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Una nuova casa per la pratica artistica: INDEX

Daria Deflorian e Muta Imago posano la prima pietra di un nuova piattaforma che accoglierà artistə e progetti che spazieranno dal teatro contemporaneo alla performance (e non solo). Ne abbiamo parlato in questa intervista

Written by Nicola Gerundino il 8 February 2024
Aggiornato il 9 February 2024

Muta Imago - "Tre Sorelle". Foto di Luigi Angelucci.

Place of residence

Roma

Una struttura dai confini aperti, in costante espansione e dalla forma modulabile, come un alveare che in ogni cella contiene protagonisti e idee, diverse ma in qualche modo comuni, condivise. INDEX nasce da una volontà, prima ancora che da una necessità: fare rete per poter rilanciare e aumentare la posta in palio, “un progetto artistico, produttivo e curatoriale a partire dal quale poter immaginare azioni condivise, che andassero oltre la cura delle produzioni delle singole compagnie”. Daria Deflorian e Muta Imago, con il supporto iniziale di Antonio Tagliarini, hanno iniziato questo percorso nel 2021, in piena epoca pandemica, tenendolo sottotraccia per circa tre anni. Ora che la casa è pronta è tempo di invitare i primi ospiti e far conoscere le realtà che nel frattempo hanno abitato i suoi spazi. Eccoci dunque arrivare Firmamento: una settimana – dal 13 al 18 febbraio al TeatroBasilica – in cui si alterneranno incontri, studi, percorsi e collaborazioni tra teatro contemporaneo e performance, che vedranno protagonisti, oltre ai fondatori, anche Gaia Ginevra Giorgi, Extragarbo, Giovanni Onorato, Arianna Pozzoli, Gabriele Portoghese, Blastula.scarnoduo, Attilio Scarpellini, Giulia Scotti, Tilia Auser, Lorenzo Tomio e Viola Lo Moro. Ne abbiamo parlato in questa intervista collettiva a cui hanno partecipato Daria Deflorian, Claudia Sorace, Riccardo Fazi (i due Muta Imago) e Francesco Di Stefano, responsabile della comunicazione di INDEX.

 

Il progetto INDEX è nato da poco, ma si basa su storie artistiche e lavorative molto lunghe e ricche. Inizio quindi col chiedervi come è maturata l'idea del progetto: quali sono stati i desideri, le visioni, le pratiche e le consapevolezze che lo hanno determinato?

Claudia Sorace: Eravamo giusto alla fine della pandemia. Il senso e lo spirito di un momento di possibilità, di trasformazione, di cambiamento erano nell’aria, forse più di ora, grazie al tempo che ci eravamo concessə per processare, per stare, per aprire spazi di immaginazione. In noi c’era un forte desiderio di dare nuove forme a ciò che già conoscevamo, alle modalità produttive esistenti in Italia che ci avevano accompagnato fino a quel momento. Mantenere l’indipendenza, dialogare con le strutture stabili, ma allo stesso tempo immaginare delle rotte più ampie, aprire lo sguardo verso orizzonti che volevamo fossero sempre più condivisi, orizzontali, ambiziosi e desideranti: questi erano gli auspici. Forti delle esperienze maturate all’estero, degli incontri, delle scoperte fatte, abbiamo iniziato a muovere i primi timidi passi verso la costruzione di un percorso produttivo inedito: una nuova casa, più grande, più mobile, più aperta, più coraggiosa.

Quando avete iniziato a parlarne per la prima volta? C'è stato un evento o un incontro "scatenante", da cui è nato tutto?

