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Antonio Rezza & Flavia Mastrella

Tra le figure più geniali degli ultimi trent'anni in italia - che si tratti di teatro come di cinema - Antonio Rezza e Flavia Mastrella questo dicembre saranno al Teatro Vascello con tre spettacoli e presenteranno in due sale un nuovo documentario: Milano, Via Padova; un'indagine di strada sul razzismo in Italia. Ci siamo fatti raccontare tutto da loro in persona.

Written by Nicola Gerundino il 1 December 2016
Aggiornato il 20 February 2017

Foto di Giulio Mazzi

Artisti tra i più geniali degli ultimi trent’anni. Agitatori culturali a tutto tondo capaci di muoversi tra teatro, cinema, letteratura e arti visive, Antonio Rezza e Flavia Mastrella festeggeranno nel 2017 il trentennale del loro sodalizio, senza che l’attualità e la forza del loro lavoro abbiano riportato la minima scalfittura. E senza che il tempo ne abbia intaccato l’esuberanza creativa così come la voglia di rapportarsi senza sosta al pubblico. Come ormai da consuetudine, nel mese di dicembre saranno al Teatro Vascello di Roma, con ben tre spettacoli: 7-4-21-28, Fratto_X e Anelante. Novità di quest’anno sarà invece un documentario che presenteranno il 18 dicembre al Cinema Apollo 11 e a gennaio 2017 al Cinema Palazzo di Roma: Milano, Via Padova, un documentario/inchiesta che ha come tema di fondo il razzismo in Italia. Ci siamo fatti raccontare di quest’ultimo lavoro e di altre tappe della carriera in questa intervista. Maneggiare con cautela: contiene sarcasmo.

Foto di Giulio Mazzi.
Foto di Giulio Mazzi.

 

ZERO – Ammetto che se non avessi dovuto prepararmi per questa intervista non avrei mai scoperto che vivete tra Anzio e Nettuno ed è un qualcosa che mi ha incuriosito tanto quanto mi ha sorpreso. Partirei proprio da qua.
Antonio Rezza – Io risiedo a Nettuno, Flavia ad Anzio. Sono i miei che si sono trasferiti da Novara a Nettuno quando avevo due anni, quindi non è stata una mia scelta. A due anni non capisci nemmeno che quelli sono i tuoi genitori.

Perché siete rimasti?
Flavia Mastrella – Siamo rimasti in provincia perché lì abbiamo tutto il necessario. Per essere indipendente uno deve avere gli spazi, l’aria, il tempo per lavorare. La città, oltretutto, è più cara. Noi operiamo nella città, ma produciamo le idee nella provincia.
AR – No ma poi che facciamo, ci trasferiamo a Roma e quando andiamo a lavorare a Milano o Torino ci trasferiamo anche là?

Quindi non avete mai pensato di trasferirvi a Roma, che è la città più grande vicina ad Anzio e Nettuno?
AR – No, non ci interessa. La città corrompe, la provincia non corrompe perché non ci sta niente! Lavori e basta.

In qualche misura il luogo in cui risiedete influisce su quello che create?
AR, FM – No, per niente proprio.

La spiaggia di Nettuno, con la torre dell'Hotel Scacciapensieri sullo sfondo.
La spiaggia di Nettuno, con la torre dell’Hotel Scacciapensieri sullo sfondo.

A questa fetta di Lazio è legato anche il primo spettacolo che avete portato in scena?
AR – Sì, il primo che abbiamo realizzato assieme è stato Vichinghi elettronici, nel 1987, ed è andato in scena sia a Nettuno che ad Anzio.

Che impatto ebbe quella prima rappresentazione?
AR – Be’ è una cosa di 30 anni fa, è difficile ricordarsi le sensazioni. Diciamo che c’erano stati due anni di prove finalizzate a quella rappresentazione, poi, improvvisamente, il giorno dopo non c’era più niente da fare. Quindi possiamo dire abbastanza traumatico!

A quando risale il vostro primo incontro?
AR – Il nostro primo incontro è stato sempre nel 1987 e lo spettacolo è arrivato qualche mese dopo.

Come avete capito che potevate lavorare assieme? Quali sono stati i punti di contatto?
AR – Non lo so, quando hai vent’anni non è che capisci se puoi unirti a lavorare oppure no, credo che abbiamo lavorato e basta, non ci siamo mai posti il problema se potevamo farlo assieme o meno, lo abbiamo fatto e basta. Come quando uno s’accoppia, non è che si pone il problema se può accoppiarsi o meno: s’accoppia! In quel momento è l’accoppiamento che conta, non il ragionamento sull’accoppiamento. Noi per un periodo ci siamo anche accoppiati! Poi la relazione amorosa è finita, 20 anni fa. Quest’anno è anche il ventennale che non stiamo più assieme!

