12 Novembre 1996, l’ultimo concerto dei Pearl Jam a Roma. Sembra incredibile, eppure è così. Il tour era quello di No Code, disco che spiazzò un po’ tutti e che fece scoppiare definitivamente la bolla grunge che da lì in poi, per fortuna, venne denominato Seattle sound. Un album spartiacque per la band e per i suoi adepti, tra i quali ci fu una decisa selezione naturale. Un album con un artwork meraviglioso e che riascoltato oggi supera la prova del tempo. Inutile dire che quel concerto è rimasto negli annali e nei cuori di moltissimi. Basta andarsi a spulciare la scaletta – pressoché perfetta – per avere una scarica di brividi e di nostalgia. Ventidue anni dopo eccoli di nuovo nella Città Eterna. Eddie, Mike, Stone, Jeff e l’amico Matt – che quest’anno festeggia il ventennale come batterista della band – oggi sono meno selvaggi di una volta, ma sempre più liberi e consapevoli di scegliere quali battaglie combattere, chi supportare, cosa suonare. E se è vero che su disco il meglio lo hanno dato da un pezzo, dal vivo la loro energia sembra non essere anestetizzata dagli anni e dai tour. Sopravvissuti alle mode e alle maledizioni, oggi i Pearl Jam sono una band con un suono classico, senza tempo, che ha saputo traghettare le intuizioni di mostri sacri come Neil Young o gli Who. Non è un caso se lo scorso anno, alla prima eleggibilità, la Rock and Roll Hall of Fame li ha voluti nel suo club.