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CURA. o dell’importanza di essere Basement

Lo spazio espositivo con la rivista intorno, compiuti i dieci anni raddoppia con una nuova sede a poche centinaia di metri dalla prima, sempre nel quartiere Prati. Ci siamo fatti raccontare tutto in questa intervista

Written by Nicola Gerundino il 15 February 2023
Aggiornato il 16 February 2023

Place of residence

Roma

L’esperienza di CURA. continua a essere tra le più singolari del panorama contemporaneo, non solo di Roma, ma dell’Italia tutta. Da una parte una piattaforma editoriale semestrale, arrivata al momento al numero 39 e con un 40esimo numero speciale in programma per fine aprile, dall’altra uno spazio che ospita solo show e progetti firmati da artisti e artiste nazionali e internazionali. Senza dimenticare la curatela di mostre, festival, progetti stie-specific o la direzione artistica di biennali come quella di Belgrado e parecchie altre collaborazioni. Nel 2022 il Basement fondato da Ilaria Marotta e Andrea Baccin ha compiuto i dieci anni di attività espositiva e si appresta a salutare la nascita di uno spazio gemello: un vecchio garage seminterrato – si rimane quindi rigorosamente sottoterra – ancora più ampio della prima sede. Il nuovo Basement Roma sarà quindi dedicato alle nuove generazioni di artisti internazionali, ai nuovi media, alla cultura digitale e ai nuovi linguaggi, mentre Basement Roma Studio (lo spazio storico di Via Ricciotti) rimarrà il cuore dell’attività editoriale e dell’archivio. Un ampliamento dell’attività lavorativa e curatoriale che è anche un gesto di amore e di rilancio verso un quartiere che sta cambiando, non sempre in meglio.

 

Sono passati dieci anni dall’inizio dell'attività espositiva di Basement Roma. Partiamo con un bilancio di questo spazio. Cosa ha significato e continua a significare per voi?

Il Basement è nato con CURA. nel 2009, mentre l’attività espositiva è stata avviata dal 2012 con i primi progetti e le prime mostre che ne hanno definito nel tempo l’identità. Come dice Anthony Huberman, curatore della John Giorno Foundation di New York con il quale stiamo lavorando a un progetto sui basement, essere “basement-based” è uno “state of mind”, e per noi indubbiamente è sempre stato così. Dal primo basement siamo passati ora a un garage, anche questo seminterrato. Pertanto possiamo dire che il bilancio di questi anni è anch’esso “basement-based”, nel senso che per anni abbiamo vissuto in un basement, a ogni ora del giorno e della notte, e lì sono nati i numeri della rivista e le mostre con gli artisti. In quel periodo, gestire contemporaneamente una rivista e avere uno spazio espositivo era una cosa che in pochi capivano in Italia. Il modello era ancora codificato su ruoli molto specifici. Noi avevamo un’idea diversa: guardavamo a New York dove i ruoli erano ibridi e permeabili.

C’è un artista o una mostra a cui siete particolarmente legati?

Ovviamente molte. La magia di Basement Roma è sempre stata la sua energia vitale, le persone che l’hanno vissuto e la continua metamorfosi, la capacità di modularsi e trasformarsi, pur con i propri limiti.

Quando e perché è nata l’idea (o l’esigenza) di un nuovo spazio?

Perché guardiamo al futuro e vogliamo darci la possibilità di lavorare in uno spazio più ampio, più aperto, che risponda alle esigenze degli artisti e dei lavori. Uno spazio che a Roma, allo stato attuale, non c’è. Abbiamo anche voluto prendere le distanze da una parte di quartiere che è in piena gentrificazione, con una riconversione di locali storici in posti nei quali facciamo fatica a ritrovarci. Il quartiere sta cambiando e stanno cambiando i suoi abitanti. Spostandosi di soli 500 metri il contesto è molto diverso.

Cosa rappresenta per voi e per il vostro lavoro questo quartiere, Prati?

