Ad could not be loaded.

Tuttxcollective

Il collettivo d’illustrazione più ampio e intersezionale che conoscete

quartiere NoLo

Written by Piergiorgio Caserini il 20 April 2021
Aggiornato il 19 April 2021

Tuttxcollective è un contenitore di idee che cresce vertiginosamente. Se guardate il loro IG vi potrà sembrare che siano tuttə ragazzə dedicatesi all’illustrazione, ma quello è solo il modo in cui si avvia un collettivo che ora conta decine di persone, sparse e disperse da tutte le parti, eventi e compartecipazioni con altre realtà. Sono artistə, gruppi di confronto, attivistə. Ci hanno detto: «Siamo ovunque». E che siano loro, fisicamente, o le idee che stanno alla base del collettivo e delle sue scelte, hanno davvero ragione.

Illustrazione di Simona Iamonte – @andy_mcfly
Illustrazione di Simona Iamonte – @andy_mcfly

Come nasce il collettivo?

Cecilia Grandi: Il collettivo nasce nel 2017. Quell’anno conobbi diverse ragazze che si dedicavano all’illustrazione, e già mi rendevo conto che emergere a livello professionale così come personale era un percorso difficile. Ovviamente per la saturazione dell’ambiente, ma anche perché l’illustrazione è un processo molto lungo, e trovare il tempo per lavorare sul proprio stile o farne una lavoro non è semplice. Lo si faceva per passione. Andai a Children’s Book Fair, una fiera di illustrazione a Bologna per bambini e ragazzi. Volevo vedere che cos’era questo mestiere da vicino, e trovai ovviamente un ambiente commerciale, in cui mancava una presenza forte e realmente indipendente. Già in quell’occasione ho conosciuto un paio di persone che sono entrate nel collettivo, con la semplice idea di fare qualcosa insieme.

Insomma, posso dire che l’idea del collettivo è nata da una mia richiesta, ma da subito le persone hanno cominciato a invitarne a loro volta altre, all’interno di quello che all’inizio era un gruppo Facebook. Abbiamo cominciato raccogliendo dei fondi tra di noi per stampare una prima pubblicazione, ci siamo date un tema, abbiamo collaborato con scrittrici e scrittori e da lì è nato il nostro primo numero, totalmente indipendente. In questi anni poi il collettivo ha sempre preso forme diverse, dallo stampato all’evento, e sempre in collaborazione tra noi e altre realtà in cui possiamo riconoscerci, diventando così un gruppo di confronto e di crescita, nel quale siamo migliorate l’una con l’altra.

 

Elisa Lipari: Siamo cresciute soprattutto perché il collettivo è nato non solo con l’idea di lavorare insieme ma di avere uno scambio reciproco. C’era chi arrivava da un percorso accademico, chi era autodidatta, chi era legata a tecniche più tradizionali e per niente digitali e altre che avevano competenze grafiche e che si sono proposte per l’impaginazione  o l’animazione. Questo per farti capire che alla base di tutto c’è sempre stato uno scambio reciproco di saperi. Dal momento in cui il contesto editoriale non è semplicemente accessibile e si sa, creare un collettivo che fosse anche un gruppo di scambio reciproco di mestieri, di autoaiuto, ci sembrava bello e appropriato. E oggi si vede, sappiamo quanto questo ci abbia aiutato, quante persone abbiano assimilato i saperi d’altre, lavorando assieme.

So che siete parecchie, come vi gestite?

EL: Siamo intorno alla trentina, e per questo non è semplice. Sai siamo tutte giovani, persone che devono districarsi tra lavoro e studi, che devono campare insomma… e ovviamente ci sono momenti in cui puoi esserci e altri no. Per questo coordinarsi tutte è complicato. Diciamo che si sono creati autonomamente livelli di partecipazione per cui ognuno sa fin dove può arrivare. Dei livelli di partecipazione che potremmo dire “fluidi”, che permettono di non avere pressioni, di non dover fare di più di quanto si può, e in questo modo sapere anche di potersi appoggiare l’un l’altra. Abbiamo dei piccoli nuclei più stabili, distribuiti, e ogni tanto ci incontriamo per capire se continuiamo a essere sulla stessa onda.

Già soltanto noi siamo in giro. Siamo ovunque, Milano, Pavia, Amsterdam… ed è molto bello perché riusciamo a coinvolgere progetti e persone che stanno al di fuori delle singole bolle. Quella dinamica che si è creata all’interno del gruppo, di aprire spazio, avviene anche al di fuori grazie alla condivisione e la compartecipazione agli eventi.

Avete cominciato all’interno della cornice dell’illustrazione, ma da subito vi siete date agli eventi assieme ad altre realtà. Quasi reiterando la logica aperta del collettivo, no?

EL: È stata una cosa abbastanza automatica. Volevamo promuovere il nostro lavoro, e al tempo stesso farlo in collaborazione con altre persone che avevano in attivo progetti che ci stavano a cuore, e che ci sarebbe piaciuto includere o promuovere. Abbiamo sempre fatto così, fin dall’inizio. Per esempio il primo evento fu a Macao con Virgin & Martyr e un gruppo LGBTQI+ di Pavia.

CG: È anche questo il senso di un collettivo: le sue risorse, e parliamo di persone, non denaro (figuriamoci!). Vogliamo condividere con realtà che esistono e in cui crediamo, e in questo modo sono nate anche collaborazioni più sostanziose, come quelle con WERK e Queermacete.

È chiaro che i vostri presupposti siano legati a una cornice politica rispetto ai femminismi, e mi chiedevo: siete una trentina, li discutete tutte assieme?

EL: Nella scelta del tema c’è sempre un momento di brainstorming con tutto il collettivo, dove discutevamo le possibili varianti del tema, declinando l’argomento intorno al corpo, al genere… Ci teniamo a mantenere una certa elasticità nei discorsi, ma la scelta è sempre orientata a temi che hanno attinenza a quelle tematiche.

CG: Ci siamo dati dei temi che non fossero inequivocabilmente politici, anche se alla fine, ovviamente, tutte le scelte che prendi, le cose che fai che esprimi e che dici sono inevitabilmente politiche. In un modo o nell’altro viene sempre fuori. Così abbiamo sempre scelto di rimanere piuttosto aperte sulle tematiche. Per esempio il primo numero era La prima volta, un altro Il frutto, in modo da affrontare le questioni politiche indirettamente, attraverso altri percorsi.

Mi pare che alla base dei desideri del collettivo ci sia anche un senso di familiarità, di un gruppo coeso e orizzontale, no?

CG: Il senso di “famiglia” è arrivato in seguito. All’inizio c’erano dei presupposti politici e di intenti. Non qualitativi o professionali. Fin dall’inizio ci siamo dette che l’unica cosa da considerare per essere parte del collettivo era sostenere il femminismo intersezionale. Questo è stato sempre alla base. Penso che anche il termine collettivo in sé sia uscito anche per queste ragioni, prettamente politiche.

EL: Anche quando aprimmo le submission esterne l’unico requisito che chiedevamo era avere valori etici e morali che si rispecchiassero nel femminismo intersezionale. E questo ci ha permesso di creare un gruppo non solo di “colleghi”, ma di persone che condividevano molto di più, in dialogo. Probabilmente da questo nasce poi quel senso di vicinanza che è la familiarità. Perché in fondo combatti la stessa battaglia, possiamo dire così. Sono cose in cui crediamo molto.