Daria Deflorian: Come dice la poetessa Wislawa Szymborska in un suo testo: “Ogni inizio è solo un seguito”. Con Muta Imago abbiamo attraversato insieme momenti importanti della recente storia del teatro indipendente romano, di cui nomino le due storie più lunghe e significative: “Perdutamente”, il progetto di abitazione del Teatro India durante la direzione di Gabriele Lavia del 2013 e i cicli di trasmissioni durante e subito dopo la pandemia di Radio India (2019/2020) curati da Francesca Corona, illuminata consulente del Teatro di Roma per il Teatro India di quel periodo. Esperienze forti e formative di modelli di co-creazione, mixate a indipendenza e
progettualità individuale, allenamento al confronto, al compromesso, al rilancio di idee. Questo bagaglio ce lo siamo ritrovatə quando nel 2021 abbiamo immaginato di unire le forze per poterci permettere, grazie al Fus, di costituire un gruppo di lavoro vero e proprio,
organizzativo, distributivo, amministrativo e di comunicazione ancora prima che creativo. Un cappotto, mi viene da dire, che ci permettesse di affrontare il freddo del sistema teatrale italiano. La prima parte di questo triennio è stato cauta e sotterranea, ma è stato proprio questo a rafforzare la giustezza della scelta. Radici solide che si chiamano Valentina Bertolino, Grazia Sgueglia, Silvia Parlani, Francesco Di Stefano.

Quanto è importante per chi si muove in ambito teatrale e performativo avere una casa, una piattaforma sulla quale appoggiare il proprio lavoro?

CS: Abbiamo sempre fortemente creduto nel valore dell’indipendenza, pur essendo profondamente consapevoli dell’importanza del dialogo con tutte le strutture e le realtà produttive con le quali entriamo in relazione quotidiana nel nostro lavoro. Indipendenza non significa autoproduzione, né l’insignificante e nociva idea di libertà come possibilità di muoversi da soli: l’indipendenza è l’esatto opposto della solitudine. Avere una casa significa costruire attorno a sé un luogo fertile e sicuro, libero di assumere le forme ogni volta più giuste per poter entrare in relazione con il reale. Significa poter rispettare tutto ciò che riteniamo fondamentale del lavoro che facciamo: proteggerlo, proteggere le relazioni, le dinamiche lavorative; proteggere il tempo necessario della ricerca e dello studio, proteggere la libertà di poter essere sé stessə. Significa poter ogni volta rinegoziare noi stessə per poi incontrare il mondo nella maniera più significativa e necessaria.

DD: Nella mia risposta precedente ho parlato del calore di un cappotto per affrontare il freddo – il gelo, a volte – del sistema teatrale italiano che, come tutta la società, si è polarizzato tra una ricchezza sempre più nelle mani di pochi – magari anche generosi, ma che governano le scelte – e la povertà di molti. Sparita o in via di sparizione la classe media, spariti o a rischio sparizione in campo teatrale luoghi, associazioni, progettualità medio-piccole. Stiamo provando a diventare una casa, non tanto in senso fisico – anche se sarebbe bellissimo e importante averla, ma spero che quella proveremo a pretenderla come ampia area artistica romana – ma in termini di accoglienza. Crediamo che sia fondamentale non solo per chi riceve quell’accoglienza ma anche per chi la dà. Provo a spiegarmi. Progetti come “Vivarium”, aree di collaborazione come “Sidera” permettono al tempo sommerso del teatro di essere un tempo di valore e di crescita reciproca. Relativizza ossessioni creative e competitive, allarga gli orizzonti – nuove musiche, nuovi film, nuovi libri- e aspetti faticosi come la ricerca di luoghi di prova o di collaborazioni. Momenti che il pubblico non vede, ma che sono l’humus che permette la bellezza e che, comunque, diventano pezzi di vita vivibile, a volte divertente. “Che cosa mangia la macchina dei soldi?”, ha detto William Burroughs. “Mangia spontaneità, vita, creatività. Mangia qualità e caga quantità”. Proviamo a non farci fagocitare dalla macchina (o dal meccanismo) dei soldi e farlo insieme diventa (un po’ più) possibile.

Avete citato "Sidera" e "Vivarium", le due ramificazioni del progetto INDEX. Potete raccontarci di cosa si tratta?

