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Gianni Rosace

Il rituale delle domeniche di luglio attraverso diciannove edizioni e poche, semplici regole.

Written by Chiara Colli il 17 June 2015
Aggiornato il 23 January 2017

Foto di Luciano Fm Genovese

Domanda a bruciapelo: quanti festival musicali estivi romani con una storia lunga quasi vent’anni, che non sono mai scesi a compromessi dal punto di vista qualitativo e che sono rimasti rigorosamente gratuiti vi vengono in mente?
Probabilmente nessuno, o al massimo uno. HALF DIE. Rimedio oltremodo efficace e gradito contro tedio e afa delle domeniche delll’estate romana, HALF DIE (nome che, a quanto pare, è stato preso in prestito “dai siti porno delle persone anziane”) non è solo una certezza, ma un vero e proprio rituale a cui il pubblico partecipa osservando le (semplici) regole del padrone di casa, GIANNI ROSACE.

Musicista prima con GIANNIMUSIC e oggi batterista dei NEON FOREST, nella seconda metà degli anni 90 Gianni diede forma a un’idea che sarebbe diventata (o forse meglio dire “tornata”) di moda negli ultimi anni: più o meno al tramonto, nelle quattro domeniche di luglio, HALF DIE ospita concerti, in particolare elettronica, musica sperimentale e indie rock, e pubblico capitolino su una magnifica terrazza – il Morpurgo Roof – al cospetto dell’acquedotto romano (in una location “segreta” che non saremo certo noi a svelarvi, ma che potete scoprire mandando un’email a wulfang@infinito.it, la stessa utile per partecipare all’evento). Tutto ciò “senza scopo di lucro”, cioè GRATIS.

Un appuntamento unico e sempre più amato dai romani che Gianni ha portato avanti per 19 (d i c i a n n o v e !) edizioni non senza sforzi, con il suo stile sobrio (nonostante le svariate birre ghiacciate consumate sul Roof) e una notevole coerenza nella direzione artistica. Nel pieno dell’edizione di quest’anno, partita un po’ prima del solito nell’ultima domenica di giugno con il live dei londinesi The Kvb – e che prosegue a luglio con Lisa Alma, Imandra Lake e Aidan Baker – abbiamo pensato di intervistare Gianni per conoscere la storia di HALF DIE e il suo rapporto con Roma. Ma pure per ingraziarlo di tutte le domeniche noiose e appiccicose che ci ha svoltato in questi anni.

Prima del botta e risposta, un doveroso ripasso delle raccomandazioni che tutti i partecipanti ad Half Die dovrebbero diligentemente seguire.

– Si entra fino ad esaurimento posti
– Portare da bere
– Venire esclusivamente se interessati alla musica
– Non è un aperitivo né un party
– No scarpe aperte

Half Die-Festival-Roma-Zero

ZERO: Quali sono state le tue prime esperienze in ambito musicale, sulle quali ha attecchito un’esperienza così resistente al logorio del tempo (dei gusti, delle mode, delle abitudini, delle tecnologie…) come Half Die?

GIANNI ROSACE: Mio padre aveva una stanza con lo stereo e i dischi, ma era talmente maniaco dell’ordine che la chiudeva a chiave per paura che noi tre figli potessimo scombinare il suo disegno. Ascoltava la musica solo di domenica e io ci buttavo un orecchio, per molti anni ho faticato ad ascoltare la musica negli altri giorni.

È arrivato prima Giannimusic o Half Die? Prima ancora c’è stato “altro”?

Uno dei motivi per cui è nato Half Die è stato per far suonare la mia band di allora, Slow Motion. Giannimusic è venuto dopo.

Half Die: quasi 20 edizioni, quindi già nella seconda metà degli anni 90 hai avuto un’illuminazione che in Italia sarebbe stato un trend assai più tardi – i concerti segreti, gli house concert, per capirci. Domanda d’obbligo, come ti è venuta l’idea di Half Die, c’è stato qualcosa in particolare che ti ha ispirato? Un contesto, un pretesto, una necessità, anche un imprevisto…

È stato assai casuale. Ho sempre odiato i condomini, quando la mattina mi sveglio non ho voglia di parlare con nessuno finché non ho preso cappuccino e cornetto al bar, odiavo vivere nell’angoscia di incontrare qualcuno nell’ascensore… Vabbé, forse l’ho presa troppo alla larga, comunque quando avevo 26 anni e cercavo una casa per vivere da solo mi indirizzai subito su catapecchie isolate e ne trovai una grazie a dei miei amici, si trattava della casa del custode del garage dei pullman della Carrani tours a Portonaccio. Fu amore a prima vista, anche perché aveva questo tetto con affaccio sul Verano che divenne, piu per caso che per idea, la sede del primo Half Die. Era il 1996. Il festival è stato più o meno sempre sul tetto, a parte nell’estate del 2006, in cui stavo per cambiare casa, il Roof non era ancora pronto e c’è stata un’edizione di transizione in spiaggia.

