Quel giorno sembrava che avessi scoperto la particella di Dio. Di quel dio che Chuck Roberts chiama “Jack”, possessore del groove primordiale da cui sono nati tutti i groove. Avevo sottomano un ep di Marquis Hawkes, Fifty Fathoms Deep, e stavo ascoltando l’ultima traccia, Fat Man: un capolavoro assoluto. Negli stessi giorni era uscito anche Our Love di Caribou e mi ricordo che in qualche discussione su Facebook affermai che con solo quella traccia Marquis s’era mangiato l’intero album del buon
Dan Snaith (affermazione a posteriori forse un po’ megalomane, ma sostanzialmente vera, ascoltare per credere).
Per me Marquis è uno di quei produttori che trasforma in oro tutto quello che tocca: ne ho avuto la convinzione crescente ascoltando gli ep successivi a Fifty Fathoms Deep – Raw Materials e Sweet in particolare; ne ho avuto la certezza matematica ascoltando il suo lp di esordio di quest’anno, Social Housing, che, oltre a contenere delle tracce totali come I’m So Glad, è godibilissimo per tutta la sua durata, senza mai annoiare, cosa rara per un album puramente house. Torna a Roma dopo a un anno di distanza, sulla cresta dell’onda e sulla consolle delle grandi occasioni.
Scritto da Nicola Gerundino