Sonia può appuntarsi al petto due medaglie: quella per aver fatto diventare il suo nome sinonimo del proprio locale, che a lungo si è chiamato unicamente Hang Zhou; quella per essere stata la prima persona appartenente al mondo della “ristorazione etnica” a essere conosciuta e riconosciuta all’interno del panorama romano. Aspetto, quest’ultimo, tutt’altro che banale, sia perché l’enogastronomia capitolina è talmente piena di storia e tradizione da schiacciare spesso chiunque si discosti dai grandi classici, sia perché generalmente la ristorazione etnica lavora sottotraccia e ancora oggi lascia filtrare poche informazioni, nonostante l’universo del food sia ormai entrato in una fase dominata da un’ipertrofia comunicativa, in cui si conoscono i nomi di tutti, dai cuochi ai a sommelier passando per i fornitori. Noi gliene conferiamo anche una terza per la sua capacità di aver recuperato, magari involontariamente ma poco importa, l’attitudine popolare da vecchia trattoria romana: quella dove se si mangia in dieci si mangia anche in undici, quella che se si mangia alle 23:00 si mangia anche alle 23:30, quella che se c’è un posto in un tavolo con degli sconosciuti ci si accomoda lo stesso e si inizia a chiacchierare del più e del meno – e magari ci s’innamora anche. Il tutto certificato dal vezzo orgoglioso, anch’esso squisitamente rionale, di appendere alle pareti le foto dei personaggi della tv o del cinema che lì hanno mangiato (e gradito). Accoglienza, vitalità, disponibilità e un bel sorriso sempre stampato sul volto. Senza Sonia l’Esquilino non sarebbe quello che è oggi e possiamo dire che nemmeno la ristorazione etnica a Roma lo sarebbe, perché se è iniziata a uscire dall’anonimato il merito è soprattutto suo.
Iniziamo dalla prima tappa della tua vita qui in città: il viaggio dalla Cina a Roma.
Io sono arrivata in Italia nel ’91, mio marito stava già qui dall’86/’87 perché suo zio aveva aperto il ristorante Hang Zhou in Via di San Martino ai Monti ancora prima, nell’81. Non sono venuta qui perché avessi un sogno legato alla ristorazione, è successo così: è stato il destino! Poi mi sono messa a lavorare anche io nel ristorante, ho iniziato a imparare il lavoro e anche la lingua. Appena arrivata non sapevo neanche una parola! Non è stato semplice, mi sentivo come se fossi muta, non si può vivere in un altro paese senza saperne la lingua. L’italiano l’ho imparato dal menu, le mie prime parole sono state “involtino primavera”! (ride). Nel ’91 ero già adulta, avevo un lavoro e quindi era difficile andare a scuola per imparare. Per fortuna la cugina di mio marito mi aveva registrato una cassetta con i piatti del menu e i numeri corrispondenti (1 – involtino primavera, 2 – wanton fritto e così via) e ascoltandola in una settimana ho imparato tutto il menu e gli ingredienti dei piatti. Poi ho iniziato a usare queste parole al ristorante. La mia vita in Italia è iniziata così.
Quando vi siete spostati da Via di San Martino ai Monti a Via Principe Eugenio, proprio nel cuore dell'Esquilino?
Ci siamo trasferiti nel 2010, il 17 maggio.
Ti ricordi addirittura il giorno!
Sì, me lo ricordo perché questa data in cinese vuol dire: “io voglio mangiare”. Uno significa “volere”, sette “mangiare”, e poi cinque, il numero del mese di maggio, vuol dire “io”. È una data impossibile da dimenticare! Non è stata una scelta eh, è stata una coincidenza: ancora una volta il destino!
Ricordando quanto fosse piccolo quel primo locale, immagino che il motivo principale del trasloco sia stato lo spazio.
Sì, era piccolissimo, solo quaranta posti. C’era sempre una fila lunghissima fuori, dalle sette fino a mezzanotte. Veniva tanta gente famosa già all’epoca; Nanni Moretti, Paolo Crepet, Matteo Garrone e tutti si mettevano in fila. Di quel ristorante ricordo una cosa molto bella: un tavolo tondo da otto persone. Quando finiva il primo turno e il tavolo si liberava, c’erano tante persone in coda che magari aspettavano un tavolo da due o da quattro, ma alla fine decidevano di sedersi lì e mangiavano tutti assieme, senza conoscersi. C’è una coppia che mi ringrazia sempre tantissimo perché si sono conosciuti al ristorante in questo modo: si sono innamorati e si sono sposati. Dicevano che avrei dovuto aprire un’agenzia matrimoniale! (ride). Anche Nanni Moretti qualche volta ha mangiato con degli sconosciuti di fianco.
Cosa c'era in questa nuova sede prima che la prendeste voi in gestione?
