Ricordo ancora la prima (e unica) volta che vidi gli Emeralds dal vivo. Audiovisiva 2011. Un capellone scatenato a giocare dietro muri di valvole analogiche, trascinando in vortici di melodie incontenibili. Un ragazzotto rosso di capelli chino sulla sua chitarra come uno shoegazer, intento a strappar cuori e lacrime a suon di note lunghe e armoniche. E poi “il terzo”, alto come gli altri due messi insieme, fisso dietro a un paio di tastiere, composto ed elegante. L’uomo della sintesi, il regista, il supervisore. Un trio delle meraviglie, e non solo perché di gente in grado di rinvigorire la synth music con tanta freschezza non se ne sentiva dai tempi dei Radio Massacre International. Il “terzo” era Steve Hauschildt. L’unico che ha iniziato a lavorare da solo dopo la fine dell’esperienza in gruppo – era l’unico che non l’aveva fatto in precedenza – e da allora incide per Kranky e Editions Mego. L’unico che gli Emeralds, oggi, riesce quasi a non farmeli rimpiangere. La sua “prima” italiana in solitaria è un altro colpaccio di COMMUNION, ennesima dimostrazione di come Macao sia diventato uno dei centri focali dei nuovi suoni a Milano. Nella speranza che continui a esserlo ancora a lungo.
Scritto da Matteo Meda