Half Die-Festival-spiaggia-Roma-

Che forma aveva all’inizio il festival? Come ti occupavi degli inviti, della comunicazione? Insomma, com’era Half Die prima del 2.0?

Finché sono stato a Portonaccio, quindi Half Die 1.0, invitavo a suonare solo band romane, perlopiù amici e conoscenti, forse non usavo neanche le email a quel tempo, i gruppi invitavano i loro amici che poi spesso coincidevano con i miei… Poi c’è stato un anno in cui sono cominciati ad arrivare giornalisti in incognito che poi scrivevano di questa cosa assurda che si faceva su un tetto di una casa a Portonaccio.

Com’era Roma quando hai iniziato con Half Die? Intendo la Roma dei concerti e della cultura: quali posti frequentavi, c’erano esperienze lontanamente simili ad Half Die?

Il tempo passa e le memorie sbiadiscono, ma se non ricordo male Roma non era molto distante dall’attuale. Di esperienze come l’Half Die non ne conoscevo, per conto mio la cosa che mi ha sempre ispirato è stato leggere le storie dell’attico di Fabio Sargentini, roba tra anni 60 e 70. Ecco, ora mi hai fatto venire in mente che dovrei invitare La Monte Young all’Half Die…

La monte young-sargentini-zero-roma

Riesci a tracciare una sorta di andamento di Half Die che rispecchi o i tuoi gusti o quello che in un certo senso bilanciavi rispetto ai gruppi che c’erano, alla musica che si ascoltava in quel momento?

Sul Roof hanno suonato negli anni centinaia di progetti, faccio mea culpa perche non ho un archivio ordinato, ricordo che almeno per i primi 3 anni suonarono praticamente gli stessi musicisti: alla fine ce la suonavamo e ce la cantavamo, in piu io ero in un palese conflitto di interessi. I suoni del Roof hanno seguito l’andamento delle mie preferenze, rock poi elettronica e poi rock di nuovo… Attualmente ascolto la musica di quando avevo 20 anni, ma l’involuzione continua senza freno. Tra i vari gruppi che hanno suonato all’Half Die ci sono The Caretaker, Kiriakides & Morr, High Wolf, Demdike Stare, Raz Ohara, Rothko, Mike Cooper, Antena, Machinefabriek, Simon Scott, Paolo Angeli, Erik Skovdin, Abul Mogard, Gamers In Exile, Okapi, Giorgio Gigli… Ma sono davvero troppi per ricordarli tutti.

Demdike Stare-Half Die-Roma-Zero

Riprendendo il dualismo citato sopra, tu sei attivo sia come mente di Half Die ma pure come musicista. Hai vissuto la musica a Roma in prima persona, quali sono stati i locali, i negozi di dischi o le realtà che hanno segnato il tuo rapporto con la musica in questa città?

Negli anni 90 c’era Just Like Heaven a Torpignattara, il sabato si andava lì e ci si faceva consigliare da Mario e Giuliano, andavo al festival di Reading e frequentavo il Black Out. Inutile dire che oggi è tutto diverso, la facilità con cui si puo ascoltare nuova musica ci impedisce di soffermarci sulle cose che veramente ci interessano, si vive queste cose in modo effimero e spesso superficiale, quando invece l’arte ha bisogno di dedizione per essere compresa.

Come sono cambiati nel tempo le persone che frequentano Half Die? Immagino ci siano stati vari momenti cruciali in cui Half Die è esploso fuori dalla cerchia più o meno ampia di “riferimento”. Se sì, quando? Credi fosse legato a qualche meccanismo in particolare?