CS: Vivarium è stato il primo desiderio. Volevamo che questa casa chiamata INDEX avesse stanze sempre libere, dedicate alle e agli ospiti e alle scoperte che possono portare. Fin da subito abbiamo deciso che INDEX dovesse contenere e immaginare le modalità attraverso le quali poter dialogare con nuovi percorsi creativi e produttivi. Abbiamo quindi dedicato tempo ed economie per costruire un luogo che, nel rispetto e nei limiti di ciò che ci è possibile fare e offrire, potesse avere cura non solo dei nostri percorsi artistici, ma anche di quelli di artiste e artisti che sentiamo affini e di cui amiamo il lavoro. Ci abbiamo messo due anni per immaginare il modo giusto di strutturare Vivarium, che oggi ha la forma di un percorso biennale di affiancamento artistico e produttivo nei confronti di artistə non anagraficamente ma artisticamente giovani, che entrano o che stanno entrando nel circuito lavorativo del teatro e della performance. Ne fanno parte oggi Giovanni Onorato, Gaia Ginevra Giorgi/Extragarbo e Giulia Scotti. Sidera invece è la casa stellare dei compagni di viaggio “adulti”, le cui pratiche contribuiscono a disegnare un firmamento di artiste e artisti che per un tratto del loro percorso condividono con noi la loro luce, così da disegnare costellazioni: a oggi sono Antonio Tagliarini e Monica Demuru/Blastula.scarnoduo.

In questo mese di febbraio ci sarà un primo importante appuntamento in cui INDEX potrà presentarsi al pubblico: Firmamento, una settimana di appuntamenti al Teatro Basilica. Ce ne potete parlare?

Francesco Di Stefano: Il pubblico già conosce il lavoro di Daria e dei Muta Imago ma, nonostante INDEX sia già nata da diversi anni e abbia già avuto alcuni timidi momenti di emersione, siamo consapevoli del fatto che sono ancora poche le persone che conoscono e riconoscono la nostra realtà in quanto tale. Ci abbiamo messo un po’ a trovare il modo e il momento giusto in cui annunciarci e annunciare il nostro lavoro, abbiamo dovuto prima chiarire a noi stessə cosa volessimo trasmettere, ci siamo domandatə quale fosse la modalità più coerente per presentarci: un testo? Un manifesto? Un’intervista? Un comunicato? Alla fine abbiamo optato per ciò che ci viene meglio: il fare, insieme. La vittoria di un contributo attraverso il programma “Per Chi Crea” – che sostiene i progetti di Vivarium all’interno della rassegna – ci è parsa l’occasione perfetta. Ed è nato così Firmamento. Ci piaceva l’idea che Firmamento diventasse un momento di presentazione di una geografia di azioni; un racconto condiviso nel tempo e nello spazio di una progettualità in divenire che intreccia generazioni, formati e modalità di incontro con il pubblico; una maniera diretta e gioiosa per incontrarsi. Ci piaceva l’idea che tutto l’universo INDEX si spostasse per una settimana (dal 13 al 18 febbraio) in un luogo condiviso: sono diciassette gli appuntamenti che vedono coinvoltə oltre 20 aritsə, tra il TeatroBasilica e la galleria Sala 1 – Centro Internazionale d’Arte Contemporanea. Ci piaceva l’idea che la natura prismatica di INDEX si riflettesse in tutti gli aspetti della rassegna, programmando lavori in diverse tappe del proprio percorso — che siano studi, anteprime, debutti o spettacoli che tornano a Roma dopo anni di assenza — di diversi generi — dalle performance site-specific al teatro musicale, dai concerti alle lezioni-spettacolo, dalle radio letture alla stand-up poetry — e di formati differenti — dai brevi interventi alle durate più canoniche. Ci piaceva l’idea di offrire al pubblico una panoramica articolata, una trama complessa di incontri e confronti, un’esperienza riflessiva e connettiva che incarna la nostra visione per INDEX e il suo percorso evolutivo.

Immagino che INDEX avrà come suo centro nevralgico Roma, ma, ugualmente, immagino che sarà una finestra aperta su tante altre città e territori.

Riccardo Fazi: Roma è la casa fisica attuale della direzione artistica di INDEX, ovvero di Daria Deflorian, Riccardo Fazi e Claudia Sorace. Non poniamo limiti alle possibilità di sconfinamenti, né esiste un criterio geografico sulla base del quale entriamo in relazione con altri percorsi artistici.