Dallo spettacolo "Fratto_X". Foto di Giulio Mazzi.
Dallo spettacolo “Fratto_X”. Foto di Giulio Mazzi.

Avete iniziato a lavorare sin dal primo momento con quelle stoffe che poi sono diventate una delle vostre cifre più riconoscibili?
FM – Sì, fin da subito perché volevamo realizzare un lavoro che avesse anche una valenza d’immagine. Agli inizi eravamo in due e ognuno con le sue tendenze: io lavoravo molto sull’arte in quel momento, facevo delle sculture, ero un’artista figurativo in pieno. Come lo sono tutt’ora, d’altra parte.

A metà degli anni 90 vi ha iniziato a conoscere anche il grande pubblico grazie a passaggi regolari sulle alcune trasmissioni Rai. Com’è avvenuto l’ingresso nel mondo della televisione?
FM – La televisione è stata sempre abbastanza marginale per noi. L’abbiamo fatta per allargare un po’ l’utenza. La nostra forza nasce dai centri sociali, dalle gallerie d’arte. Abbiamo frequentato molto posti di vivi, per poi essere importati nel teatro una volta cresciuti.

La telecamera ha cambiato il vostro modo di lavorare?
FM – Certo, quello ha aiutato molto la crescita spaziale e il gusto della sintesi.

Uno dei vostri passaggi televisivi che in quegli anni mi ha entusiasmato di più è stato Troppolitani.
FM – Ecco, quel lavoro ha dato una svolta decisiva all’espressione teatrale. Facendo quelle interviste per la strada abbiamo capito l’importanza dell’interazione con l’altro e da allora in quasi tutti gli spettacoli c’è l’intervento di persone altre, della platea, del pubblico.

Molte delle interviste di Troppolitani sono state girate a Roma, che rapporto avete con questa città?
AR, FM – Roma ha rappresentato il punto di partenza. All’inizio lavoravamo molto con una galleria d’arte: il Fotogramma, diretta da Giovanni Semerano, che è il nostro maestro. È lui che ha insegnato come pubblicizzare un evento. Quelli nella galleria sono stati anni di grande attività ed espansione, perché quello che ci ha dato lui è stato proprio il metodo di espansione. Inoltre, a Roma c’è il cuore della cultura italiana, si vedono bene i difetti di tutta l’Italia, l’analfabetismo, il disagio sociale.

Con che Centri Sociali avete lavorato?
Con il Forte Prenestino, La Torre, il Kollatino Underground, poi con gli altri che ci chiamavano. Poi abbiamo interrotto per un periodo perché alcuni centro sociali non si comportavano bene con noi, come noi non ci comportavamo bene con loro e quindi abbiamo sospeso questa collaborazione. Rimane però il sapore di un’esperienza che per noi è stata esplorativa.

Attualmente a Roma siete molto legati a due realtà: Eclettica e il Teatro Vascello.
AR – Il Vascello è la nostra casa a Roma, Eclettica è la nostra casa estiva. Sono posti in cui si può lavorare senza che nessuno cerchi di cambiare l’altro.

Siete stati chiamati o avete bussato voi alla porta del Vascello?
AR – Ci hanno chiamato loro. È stato Giancarlo Nanni, nel 2007, che ci ha voluti per fare Bahamut. Ora che Giancarlo non c’è più lavoriamo con Marco Ciuti e Manuela Kustermann.
FM – Ci hanno proposto di appoggiarci da loro e noi ci siamo appoggiati da loro, come realtà lavorativa.
AR – Di recente ci hanno portato anche a New York, quindi è un rapporto positivo.
FM – È un rapporto anche di crescita, che per entrambe non è basato sull’interesse economico.

Negli ultimi anni ritrovarvi al Vascello a dicembre è ormai una consuetudine: scelta voluta o casualità?
FM– Per gente come noi è importante passare Capodanno dentro al teatro, così facciamo spettacoli per tutto l’anno.

Che succede la sera del 31 dicembre?
C’è lo spettacolo normale, poi c’è una cena organizzata nei vari spazi del teatro. E poi c’è un asta al buio in cui faccio il battitore. I premi sono coperti quindi è molto divertente.

Quest’anno che spettacoli portate?
7-14-21-28, Fratto_X e Anelante.

Dallo spettacolo "7-14-21-28". Foto di Giulio Mazzi.
Dallo spettacolo “7-14-21-28”. Foto di Giulio Mazzi.

