Volente o nolente ho avuto un’educazione alla chitarra classica, quella impalpabile, intimista, fatta di polpastrelli e occhi chiusi. Sempre stato un tipo da pedaliera e distorsori assortiti, un metallaro di indole come direbbero alcuni, ma sentire legno e corde risuonare in casa per più di vent’anni mi ha lasciato dei riflessi pavloviani che manco mi sarei immaginato. Inaspettata commozione (come direbbe uno streamer a me caro) che ho provato lanciando l’ultimo video su Youtube di Zsófia Boros, chitarrista ungherese, olistica e minimalista, capace di accarezzarmi il cervello e lo stomaco come poche cose sono riuscite ultimamente. Senza nulla togliere alla cavetteria modulare di JakoJako, con un minimalismo sorprendentemente caldo, umano e introspettivo per un retaggio berlinese, questa sera al San Fedele ci andrò principalmente per farmi coccolare la membrana timpanica. Ci porterei anche mio padre con la sua chitarra, se solo non gli avessi regalato il biglietto per gli YES agli Arcimboldi..
Scritto da Andrea Pagano