Parlando di Roma, che città è secondo voi dal punto di vista della produzione e fruizione culturale? Cosa c'è e cosa manca?

RF: A Roma manca da tempo un progetto culturale serio, da ogni punto di vista. Mancano persone che amino veramente il bene pubblico, figure che decidano di mettere in campo visioni di lunga durata, che orgogliosamente riescano ad immaginare la possibilità di cambiamento in una città che non ha niente di meno da offrire rispetto ad altre capitali europee. A ogni cambio di direzione la politica smantella tutto ciò che prima era stato fatto, le buone come le cattive pratiche. Le istituzioni pubbliche faticano a mettere in campo un qualsiasi tipo di progettualità sul lungo termine. La ricchezza della comunità artistica che da anni lavora e produce a partire da Roma viene vissuta come un problema da risolvere e non come un’opportunità unica con cui entrare in relazione.

Parlando di mancanze, tempo fa ci fu un appello per non cancellare i progetti di residenza che avevano abitato per un biennio circa gli spazi del Mattatoio. Appello, come prevedibile, non colto. Vi chiedo quanto sia importante un sostegno pubblico a progetti di crescita e sperimentazione e se una realtà come INDEX può colmare questi vuoti.

RF: La vicenda del Mattatoio mi sembra esemplare rispetto a ciò di cui parlavamo prima. Il progetto di Ilaria Mancia ha trasformato un luogo vuoto, senza identità e desolato, in un terreno di produzione, incontro e visione. In quei due anni negli spazi del Mattatoio esistevano residenze e sostegni produttivi, laboratori gratuiti aperti alla cittadinanza, festival legati al rapporto tra arte visiva e performativa. Da quello che so, la nuova giunta non ha minimamente provato a comprendere cosa stava accadendo in quel luogo e come e cosa poteva salvarsi per poter contribuire a non disperdere il lavoro fatto sul pubblico, sull’identità e sul senso di un luogo come quello. La visione di Francesca Corona e di Giorgio Barberio Corsetti al Teatro di Roma durante la loro direzione artistica, quella di Ilaria Mancia al Mattatoio, così come quella che sta portando avanti Piersandra Di Matteo con Short Theatre, hanno contribuito in questi anni a riposizionare Roma al centro di un discorso sul contemporaneo la cui assoluta necessità oggi non può più essere negoziabile, né demandabile solamente al nobile sforzo di fondazioni come Romaeuropa. Non esiste possibilità di ricerca, scoperta e sperimentazione senza il sostegno pubblico: nel campo dell’arte come in quello della scienza o della formazione o dello sport. E se ricerca, scoperta e sperimentazione spariranno, sparirà presto con loro il concetto stesso di popolazione, di identità culturale intesa come spirito, energia, desideri e visione comuni di futuro di milioni di persone che abitano vicine le une alle altre. Cosa può fare INDEX per tutto questo? Difficile dirlo. Ci muoviamo per cerchi concentrici, a partire dall’ombra che proiettiamo sul terreno. Il sogno è che a poco a poco il raggio d’azione si ampli sempre di più e che quantomeno a livello di esempio INDEX possa essere di ispirazione anche per altre azioni, altre immaginazioni.

Allo stesso modo, visti i problemi di governance attuale del Teatro di Roma, vi chiedo un vostro parere sul rapporto che sussiste in Italia tra produzione teatrale e istituzioni. Cosa funziona, cosa no e in che direzione bisognerebbe andare?