È il quartiere in cui viviamo e nel quale ci piacerebbe vedere un cambiamento. È pertanto il quartiere sul quale vogliamo investire energie e risorse.

Siete mai stati attraversati dalla curiosità di vivere e lavorare un'altra porzione di città?

Siamo stati invitati più volte a spostarci per fare rete. In realtà stiamo bene dove siamo e ci è sempre piaciuto essere un po’ defilati dai quartieri “di moda”. Allo stesso tempo, le situazioni che ci hanno portato a pensare di spostarci avrebbero creato “alleanze” che non avrebbero retto nel tempo, mentre la nostra autonomia è sempre stato il nostro punto di forza. Il Tevere lo abbiamo comunque attraversato diverse volte, collaborando con altre realtà attive a Roma: da Frutta nel 2013, poi Fondazione Giuliani, MAXXI, Fondazione Nomas, American Academy in Rome e più di recente Villa Medici. Rimane il problema che per noi è più facile arrivare a Fiumicino e prendere un volo che non andare in altre parti della città.

Cosa succederà nel nuovo spazio di CURA. e come si differenzierà l’attività nelle due sedi?

Il nuovo Basement Roma ospiterà la principale attività espositiva, da sempre concepita come un’estensione fisica della ricerca editoriale di CURA., con un focus sulle nuove generazioni di artisti internazionali, i nuovi media, la cultura digitale e i nuovi linguaggi, e in generale un interesse verso le proposte più attuali della scena artistica contemporanea. Basement Roma Studio (lo spazio storico di Via Ricciotti) rimarrà il cuore dell’attività editoriale e dell’archivio. L’idea è quella di differenziare l’attività con progetti altri, tra cui il prossimo che sarà lanciato a marzo con Jeremy Deller. Ma non escludiamo la possibilità di creare delle partnership con attori pubblici o privati per progetti di residenza o altro, o che vi possa essere un’estensione di uno spazio nell’altro.

Chi e cosa vedremo nell’evento espositivo inaugurale?

Inaugureremo con la prima mostra personale in Italia della giovanissima artista francese Sara Sadik, classe 1996. La mostra, intitolata “Xenon Palace: Crystal Zastruga”, è stata interamente concepita per il nuovo spazio e presenterà una nuova produzione dell’artista. Inoltre, è nata da una collaborazione tra istituzioni pubbliche e private, per cui si muoverà all’Accademia di Francia a Roma con una performance di tre giorni il prossimo aprile e sarà rielaborata in un secondo capitolo per la Kunsthalle Lissabon, istituzione co-curatrice del progetto, a fine giugno 2023. La mostra è stata concepita come un’installazione multimediale che dà forma a un futuristico hookah lounge, un luogo in cui l’artista esplora la dimensione magica dell’infanzia che prende forma nell’età adulta, e in cui il suo protagonista, interpretato da Émile-Samory Fofana, trova qui il suo paradiso di pace, capace di lenire la solitudine e la tristezza della propria esistenza. Il lavoro di Sara Sadik è a metà strada tra fiction e documentario, esperienze quotidiane, biografia, videogiochi, fantascienza e rap francese, ed è incentrato su temi dell’integrazione, dell’identità ed emarginazione, in una società islamofobica, ancora profondamente discriminante e permeata da un razzismo istituzionalizzato e un processo di de-simbolizzazione.

Potete già dare qualche anticipazione su prossimi ospiti e interventi del 2023?

A maggio apriremo la prima mostra in Italia dell’artista turco Özgür Kar.

Parlando sempre di spazi, negli anni pandemici qui a Roma c'è stata un esplosione - non so se imprevista e imprevedibile, magari questo potete dircelo voi - di spazi indipendenti, gestiti il più delle volte direttamente dagli artisti. Innanzitutto vi chiedo un vostro parere su quello che è successo e succede tuttora.

Ci sono spazi come CASTRO che fanno un ottimo lavoro continuativo sulla città. Altri spazi, non tutti, sono state meteore frutto di interessi privati. Se questo ha creato delle opportunità per giovani artisti e curatori comunque va bene. Non sappiamo molto altro.