Il grande salto c’è stato nel 2001, quando un giornalista di Repubblica – Marco Occhipinti, a nome Tancredi Dell’Acqua – fece uscire un articolo sull’inserto “Musica”, di 8 pagine e con molte foto. Da quel momento altre testate si interessarono al fenomeno, il pubblico cambiò gradualmente, da musicisti amici di chi suonava si è passato a un misto di curiosi di tutti i ranghi, “disperati” in cerca di qualcosa da fare la domenica e reduci dai cancelli di Ostia. Di sicuro, il pubblico cambia di frequente, molti non tornano più, altri ci mandano gli amici, qualcuno torna sempre. Che io sappia, almeno un paio di persone hanno conosciuto la moglie sul tetto.

Immagino che una persona come te, che da così tanti anni organizza un evento gratuito e bello in una città come Roma, ne abbia viste parecchie dal punto di vista socio-antropologico. Un esempio a caso: quanto tempo c’hanno messo, gli ospiti di Half Die, a capire che non bisognava venire con le scarpe aperte?

Prima o poi mi candiederò a sindaco e la prima ordinanza che farò sarà vietare gli orrendi sandali. Ma la cosa che ancora mi fa piu ridere è quella volta che dei tizi cominciarono a imbrattare le mura del terrazzo con graffiti pensando di essere capitati a un rave.

Scarpe-chiuse-Half-Die-zero

Quanto tempo prima inizi a preparare la nuova edizione di Half Die? Come scegli i musicisti che ospiti e il “criterio” è cambiato nel corso del tempo? come ti muovi per contattarli? si tratta di una rete di contatti personali, che si è evoluta nel tempo? immagino che oggi con internet sia assai più facile, ma che percorso hai seguito per portare, che so, high wolf o demdike stare sulla terrazza?

Prima iniziavo a gennaio, quest’anno piu tardi, tanto gli artisti a gennaio non ti rispondono perché magari aspettano proposte piu vantaggiose. Una cosa che mi aiuta molto è chiedere a chi ha gia suonato di dare le referenze ai colleghi che mi piacerebbe ospitare; e poi ovviamente ci sono molti paletti: budget ridotto, band a numero ristretto, decibel accettabili, provenienza europea. Diciamo che quando sono indecisi gli propongo di portarli a mangiare il miglior calzone di Roma al Giardino Segreto.

Ci sono persone, amici, appassionati di Half Die che ti aiutano? Anche non in termini pratici ma di supporto “intellettuale/spirituale”?

Penso che lo farebbero ma ho capito che preferisco fare da solo, dalla direzione artistica (ovvio) a fare il facchino che monta lo stage: fare l’Half Die è una sorta di mia via crucis personale.

Sei mai stato contattato nel corso degli anni da persone, anche all’estero, interessate ad half die?

Ho ricevuto proposte di spostarlo in altri luoghi a fini commerciali, ma che Half Die sarebbe?

Chi beve tutta la birra che avanza?

La metto in frigo per la settimana dopo, quella dell’ultima settimana la sfrutto per l’inverno.

Una delle prime regole di Half Die è che si deve essere interessati alla musica, che non si tratta di un aperitivo: come si fa a preservare un evento del genere dal puro presenzialismo e dall’hype?

Non lo si puo fare, per questo uso tutte le mie forze per far sottostare gli intervenuti a supplizi indicibili, quali stare ad ascoltare in silenzio musica inascoltabile per 40 minuti, stare seduti su un tetto che ustiona le chiappe, portare da bere e venire con le scarpe chiuse. Non si puo tenere lontano l’hype ma si puo fare in modo che non torni.

Quali sono, invece, i luoghi della musica che frequenti oggi? Locali, negozi di dischi, anche posti “inusuali” dove si ascolta e si fa musica?

Parlarne oggi è un po’ difficile, i locali a Roma che fanno musica hanno avuto grossi problemi, negozi di dischi ce ne sono pochi e alla fine si finisce sempre per comprare sul web. Due volte l’anno mi muovo in Europa per festival in attesa che le cose in città ripartano come si deve.

Quali sono invece i posti della città dove ti piace andare a mangiare?

Sono molto abitudinario, quando vado a mangiare fuori vado sempre negli stessi posti: la pizzeria Il Giardino Segreto a Porta Furba, il ristorante indiano Bombay a piazza Re di Roma e il ristorante cinese da Sonia all’Esquilino.

Se dovessi immaginare oggi un evento come lo è stato Half die 20 anni fa, avresti qualche idea?

Allora avevo 26 anni, oggi 45: forse dovrei smettere.