DD: Sono state settimane dense di fatti e di parole, quest’ultime per il destino di quello che tanti e tante di noi considerano una casa, il Teatro di Roma, in particolare il Teatro India, spazio per il contemporaneo voluto nel 2000 da un (indispensabile!) gesto di Mario Martone, direttore in quegli anni del TDR insieme con l’allora assessore alla cultura del Comune Gianni Borgna. Non faccio politica attiva in campo teatrale, non è nella mia natura, ma penso tutte le scelte artistiche, produttive, collaborative come importanti gesti politici, di equità e di rispetto. Non posso quindi dare risposte, che saranno invece date dall’assemblea fortemente partecipata che si è creata qui a Roma – ma che sono convinta si allargherà, perché le questioni non sono romane, ma nazionali. Posso dire che è necessario, ineluttabile creare alternative finanziate pubblicamente fuori dalle grandi istituzioni teatrali create da una legge sul teatro sbagliata. Una sana concorrenza tra strutture medio piccole e grandi istituzioni è indispensabile per far crescere senza forzature nuove creatività. Sottolineo che servono soldi pubblici per questo progetto. Noi artistə indipendenti da anni – da quando faccio teatro e non è da poco – forniamo linguaggi, performer, modelli, testi e quant’altro ai grandi teatri. Ma non abbiamo quasi più luoghi, né risorse. Ce li meritiamo, lo abbiamo dimostrato e lo dimostreremo.

In quest'ottica, INDEX potrebbe essere un "corpo intermedio" capace di potere dialogare con un peso maggiore, potendo già contare su una pluralità di voci al suo interno?

DD: Al momento INDEX può fare poco. Fa quello che possono fare le sue ridotte risorse e il nostro entusiasmo. Noi possiamo essere uno tra i tanti, diversi, tutti interessanti, modelli di alternativa allo stato delle cose. Forse, se saremo premiatə per quello che stiamo facendo (è un’illusione?), potremmo fare qualcosa di più nel prossimo triennio, ma non corrono certo voci rassicuranti sulle nuove assegnazioni del Fus. Sicuramente siamo allenatə a fare, a inventare formati, a rimpicciolirci e poi a fare qualche fuoco artificiale. Insomma, per usare il latino che ci piace assai: “mala herba non interit”, l’erba cattiva non muore mai. Qualcuno ci considera infestanti. In effetti lo siamo.

Quali saranno i prossimi progetti di INDEX?

Una volta concluso Firmamento, per qualche mese l’attività di INDEX tornerà a manifestarsi principalmente attraverso i progetti individuali delle/degli artistə che ne fanno parte: tra spettacoli in tournée e nuove produzioni che debutteranno nel 2024 ci aspettano dei mesi molto intensi, ma anche, speriamo, pieni di soddisfazioni. Da una parte Daria tornerà a portare in scena “Elogio della vita a rovescio” e inizierà a lavorare a “La vegetariana”, seconda tappa di un progetto attorno al lavoro della scrittrice sudcoreana Han Kang; dall’altra i Muta Imago proseguiranno le tournée di “Ashes” e di “Tre sorelle”, mentre lavorano a un nuovo progetto che debutterà a marzo al FOROF di Roma. Parallelamente, anche per le/gli artistə che fanno parte di Sidera e di Vivarium il 2024 sarà un anno importante. Per dirne solo due, sia Gaia Ginevra Giorgi che Giulia Scotti debutteranno con i loro nuovi lavori. In ogni caso, mentre la direzione artistica torna a dedicarsi ai propri spettacoli e ai propri progetti personali, sappiamo già quale sarà il prossimo appuntamento che lə vedrà unire le proprie forze e dar vita a un nuovo momento artistico inedito. Siamo infatti già al lavoro su quello che sarà “In una qualunque parte del pianeta”, un progetto nato grazie a e in occasione dell’Estate Romana che, dopo essersi manifestato a Tor Bella Monaca nel 2022 e nella Stazione Termini nel 2023, torna per il terzo anno consecutivo, quest’anno nella seconda metà di giugno negli spazi di Piazza Vittorio. È un progetto al quale teniamo molto: parte laboratorio, parte residenza creativa, parte ciclo di incontri, parte performance site-specific che ci vede quest’anno collaborare con il collettivo Extragarbo. E poi chissà, magari Firmamento tornerà anche nel 2025 diventando un appuntamento annuale che con regolarità ci permetterà di volta in volta di presentarci e ripresentarci, di confrontarci tra noi e con il pubblico, di sperimentare nuove strade e riesplorarne di vecchie, di riflettere sul nostro presente e fantasticare sul nostro futuro.