Quando si parla di tecnologia umanizzata, di uso dei robot, o di intelligenza artificiale, la generazione a cui appartengo, quella nata negli anni ’80, rimane ancora affrancata a dei rimandi estetici e di azione che implicavano sia una positiva avventura, che un rischio catastrofico. Si pensa magari a capovolgimenti tra umano e non-umano come quello di HAL 9000 di “2001. Odissea nello spazio” (1968) di Kubrick. O a robot che divenivano quasi più umani dell’umano – qualcuno si ricorderà ironicamente della serie televisiva “Super Vicky” (1985) -, ora certamente naïve.
Oggi sono tematiche assorbite e quotidiane con cui dialoghiamo di continuo, in cui letteralmente viviamo e interagiamo.
Riccardo Giacconi parte da questo presupposto, dallo scambio relazionale tra un generatore automatico di testi (una macchina – anche lei ormai un po’ retrò – che rielabora automaticamente dei concetti, che per essa sono soltanto parole -) e l’input umano, che è quello iniziale.
Ma la sua ricerca approfondisce un legame che diventa addirittura poetico. L’artista infatti ha dialogato, attraverso la scrittura, con una macchina dalle funzioni basiche di sviluppo di un linguaggio automatizzato che, se veicolata e riletta in maniera corretta, può esprimere persino dei risultati connessi, a cui attribuire un senso.
Storyboard mette in atto questo esperimento che l’artista aveva già raccontato in “Diteggiatura” (2021), un film dedicato a una realtà che Giacconi studia e con cui collabora da tempo, quella della storica famiglia milanese Carlo Colla & Figli – artigiani di marionette e storie tra i più importanti al mondo. L’artista ha creato un testo, attraverso questo approccio legato alla relazione tra arte e scienza, dunque tra macchina e umano, che insieme formano un linguaggio ibrido ma, in questo caso, di senso autonomo. Nel film questo “storyboard” viene letto in scena da un’attrice. Qui in mostra, invece, Giacconi sperimenta prendendo spunto dal saggio “Sul teatro di marionette” di von Kleist. Una parte dello scritto viene ripreso dentro Spazio Leonardo sotto forme e dispositivi diversi: l’artista ha creato appositamente delle grandi tende in plastica – che rimandano a quelle colorate dei vecchi negozi di paese, o delle case delle nonne – come display su cui sviscerare narrativamente una storia. Ognuna di queste opere, realizzata minuziosamente a mano dall’artista, piastrina dopo piastrina, raffigura un soggetto che rappresenta una parte di storia, o delle marionette citate nel film, o, ancora, nel caso di Storyboard #4, una sfida sequenziale realizzata da motivi geometrici astratti, estrapolati da uno studio del matematico Stephen Wolfram.
Colore, dispositivi visivi, scambi relazionali tra umano e non umano, artigianalità e narrazione poetica, sono elementi celati in mostra che vanno scovati in un percorso raffinato e complesso, dove ogni “storyboard” rivela, attraverso vivaci estetiche, rimandi tra passato e futuro.
Scritto da Rossella Farinotti