Avete un nuovo spettacolo in cantiere?
AR – Nella testa sì. Faccio anche delle prove ogni tanto per divertimento e per non perdere la velocità, ma ancora non sappiamo quando uscirà.

Durante e dopo gli spettacoli al Vascello presenterete una vostra pellicola, Milano, Via Padova (18 dicembre Cinema Apollo 11; gennaio in data da definirsi al Cinema Palazzo, nda). Di cosa si tratta?
FM – È una coproduzione con la Fondazione Gaetano Bertini Malgarini che si occupa di disagio mentale. Ci hanno chiamato nel 2011 e ci hanno proposto di fare questo lavoro in Via Padova, che è la via di Milano in cui c’è più commistione tra extracomunitari e abitanti del luogo italiani. La via dove ora vogliono mettere l’esercito, tra l’altro. Siccome noi siamo sempre molto attenti agli eventi sociali abbiamo accettato. Con la Fondazione Bertini abbiamo fatto anche un lavoro più specifico sul disagio mentale.

Come avete coinvolto le persone per le riprese?
AR, FM – Il metodo è stato quello di Troppolitani: siamo andati per strada a fare interviste, parlando con chi abbiamo incontrato. Avevamo con noi un ragazzo marocchino che ci accompagnava: lì la realtà è piuttosto difficile, ci sono tanti piccoli gruppi che comunicano tra di loro con una certa violenza. I più violenti sono gli italiani, ma nemmeno troppo come si vuole far crede, episodi forti di intransigenza, se non qualche volta a parole, non ne abbiamo visti. Più che altro quello che abbiamo visto è tanta incomprensione: perché gli extracomunitari il più delle volte non parlano italiano e non esiste una struttura che gli insegni a parlare. Il problema è proprio questo: non riescono a comunicare. A loro volta, gli italiani parlano con le parole della televisione. Nelle interviste che abbiamo fatto il 70% delle risposte degli italiani erano le stesse, sono razzisti per emulazione.
AR – Gli stranieri vogliono le stesse cose che vogliono gli italiani: vogliono il lavoro, vogliono la casa, vigliono la famiglia. Praticamente vogliono il peggio! Si lamentano perché vogliono il peggio! Vogliono le stesse cose che vogliamo noi, ma non capiamo perché!

Avete fatto anche un lavoro video sul Teatro Valle di Roma, che però ancora non è stato pubblicato. Ce lo potete raccontare?
FM – Parliamo dell’arte e dell’utilità dell’arte : mettiamo a fuoco il fatto che l’arte è lontana dal sentimento popolare.

Che idea vi siete fatti della questione Valle?
FM– Noi non ci siamo fatti un’idea, abbiamo fatto un documento. Siamo dei documentaristi, non diamo mai la soluzione, né nel teatro, né nelle pellicole. Noi facciamo solo un quadro della situazione.
AR – Il nostro motto è: non risolviamo quesiti, creiamo problemi! Volere da noi le soluzioni poi…

In tutti questi anni di carriera qual è stato il momento di maggiore difficoltà? Quello che magari vi ha fatto pensare anche di smettere.
AR – No, smettere mai. Momenti di difficoltà sempre. Non è che noi lavoriamo alle poste, non facciamo un lavoro che ci annoia, quindi, anche tra le difficoltà più grandi abbiamo sempre trovato l’interesse per fare quello che facciamo. Aspe’, voglio chiarire, se uno ama lavorare alle poste… L’amore verso un lavoro non dipende dal lavoro che fai, ma dall’amore che provi. Abbiamo sempre pensato che sarebbe stata una grande vittoria dei nostri detrattori se avessimo smesso.

Il momento di maggiore soddisfazione invece?
FM – Quando abbiamo fatto e portato in scena Anelante è stata una grande emoizione perché abbiamo tentato strade mai percorse prima: coreografie, ritmi, suoni, melodie. Abbiamo fatto una cosa diversa e questo ci ha dato una grande emozione.

Dallo spettacolo "Anelante". Foto di Giulio Mazzi.
Dallo spettacolo “Anelante”. Foto di Giulio Mazzi.

In questi 29 anni vi siete mai fermati un giorno?
FM – No, mai. Abbiamo lavorato sempre.
AR – Anche se ti fermi, il pensiero sta lì, con la testa stai lì, non te fermi mai. Il nostro non è un lavoro.
FM – È un ossessione.
AR – Chi fa quello che facciamo noi per lavoro, fa il direttore degli stabili.

Dal 1987, dal primo spettacolo, l’essere umano è peggiorato o migliorato?
FM – Purtroppo è sempre lo stesso.

Foto di Giulio Mazzi.
Foto di Giulio Mazzi.