Ci sono delle realtà che vi piacciono e degli artisti che da qui sono emersi di cui apprezzate il lavoro?

Apprezziamo il lavoro di alcune gallerie come Ada, che stanno investendo nel lavoro di giovani artisti, tra cui Gaia Di Lorenzo, Andrea Mauti e Diego Gualandris. Poi ci sono artisti ancor più giovani che stanno uscendo dalle scuole e dalle accademie. C’è sicuramente una nuova energia e generazioni giovanissime che si stanno affacciando sulla scena.

Da un certo punto di vista, in città siete stati tra i precursori di questo fenomeno, visto che il Basement ha aperto più o meno nel “momento d’oro” delle fondazioni.

Basement Roma ha aperto quando il fenomeno delle Fondazioni (e dei nuovi musei romani) era sulla bocca di tutti. Certamente ci si divertiva di più e c’era molta più energia in città. Circolava tanta gente, tanti opening e moltissime cene. Per quel che ci riguarda però, non abbiamo mai avuto un beneficio diretto. A quel tempo eravamo i più giovani in città e la strada da fare era ancora molto lunga.

In generale, quanto è importante nell'arte contemporanea la gestione diretta di uno spazio, che sia espositivo o di lavoro più “tradizionale”? Quanto è importante poi in una città come Roma, dove il mercato si mantiene sempre a un volume non grandissimo?

La gestione diretta di uno spazio ti dà la possibilità di svicolarti dalla politica, dai giochi di potere, dalle pressioni. E ti dà un’autonomia intellettuale che un lavoro istituzionale invece non offre. Siamo tutti sottoposti a pressioni di vario tipo, ma è più facile liberarsene. Rispetto al mercato di Roma, è un tema che ci riguarda poco. Non siamo mai stati direttamente interessati al mercato, anche se naturalmente lo seguiamo e condiziona un po’ tutto.

Parlando ancora di città, dal 2012 a oggi cos’è cambiato, sempre dal punto di vista del contemporaneo? Che città era Roma e che città potrebbe essere?

Come dicevamo prima, allora c’era più progettualità intorno al “brand Roma”. Gallerie, fondazioni e collezionisti cercavano alleanze. Ma poi i soldi sono finiti, le spinte si sono affievolite, alcune gallerie hanno chiuso, altre hanno cambiato direzione artistica, le fondazioni hanno perso potere e chi è rimasto si è un po’ rintanato nella propria attività. Roma potrebbe essere una città meravigliosamente contemporanea. Invece è una città difficile, ma allo stesso tempo meravigliosa forse proprio perché non è contemporanea.

Come anticipato prima, la mostra di Sara Sadik si sposterà a Villa Medici e l’inaugurazione sarà preceduta da un talk alla Soho House. In città ci sono più possibilità e occasioni di fare rete? È cambiato qualcosa nella sua mente collettiva?

Soho House Rome ha avviato una collaborazione con CURA. per una serie di talk e video screening che abbiamo chiamato The Art Room. Artisti che lavorano sull’immagine in movimento, che presentano in questo contesto nuovi lavori e sono messi a confronto con curatori come Martha Kirszenbaum, che verrà a Roma per il Q&A con Sara Sadik. Purtroppo il programma è riservato solo ai membri Soho House e a una lista strettissima di ospiti. Lo stesso programma, se portato in un museo, avrebbe un impatto molto diverso, con un’audience più ampia e allargata a studenti e giovanissimi che invece lì non hanno accesso. Comunque la nuova presenza di Soho House ha creato sicuramente energia e movimento. Parlando invece dell’Accademia di Francia, la nuova direzione di Sam Stourdzé e il suo team le stanno dando una vitalità tutta nuova: moltissime attività, progetti, programmi e contaminazioni interessanti in dialogo con la città. Non contano le istituzioni: contano le persone che ci lavorano. E siamo molto felici della nostra partnership con loro.