«Lavorare in un quartiere con un alta concentrazione di ristoranti è una grande opportunità di successo. In ogni caso, noi offriamo un prodotto diverso, quindi non abbiamo veri e propri concorrenti». Se siete alla ricerca di una vecchia trattoria di quartiere a Ostiense c’è il buon vecchio Enzo, se avete bisogno di un pezzo di pizza o di un panino avete l’imbarazzo della scelta, idem per una cena a base di sushi. Per una trattoria che unisca ricerca a sostanza, sapori tradizionali a “twist” capaci di incuriosire, ci sono loro, Tommaso e Valeria, rispettivamente chef e sommelier di Trattoria Pennestri. Nel 2017 la Trattoria è stata una delle novità più convincenti di tutta Roma e per il primo compleanno non potevamo esimerci dal fare due chiacchiere.
Torniamo indietro di un anno: primo giorno di apertura. Cosa è successo? Chi si è seduto per primo ai vostri tavoli e cosa gli avete preparato?
La sera del primo giorno abbiamo avuto una ventina di persone, famigliari, amici e qualche curioso… C’era molta tensione, i piatti e il servizio non erano stati ancora ben testati. Il menù, come la carta dei vini, erano piuttosto comodi, insomma, poco spinti: avevamo bisogno di testare sul campo cosa voleva la gente e in poco tempo abbiamo capito che potevamo lanciarci verso proposte più personali e più in linea con la nostra idea di trattoria.
Quando è nata la Trattoria Pennestri?
È nata durante la nostra precedente esperienza lavorativa, cominciata circa quattro anni fa. Da colleghi responsabili ognuno del proprio reparto, abbiamo cominciato a immaginare il contenitore ideale per le nostre idee. Solo nell’ultimo anno siamo arrivati a prendere coscienza che la trattoria, con il suo vero significato, sarebbe stata la scatola perfetta. Scegliere una zona di Roma ideale non è stato facile: abbiamo visto tanti locali in due anni di ricerca, con appostamenti e prove.
Le vostre professioni precedenti sono state sempre legate alla ristorazione?
Tommaso: Provengo da una famiglia di architetti e disegnatori e la mia formazione scolastica seguiva chiaramente quella direzione. Poi, dopo il liceo, c’è stata la scelta di seguire la passione e la gola. Dall’età di vent’anni a oggi non ho fatto altro che mangiare e cucinare.
Valeria: Io ho sempre lavorato nella ristorazione, in sala, ricoprendo diversi ruoli. Inizialmente pensandolo come un lavoro passeggero, poi, col tempo, ho capito che questa era la mia strada. L’accoglienza, l’amore per il vino e la cucina mi hanno portato a fare alcuni corsi di formazione, tra cui quello di sommelier.
In che locali avete lavorato?
Tommaso: La mia carriera professionale è iniziata negli alberghi per poi passare in ristoranti stellati e aziende di catering. Infine, sono arrivato a gestire cucine di piccoli ristoranti dove ho potuto esprimermi e maturare.
Valeria: Ho lavorato in diversi ristoranti, da quelli, diciamo, più da battaglia a piccoli ristoranti più rinomati.
La scelta di Ostiense è stata voluta o casuale?
Avevamo bisogno di un quartiere popolare, vero, facilmente raggiungibile, vicino al centro storico e alle nostre esigenze personali.
Cosa vi piace di più di questo quartiere e cosa meno?
Ostiense non è un quartiere bellissimo, ma è vitale, sempre in fermento e centrale. La via Ostiense collega bene la zona. I magazzini generali stanno a dimostrare che di qua il cibo è sempre passato. In giro è pieno di scheletri di fabbriche, oggi vere e proprie sculture, e ci sono tante attività di ogni tipo che ne testimoniano la grande vitalità. Vivendo il quartiere da un po’, abbiamo preso coscienza che è un vero e proprio gioiello, ma nascosto da un forte degrado e questo è un peccato.
Avete provato qualche altro locale nelle vicinanze?
Sì, molti e alcuni davvero interessanti: Sushisen, Eataly, Enzo, Porto Fluviale, MaMa-Ya Ramen, Banco e la pizza al taglio di Luigi.
Quando non siete al lavoro in che locali di Roma vi piace andare a mangiare e bere?
Tommaso: Dopo la nascita di mio figlio, che ora ha tre anni, le cene in “ristoranti importanti” scarseggiano, ma, per fortuna, ci sono ristoranti più easy che tollerano i bambini anche più scalmanati come il mio! Mi trovo molto bene da Bi Trattoria a Casal Bernocchi, Osteria n. 1 ad Ariccia, la Baia di Fregene.
Valeria: Retrobottega, Mazzo, Cesare al Casaletto, Sorpasso.
Tornando a parlare di Ostiense, si tratta di un quartiere che si sta votando quasi completamente all’enogastronomia, a partire da leviatano Eataly. Come vivete questa massiccia concentrazioni di attività simili alla vostra: come concorrenza o opportunità?
