamo all'altro piatto forte del Klang, il bere, e in particolare la selezione di birre e la tua passione per la materia: il fatto di offrire una proposta artistica ma anche legata al bere bene di qualità, almeno a Roma, mi porta alla mente soprattutto un posto che ha lasciato un segno importante in città come il DalVerme, diciamo che è sempre difficile portare avanti tutti questi discorsi parallelamente. Chi se ne occupa e che tassello rappresenta questo tipo di offerta nel progetto complessivo?
L’amore per la birra – così come per il whiskey e i distillati in genere – è sbocciato durante l’adolescenza e da allora non ho più smesso di ricercare e assaggiare quante più cose potessi, via via con maggior consapevolezza e passione. Così, mentre si andava pian piano delineando il progetto Klang, la necessità di base è stata proprio quella di integrare al discorso sonoro/musicale un’offerta di beverage che potesse soddisfarmi. Creare una commistione auditivo-gustativa che ho sempre fatto fatica a trovare coniugata secondo le mie aspettative. Scelgo personalmente con cura e dedizione maniacali ogni singolo prodotto presente al bar, dalle spine alla bottigliera. E come nella scelta musicale, anche in questo campo cerco di ignorare ogni possibile limite, sia economico sia di eccessiva particolarità, in favore di ciò che ritengo essere meritevole di venir proposto e offerto al pubblico. Nonché, ovviamente, che vorrei essere il primo a trovare e bere con gli occhi a cuoricino entrando in un locale. La birra e i distillati sono i sovrani assoluti del nostro beverage, ma pur non essendo in alcun modo un cocktail bar, ci siamo concessi una piccola deriva nella miscelazione, che essenzialmente si traduce nel Gin Tonic e Vodka Tonic. E questo perché sinceramente non ne avremmo potuto fare a meno. Anche qui, a partire dalla scelta di linea fino a quelle “premium”, abbiamo una selezione curatissima di gin che aggiorniamo periodicamente, assaggiando e proponendo sempre nuovi prodotti. Il paragone con il DalVerme mi lusinga davvero molto, e sinceramente non credo di esserne meritevole per tanti motivi, ma di sicuro è stato uno dei posti che ha maggiormente instillato nel mio cervello alcuni dei semi di tutto questo, a maggior ragione dopo la sua prematura dipartita, quindi ringrazio vivamente chiunque veda in Klang alcune radici in tal senso.
Sulla vostra pagina Facebook leggo spesso l'espressione “klangers” e, per quanto quella dell'apertura a tutti sia una delle cifre principali dello spazio, mi chiedevo se ci fosse anche l'intento di creare una piccola comunità, di immaginare il Klang anche come spazio dove ci sono scambi di idee, dove avvengono cose, un po' un crocevia che possa giocare sia sull'apertura e la circolazione delle idee ma anche su un'identità, sul fidelizzare le persone.
Durante tutto il lungo percorso dei preparativi, ci siamo spesso ritrovati a fare qualche piccolo spoiler ad amici e persone più o meno direttamente collegate a noi e ovviamente al target a cui in prima istanza avevamo intenzione di rivolgerci. E la reazione di tutte queste persone è sempre stata quella di dirci che un posto come Klang sarebbe stato un autentico sogno. Piano piano abbiamo preso consapevolezza del fatto che erano in moltissimi a sposare la nostra visione, così come a condividere l’idea di quello che per noi era “il posto dei sogni”. Ed è quindi stato un attimo che, ancor prima di aprire o di iniziare una vera e propria comunicazione dedicata, in tanti ci chiedevano sempre più informazioni, sentendosi già parte di uno spirito comune, prima ancora di vedere lo spazio o capire esattamente come si sarebbe svolto il tutto. L’idea della “comunità di sognatori” è venuta quindi piuttosto naturalmente e ci sembrava assolutamente adeguata a descrivere ciò che volevamo raggiungere e creare: un luogo in cui tanti onirici visionari potessero riunirsi e condividere parole, sapori, flussi di coscienza, suoni e vibrazioni. Quindi sì, creare una vera e propria community di klangers è certamente un obbiettivo a cui miriamo, e mi sento di dire che i risultati siano già piuttosto evidenti.
Cinque cose che hai imparato da novembre a oggi gestendo una macchina complessa come il Klang.
Dirò cose abbastanza banali, o quantomeno che non si scoprono gestendo un locale. Di fatto penso sia più che altro il riscontrarle quotidianamente e su una scala di persone piuttosto ampia a renderle in qualche modo delle pseudo verità.
– C’è davvero molta più gente genuinamente e sinceramente appassionata di musica di quanto si pensi
– al contrario, davvero tanta gente che dice di esserlo e che se ne riempie costantemente la bocca, è in realtà soltanto molto molto tristemente “poserista”
– ci sono alcune dinamiche umane fortemente radicate nell’anima di questa città che, per quanto si possa cercare di combattere, ci faranno rimanere sostanzialmente provinciali ancora molto a lungo
– quando si ha qualcosa da dire, le scelte fatte seguendo realmente le proprie inclinazioni e la propria identità, prima o poi finiscono sempre con il ripagare chi le intraprende
– c’è veramente un universo di musica da scoprire e ascoltare, ed è davvero un reato non dedicarsi a questa continua scoperta con tutti noi stessi