Anche questo locale è stato trovato per una coincidenza. Il locale a San Martino ai Monti era troppo piccolo, solo una piccola parte della clientela in fila riusciva a mangiare, per cui decidemmo di lasciarlo per trovarne uno nuovo. Poi, leggendo un giornale locale cinese, ho trovato un annuncio che diceva che c’era un ristorante – sempre cinese – che stava per abbandonare uno spazio molto grande. Siamo andati a vederlo ed effettivamente era molto ampio. Era anche strano però, non c’era nessuno, era buio, sembrava che fosse chiuso, ma in realtà era aperto. A quanto pare aveva già cambiato quattro gestioni, non lo voleva nessuno perché girava voce che portasse sfiga! «Io alla sfortuna non ci credo», gli ho detto, «questo ristorante a me va bene». Quindi ci ho messo solo una settimana per trovare un nuovo posto. All’inizio era un po’ vuoto, tutto bianco, poi ci ho messo tante foto.
Oltre che a lavorarci, ci vivi all'Esquilino?
Sì, vivo in questa zona. Nel ’91 ho trovato casa in Via Bixio, poi mi sono trasferita in Via Napoleone III e sono ancora qua. In questo periodo di virus sono stata molto a casa con mio figlio in Via di Santa Croce, quindi sempre all’Esquilino. Sono trent’anni che sono qua, non ho mai cambiato.
E ti piace?
Sì, mi piace tantissimo! È vicino alla Stazione Termini, alla metropolitana, Piazza Vittorio è la piazza più grande di Roma, l’unica con i portici. Poi c’è il Mercato, che è eccezionale.
Ci vai spesso?
Ogni tanto, è mio marito che ci va di più, praticamente tutti i giorni, e conosce tutti. Si trovano cose che da altre parti non ci sono e per questo ci vengono da tutta Roma. Per me è una fortuna che sia cosi vicino, perché a differenza di altri ristoranti non dobbiamo fare la spesa per una settimana e mettere le cose in magazzino. Ci andiamo tutti giorni per comprare il cibo fresco.
Che ne pensi invece della nuova Piazza Vittorio?
Hanno fatto un bel lavoro questa volta. Il giardino è molto più bello, ci sono zone per i bambini, per gli adulti, ci sono le panchine dove gli anziani si mettono a parlare, c’è il tavolo da ping pong che è sempre occupato. Dovrebbero far vedere di più la Porta Magica. All’inizio non sapevo che esistesse, poi un mio cliente ha scritto un libro che si chiamava proprio cosi, “Porta magica”, e quando me lo ha regalato mi ha fatto una dedica scrivendo che dopo la Porta Magica c’è Sonia magica!
In questi trent'anni che ci hai vissuto è cambiato molto il quartiere?
Sì, è cambiato. Quando sono arrivata nel ’91 e andavo a lavorare a San Martino ai Monti, la sera non avevo il coraggio di tornare a casa attraversando Piazza Vittorio, che era il percorso più breve: avevo paura. Adesso invece non è così. Il mercato era in piazza prima, mentre ora si è trasferito al chiuso ed è più bello, più pulito. Poi c’è tanta gente famosa che è venuta ad abitare qui, e anche questo è positivo. Ci sono state diverse iniziative culturali, ad esempio una volta hanno organizzato una mostra di quadri sotto i portici.
Cambieresti qualcosa?
Se avessi la bacchetta magica…. Vorrei far finire questo virus! Vorrei che si rialzassero tutte le serrande che adesso sono chiuse. Anche quella di MAS: è un peccato che sia abbandonato così! Sarebbe bellissimo se tra due anni, quando scadrà il nostro contratto d’affitto, potessimo andare là, magari insieme a tante altre attività.
Dovresti fare un appello al quartiere! Ti faccio un'ultima domanda: dove porteresti una persona che non è mai stata all'Esquilino?
Sicuramente a Piazza dell’Esquilino e a vedere la chiesa di Santa Maria Maggiore. Poi ai giardini di Piazza Vittorio, al Mercato, che è particolare, poi da Fassi a prendere un gelato. Conosco molto bene Andrea (Andrea Fassi, nda) e tutta la famiglia Fassi. Una volta ha anche scritto un articolo su un piatto che abbiamo inventato noi, con il riso nero. In Cina il riso nero c’è, ma si cucina in maniera diversa, invece una volta, per il capodanno cinese del ’98, con il cuoco decidemmo di fare un menu speciale con tanti piatti che la gente non aveva mani mangiato, tra cui questi involtini con il riso nero. I clienti da quel momento ce li hanno chiesti sempre e così abbiamo deciso di metterli nel menu, dopodiché tanti altri ristoranti hanno iniziato a usare questo ingrediente. La gente non si fidava: perché il riso è nero? Ci hanno messo i coloranti o il nero di seppia?
E dopo Fassi la portiamo da qualche altra parte questa persona?
Beh, a mangiare cinese da Sonia!