Il secondo lungometraggio di Fabio Mollo è bello. Perché fa anche male
Alcuni spettatori non considerano il cinema italiano perché ritengono «voglia essere d’autore a tutti i costi» e perché propone storie da «tagliarsi le vene». Se preferissi l’intrattenimento, bollerei certamente Il padre d’Italia con una di queste etichette. Gli elementi per “taggarlo” così ci sono, partendo dalle vite incasinate dei protagonisti, dal loro incontro, fino ai modi che hanno per rapportarsi con la società. Paolo ha trent’anni e dolori del passato che non riesce a superare; Mia è al sesto mese di gravidanza e nessun progetto, se non quello di vivere alla giornata. Entrambi sono segnati dall’abbandono. Nella rispettiva messa in scena spunta fuori un discorso sulla capacità di prendersi cura dell’altro e sul futuro. Nel film del giovane Fabio Mollo, il futuro non si vede. Prende forma soltanto alla fine diventando dono per la nuova vita e riscatto dall’allontanamento.
A questo punto, una spiegazione del titolo è dovuta (seppur intuibile), ma dato che equivarrebbe a “spoilerare”, la lascio alla visione del film. Ci sono spettatori sensibili sull’argomento…
DAVID MORELLO
https://www.youtube.com/watch?v=E3Ku8O5R1d0
Scritto da David Morello