Lavorare in un quartiere con un alta concentrazione di ristoranti è una grande opportunità di successo. In ogni caso, noi offriamo un prodotto diverso, quindi non abbiamo veri e propri concorrenti.
Io vivo da quelle parti e mi ricordo che prima di voi in quei locali c’era un pizzeria che adottava la formula “no stop”. Possiamo dire che l’esplosione dell’enogastronomia (di qualità) a Roma almeno ha spazzato via la cultura legata a questo tipo di ristorazione e di rapporto con il cibo, oppure il lavoro da fare è ancora tanto?
Abbiamo rilevato una vecchia trattoria/pizzeria che faceva bene il suo lavoro e aveva la sua clientela. Era a conduzione familiare, non c’era molta attenzione alla qualità della materia prima, ma cucinava la mamma e si sentiva: c’era amore in quello che faceva. Molti di quei clienti ritornano, altri no. A Roma oggi puoi trovare di tutto e sarà sempre così. Avvertiamo però un notevole aumento di ristoranti che comprendono le necessità di una clientela esigente, che si informa, studia, sa cucinare, bere e mangiare e magari si è stancata o non può permettersi una cena stellata.
Torniamo alla vostra cucina. Come la definireste?
Cuciniamo in modo istintivo, cerchiamo ispirazione ovviamente dalle basi delle cucine tradizionali: sicuramente quella romana, ma non solo. Studiamo le preparazioni nel massimo rispetto. Molto importante è la qualità dell’ingrediente, se è locale e di stagione sarà sicuramente più buono e fresco. Sofistichiamo poco il cibo perché deve essere riconoscibile. Ci piace scavare in dietro nel tempo, ma non troppo, uscendo da quei piatti definiti “di cucina classica”, tipici di tutte le trattorie.
Come nasce e che percorso fa un piatto prima di finire nel vostro menu?
I piatti nascono in maniera poco programmabile: l’ispirazione nasce dallo studio, ma anche da un collega, un cliente, un amico, dalle mamme e, cosa più importante, dai fondamentali ricordi di infanzia legati al cibo. Per noi un piatto deve essere innanzi tutto buono e lasciamo la possibilità a ogni ingrediente di entrare nelle nostre grazie, senza preconcetti.
Da poco avete cambiato il menu, ce lo raccontate?
Innanzitutto diciamo che il nostro menu non segue solo le stagioni da calendario, ma anche le temperature… Alcuni piatti rimangono, altri sono stati aggiornati, altri sono del tutto nuovi. Ci sono le polpette di bollito un po’ rustiche, con la carne non macinata, ma a pezzettini. L’uovo al tegame, fritto al burro, quindi un aroma dolce, latteo, col rosso crudo che, una volta rotto, si fonde con la vignarola e i fiocchi di caprino. La coratella rimane: ci piace troppo! Tra i primi abbiamo inserito dei fusilli ripassati con cicoria e olive, con un po’ di lenticchie sul fondo del piatto. Ci sono gli spaghettoni all’uovo, grossi come pici, mantecati con fave, salsiccia, menta e pecorino. Tra i secondi l’anatra prende una nuova veste, più acidula, con il limoni e coriandolo. La coscia di agnello viene disossata e lavorata come se fosse una porchetta ad Ariccia: riempita di erbe tipiche e cotta a lungo. Il filetto di baccalà è cotto in olio, aglio, peperoncino e prezzemolo, assomiglia un po’ alla cottura “pil, pil” tipica spagnola. Le animelle rimangono in carta con la stessa panatura ai grissini, poi fritte nel burro come una cotoletta alla milanese, a cui abbiamo aggiunto gli asparagi e maionese all’aglio.
Quali sono le tradizioni culinarie a cui vi rifate principalmente?
Prendiamo spunto sicuramente dalla tradizione romanesca e laziale, dalle regioni limitrofe e da tutto ciò che ci colpisce, cucina siciliana inclusa.
Andate a fare la spesa al mercato?
Capita spesso di prendere alcuni prodotti nei mercati vicini, come quello della Garbatella o di San Paolo, dove c’è un banco specializzato nella carne di cavallo. Erbe, frutta e foglie le prendiamo ai mercati di Campagna Amica. A volte andiamo per campi e pinete a prendere qualcosa di selvatico come erbe, foglie e bacche.
Chi sono i vostri fornitori più importanti?
Siamo sempre alla ricerca d prodotti di qualità, di conseguenza i fornitori cambiano spesso. Riguardo il generico ci affidiamo alla Faic. Sempre da loro prendiamo il pesce, solo se freschissimo ed esclusivamente pescato proveniente dalle aste di Civitavecchia. Il baccalà viene selezionato da Davide, re del baccalà e dello stoccafisso. La pasta all’uovo proviene da L’ombelico di Venere, piccola nuova realtà artigianale. I formaggi e i salumi da artigiani che espongono nei mercati di Campagna Amica, la carne dalla macelleria Viceré. Altri prodotti, come il pane, da Eataly, frutta e verdure sempre da piccoli produttori locali. Per i vini ci affidiamo a diversi distributori come Tripla A, Teatro del Vino, Stappo, Trimani. Altri, invece, li prendiamo direttamente dal produttore
C’è un piatto tra quelli proposti fin ora a cui siete particolarmente legati?
