Tra i più grandi fotografi del secolo scorso, con oltre 80 anni di carriera alla spalle, viene difficile pensare che Lartigue espose per la prima volta le sue immagini solo all’età di 69 anni, al MoMa di New York.
Si era sempre considerato un pittore, per quanto avesse iniziato a fotografare sin dal 1902, quando il padre gli regalò una macchina fotografica per svagarsi durante una lunga convalescenza.
“Scrivere, dipingere, fotografare, queste cose mi consolano di tutto” afferma nei suoi diari. Le sue pratiche visive (ma anche letterarie come testimonia la sua auto-biografia) erano un esercizio per trattenere il ricordo, uno strumento di conoscenza, di studio e di mimesi per conservare il’istante prezioso, nel tentativo di catturare eternamente l’immanenza e la bellezza dell’impermanenza.
È questa “ricerca della felicità” che lo guida nei suoi reportage e nell’approccio alla ricerca dei soggetti, catturati al volo con un dinamismo che ricordano una versione antropomorfe degli studi sul moto di Buybridge, ma nei quali emergono epifania e caducità, intrecciati sullo sfondo della Parigi ricca e borghese del nouveau siècle.
L’esposizione della Casa Dei Tre Oci, che chiude il 12 giugno, è la più ampia retrospettiva mai organizzata in Italia: alle 120 immagini, di cui 55 inedite, si aggiungono materiali di archivio, riviste d’epoca e documenti che ripercorrono la sua storia dai primi anni del ’00 fino alla sua ultima produzione degli anni ’70 e ’80. Un viaggio nella storia del secolo scorso pervaso di ironia e malinconia, contraddistinto dagli sguardi inusuali del suo punto di osservazione, costantemente votato al ribaltamento e alla decontestualizazione.
Scritto da Redazione Venezia