Domanda difficilissima… Sicuramente gli gnocchetti acqua e farina, crema di scampi e stracciatella. È un piatto molto vicino alla nostra idea di ristorazione: provocante, perché di base un po’ vintage, démodé e “fastidioso”, perché poco amato ai palati gourmet, ma assolutamente goloso, di pancia.
Un piatto che prima o poi vorrete inserire nella carta?
Più che un piatto, degli ingredienti: la carne di cavallo, le lumache, il cinghiale, il fegato di vitello, la pajata di vitello e di agnello, l’arzilla…
Potete raccontare anche la carta dei vini? Che bottiglie privilegiate e con che criteri le selezionate?
Siamo partiti con una carta abbastanza facile per, diciamo così, testare il terreno. Oggi, dopo un anno, abbiamo capito che possiamo osare di più proponendo anche dei vini meno facili, ma estremamente interessanti e innovativi: il prosecco rifermentato in bottiglia di Bele Casel, un macerato come la fantastica ribolla di Damijan Podversic o un aglianico Satyricon di Luigi Tecce. La parola d’ordine è “territorialità” e per questo abbiamo deciso di “accogliere” anche vitigni autoctoni meno conosciuti come il gaglioppo (Calabria), l’ottonese (Lazio), il pelaverga di Verduno (Piemonte). Scegliamo cantine che lavorano nel rispetto dell’ambiante e del territorio e abbiamo una particolare attenzione per il Lazio. Abbiamo anche una selezione di una decina di etichette al bicchiere, in continuo aggiornamento e che segue la stessa logica dei vini alla carta.
Una domanda per Tommaso: sappiamo che sei di origini danesi, ti chiedo allora che ne pensi della cucina danese?
Della cucina danese, quella classica e quella moderna tanto discussa negli ultimi anni, mi piace la semplicità nell’abbinare i sapori, talvolta assurdi a noi italiani: dalle marmellate per le carni agli smørrebrod con grasso di anatra, aringhe marinate e tuorli crudi, alle liquirizie salate dei supermercati col sapore pungente di ammoniaca. Sono davvero “selvaggi” in questo e ciò mi attrae molto. Sono liberi, non avendo una tradizione gastronomica importante come la nostra, di conseguenza accettano ben volentieri le influenze esotiche. Nella carta della Trattoria Pennestri sarà difficile trovare piatti che provengano dalla tradizione danese, ma l’approccio al cibo, quello sì, c’è in ogni piatto.
Una domanda per Valeria: visto che le tue origini, invece, sono argentine, cosa ci racconti dei vini di questo Paese?
L’Argentina è uno dei più grandi produttori di vino, con straordinarie possibilità di crescita dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo, ma ancora in pochi lo sanno. Inizialmente non ero dell’idea di aggiungere vini esteri alla carta: siamo una trattoria di Roma e mi pareva un po’ forzato. Nella nuova carta, invece, ho deciso di inserire un’etichetta francese e una tedesca. In fondo la cucina è contaminazione ed evoluzione e quindi è giusto che lo sia anche la carta dei vini. Qualche vino argentino a base malbech non stonerebbe affatto con la nostra coratella d’agnello! Chissà… Prima o poi… Perché no?
Il piatto che in assoluto preferite cucinare?
Valeria: pasta al pomodoro, un evergreen.
Tommaso: Secondi di carne, magari in umido con cotture lente. Anche il petto d’anatra con salse all’aceto.
Il vino che preferite bere?
Valeria: Adoro i bianchi minerali e sapidi, friulano, etna bianco, vermentino ligure, ma anche un buon Frascati.
Tommaso: Mi piacciono i vini toscani, i sangiovesi con tannini importanti.
Ultime domande. Facciamo qualche bilancio: cos’è cambiato dopo un anno di Pennestri? Cosa avete imparato in più e su cosa, invece, avete dovuto ricredervi?
Sicuramente il senso di responsabilità nei confronti dei clienti e in quello che facciamo. In partenza ne avevamo veramente molta di responsabilità, ma, dopo poco, abbiamo capito che bisognava fare di più. Abbiamo la fortuna di avere a che fare con delle persone estremamente esigenti, con una enorme aspettativa e noi li vogliamo accontentare tutti.
Immaginiamo di essere nel 2022: come sarà il futuro della Trattoria Pennestri?
Sarà in continua evoluzione, non si deve fermare mai, una trattoria sempre al passo con i tempi. Un punto di riferimento per vivere una piacevolissima esperienza gastronomica.